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2.4. Distribuzione

2.4.4. Le attività dei distributori cinematografici

Il distributore è il soggetto economico che è responsabile non soltanto della commercia- lizzazione dei film attraverso i vari canali di sfruttamento e territori, ma anche della ge- stione del flusso fisico delle copie e dei flussi finanziari degli incassi. Indipendentemente dalla dimensione delle società di distribuzione considerate, è possibile affermare che le responsabilità di questi operatori verso gli esercenti sono di molteplice natura (Young et. al, 2007):

• Assicurare che i propri film muovano interesse sugli spettatori; • Contrattare con gli esercenti la ripartizione degli incassi tra le parti;

• Determinare la quota di ricavi del produttore e (se necessario) condurre una ri- cerca sulle persone che hanno acquistato il biglietto;

• Garantire che il numero di copie su cui ci si è accordati siano realmente fornite agli esercenti il giorno in cui il film viene mostrato al pubblico e verificare che questo sia proiettato in sala (in termini di posti a sedere, orari, eccetera).

È quindi facile comprendere che senza una società di distribuzione è particolarmente complesso distribuire un film in sala cinematografica, e per le stesse ragioni si spiega perché le più importanti società di produzione cinematografica a livello globale abbiano un braccio distributivo. Andando a osservare più nello specifico le società di distribu- zione, in accordo con Alberto Pasquale (2012) si sostiene che l’intero core business di questi operatori ruoti attorno al catalogo49, in gergo definito “listino”, e di conseguenza

le due leve in base alle quali il distributore opera le scelte strategiche sono la composi- zione del catalogo e la commercializzazione dei titoli nei mercati di sfruttamento. Mentre le decisioni sulla composizione del listino coinvolgono le due dimensioni dell’ampiezza e la tipologia dei film da acquistare, la commercializzazione ha a che fare con la comuni- cazione (più nel dettaglio con la pubblicità, la azioni di marketing e le relazioni con la stampa, ossia le tre principali voci che compongono il budget di marketing) e con la di- stribuzione vera e propria dei film, e quindi la copertura del territorio e la quantità di copie da duplicare (Pasquale, 2012).

A livello dei costi che il distributore deve affrontare, la quota più consistente è certamente assorbita dai costi di commercializzazione di un titolo, e in particolare dai “costi di copia e lancio” (anche chiamati P&A Costs). Le valutazioni da fare rispetto a queste due voci sono di natura opposta, poiché se un lato i costi di marketing sono in forte aumento negli ultimi anni, dall’altro i costi di duplicazione si riducono. Infatti, il fenomeno a cui si sta assistendo negli ultimi anni grazie allo sviluppo del d-cinema è una fortissima riduzione dei costi di duplicazione, che all’aumentare delle quantità tendono allo zero (Anderson, 2013), a fronte dell’incremento dei costi in fase di produzione per realizzare la prima copia del film. Secondo quanto riportato nel 2008 dal Centro Nazionale della Cinemato- grafia di Parigi, il costo di duplicazione di una singola copia in pellicola si aggira attorno

49 Quando si parla di catalogo si intende il particolare insieme dei titoli a disposizione del distributore, da commercializzare sul mercato primario e sui mercati secondari (Pasquale, 2012)

ai 2.000 euro, mentre quelli di una copia digitale sono di 300 euro fino alla nona copia; pur riducendosi i costi di duplicazione all’aumentare del numero di copie, si sottolinea come la distribuzione digitale permetta mediamente di disporre di 500 copie digitali al costo di 70 copie in pellicola (Carrada & Menunni, 2011). In questo senso allora gli attori che beneficiano maggiormente della riduzione di costi di duplicazione delle copie sono le società più strutturate (specialmente i major studio), che riescono a presidiare un nu- mero sempre maggiore di schermi lasciando meno spazio alla circolazione di film minori (Fondazione Ente dello Spettacolo, 2015a). Con il completo passaggio alla distribuzione digitale, è evidente che nel prossimo futuro il termine P&A diventerà obsoleto (Finney, 2015).

Si tratta quindi di passare brevemente in rassegna alle attività che svolgono le società di distribuzione, e per farlo si utilizza la classificazione operata da Alberto Pasquale (2012) nel libro Investire nel Cinema: Economia, Finanza, Fiscalità del Settore Audiovisivo. Ovviamente, l’ammontare degli investimenti, la portata e il peso delle singole operazioni nell’economia dei distributori sono strettamente legati alla loro dimensione, nonché al tipo di legami che instaurano con gli altri operatori del settore. Tali attività comprendono (Pasquale, 2012):

• Acquisizione dei diritti dei film da distribuire • Finanziamento della produzione

• Doppiaggio e inserimento dei sottotitoli

• Design e implementazione delle campagne di marketing • Vendita e licenza dei diritti di sfruttamento nei vari canali • Gestione della library

Entrando più nello specifico a descrivere ciascuna attività, l’acquisizione comprende quell’insieme di strumenti attraverso i quali una società di distribuzione si appropria dei diritti sui film da distribuire. Le modalità di acquisizione dei diritti di utilizzazione eco- nomica da parte di un distributore sono molteplici, e variano dagli accordi stipulati diret- tamente con i produttori alle negoziazioni durante i festival e i mercati specializzati, fino al caso in cui il distributore è anche il produttore del film stesso o ne è partecipe (Pasquale, 2012). Sul totale dei film distribuiti in un anno da una Major, tendenzialmente una quota

del 10% viene prodotta internamente, il 60% viene finanziato alle sussidiarie tramite ac- cordi di PFD e il restante 30% viene finanziato con contratti di acquisizione o di negative

pickup (Vogel, 2015). A prescindere da questi aspetti, per una società di distribuzione è

fondamentale riuscire presentarsi agli esercenti, ai broadcaster televisivi e agli altri ope- ratori della filiera con un portafoglio di titoli sufficientemente attraente da condurre la trattazione in fase di vendita. Come sottolinea Jeffrey Ulin (2014), la strategia per la for- mazione del portafoglio non richiede soltanto di prestare attenzione ai costi, ma ovvia- mente guarda anche alla tipologia di film che vengono acquistati. Non è necessario co- prire tutte le categorie e i generi, tant’è che nella maggior parte dei casi un distributore si concentra sulla copertura di alcune nicchie di mercato. Ciò è ancora più evidente se si considera che classificare i film è oggi sempre più complesso e articolato (si pensi ad esempio ai contenuti realizzati esclusivamente per il consumo online, che di fatto costrin- gono i distributori a ripensare la propria strategia per generare profitti in tutti i mercati secondari). Talvolta i maggiori distributori si affidano alle divisioni interne per acquistare i film a budget ridotto o di un genere particolare, così da coprire varie nicchie di mercato. Ulteriori aspetti che un distributore considera nella formazione del listino hanno a che fare con la ricerca di titoli che in qualche modo forniscano delle “sicurezze” sui risultati che otterranno al box office, il che negli ultimi anni ha significano concentrare gli inve- stimenti soprattutto nei sequel, negli spin-off e nei remake (Ulin, 2014).

Sebbene la maggior parte delle volte i distributori (soprattutto se si considerano quelli indipendenti) si fanno carico soltanto dei costi di P&A, anticipandoli al produttore o in- vestendoli come capitale di rischio, non è infrequente il caso in cui una società di distri- buzione contribuisca direttamente a finanziare la produzione di un film (Pasquale, 2012). Tra gli accordi di finanziamento che sono già stati discussi in precedenza, è interessante concentrarsi per un momento sulle coproduzioni, per mezzo delle quali una società di distribuzione si accorda con uno o più operatori esteri per realizzare e distribuire un film in modo tale da condividerne i rischi. Gli accordi più comuni prevedono che ciascun ope- ratore si faccia carico della metà dei costi di produzione, suddividendosi i diritti di distri- buzione per i rispettivi territori (il che può portare a una situazione di disparità anche sostanziale nei guadagni) oppure spartendosi i ricavi totali generati nei Paesi in cui il film viene distribuito (Vogel, 2015). Le coproduzioni sono una grande opportunità soprattutto

per gli operatori dell’industria cinematografica europea, perché non solo consentono di investire ingenti capitali nella produzione di un titolo e di favorire la distribuzione in più territori, ma sono anche uno strumento per difendere e nel contempo promuovere le di- versità culturali (Fondazione Ente dello Spettacolo, 2015a).

Quando un distributore si accorda con un produttore per il finanziamento di un film, uno degli aspetti più rilevanti riguarda i meccanismi di ripartizione dei ricavi, che sono stabi- liti nel distribution deal. Secondo Harold Vogel (2015) questi contratti, che possono sta- bilire alcune compensazioni fisse (a prescindere dai risultati del film) in aggiunta o al di fuori di quelle contingenti, possono essere ricondotti in tre tipologie, ossia first-dollar

gross, adjust gross e gross after breakeven/breakeven. Nel primo caso, che è anche il

meno frequente, il produttore viene rimborsato direttamente dai ricavi del distributore dopo che questo ha dedotto una quota limitata dei costi da lui sostenuti (facenti capo ai costi di negoziazione o ad altri costi minori, per un totale che si aggira attorno al 3%). L’adjust gross, anche detto gross after cash breakeven, prevede che al produttore (ed eventualmente agli altri operatori che hanno partecipato al finanziamento del film) spetti una quota di ricavi solo dopo che il distributore ha recuperato i negative costs e quelli di P&A, a cui si aggiunge una commissione di distribuzione che varia tra il 12% e il 25%.

Infine, il gross after breakeven/breakeven si distingue in gross after actual breakeven, in cui il distributore deduce dai ricavi totali tutte le spese da lui affrontate, a cui si aggiunge la commissione standard (generalmente attorno al 40%), e il gross after rolling breake-

ven, in cui il distributore continua a dedurre le spese sostenute in relazione alla commis-

sione di distribuzione anche dopo che il film ha raggiunto i profitti netti. A prescindere da tali accordi, è evidente che quando si tratta di definire le modalità di copertura dei finanziamenti e soprattutto le quote di partecipazione ai ricavi ciascun termine del con- tratto viene definito in modo differente non solo in relazione al tipo di film, ma anche in base al potere contrattuale degli operatori coinvolti.

Il doppiaggio e l’inserimento dei sottotitoli sono attività di grande importanza per i film stranieri, specialmente perché non richiedono un mero lavoro di traduzione ma piuttosto

un adattamento a tutto tondo del linguaggio e delle forme espressive, dalle gag linguisti- che fino a tutte quelle situazioni che non trovano una corrispondenza esatta nella lingua in cui il film viene doppiato (Pasquale, 2012). Tutto questo si inserisce nel contesto più ampio della comunicazione interculturale, e in particolare entrano in gioco quelle diffe- renze culturali che ostacolano l’efficacia del processo di comunicazione fra culture diffe- renti (Valdani & Bertoli, 2014). Ecco allora che oltre alla lingua, uno studio di doppiaggio dovrà considerare anche il rapporto della lingua con il contesto, ossia l’insieme di ele- menti verbali e non verbali a cui si accompagnano le parole, così come grande attenzione deve essere rivolta allo stile di comunicazione, e quindi la frequenza, la rapidità e il tono di voce, le interruzioni, l’enfasi attribuita alle parole e così via (Valdani & Bertoli, 2014). I costi associati a queste attività, che rientrano nelle spese di P&A, sono tendenzialmente affrontati in corrispondenza dell’uscita in sala e possono arrivare anche a superare il mi- lione di euro per un film ad alto budget, sebbene sussistano grandi differenze a seconda del Paese considerato (Squire, 2016). In generale, è possibile distinguere i Paesi che hanno una grande tradizione di doppiaggio, con al centro la figura del doppiatore che si lega per molti anni alla stessa star (l’Italia certamente rientra in questa categoria), da quelli che preferiscono il solo inserimento dei sottotitoli, lasciando in film nella lingua originale (e di conseguenza riducendo i costi associati a questa attività). Un caso partico- lare è la Francia, in cui i film sono distribuiti in entrambe le versioni: per ogni film si distingue così la versione V.F. (versione francese), soprattutto per i film più mainstream e con costi di doppiaggio che arrivano a superare i 100 mila euro per titolo, da quella V.O. (versione originale), molto più frequente per i film di carattere artistico (Squire, 2016). Un caso particolare è quello dei film di animazione, poiché la scelta del doppiatore con- sente di accrescere il valore del titolo nonché l’interesse del pubblico, ed è per questo che si fa spesso ricorso ai più celebri attori locali (Pasquale, 2012).

Le vendite, che si concretizzano nella licenza dei diritti di utilizzazione economica dei film nei vari territori e canali di sfruttamento, rappresentano ovviamente l’attività princi- pale dei distributori, sulla quale viene a costruirsi il sistema delle finestre di distribuzione. Vale la pena sottolineare che mentre alle sale cinematografiche, ai broadcaster televisivi o agli operatori Ott i film sono forniti in licenza, ai consumatori sono invece venduti o

concessi in prestito (in formato home entertainment/DVD), il che manifesta due situa- zioni completamente differenti (Squire, 2016). Su questi aspetti si è ampiamente discusso nel Capitolo Uno, analizzando i principali contributi della letteratura accademica negli ultimi anni, mentre nel Capitolo Tre ci si concentrerà sull’impatto che gli sviluppi delle tecnologie digitali hanno avuto su questo insieme di operazioni. Secondo Jason Squire (2016) tali evoluzioni mirano al perseguimento di tre obiettivi fondamentali, ossia la co- struzione di valore di lungo periodo, la minimizzazione i rischi e la riduzione delle perdite assiciate alla pirateria. In particolare, il primo obiettivo viene ottenuto coinvolgendo il maggior numero possibile di spettatori, cercando di spingerli a consumare lo stesso pro- dotto in fasi diverse di distribuzione e nel contempo ricavando da ciascun consumo il più alto margine di profitto. D’altra parte, la minimizzazione dei rischi si lega alle specifiche abilità dei distributori di raggiungere i consumatori in quanti più modi possibili e di con- cludere le transazioni nel modo più comodo, mentre per combattere la pirateria occorre coordinare simultaneamente le finestre di distribuzione in vari territori.

La gestione della library ha a che fare con l’amministrazione dei diritti sul “magazzino film”, che identifica l’insieme di film di cui il distributore è titolare o per i quali ha rice- vuto un mandato, ed è proprio qui che risiede la vera ricchezza delle società di distribu- zione (Pasquale, 2012). La cessione di questi diritti per un periodo limitato di tempo con- sente al distributore di attivare nuovi cicli di sfruttamento dei contenuti, generando valore economico anche dai film usciti in anni passati. Infatti, a seguito del primo ciclo di sfrut- tamento un film può tornare a essere nuovamente profittevole grazie a una seconda di- stribuzione in sala cinematografica in occasione di un anniversario significativo, oppure con la vendita di nuove versioni del prodotto (si pensi ad esempio al director’s cut per la cessione di un film in DVD o in altri formati video), anche se le possibilità maggiori si legano certamente agli sfruttamenti successivi dei film all’interno dei canali digitali (Bloore, 2009).

Negli ultimi anni il valore delle library è aumentato drasticamente, portando molti inve- stitori negli Stati Uniti a impiegare miliardi di dollari nelle acquisizioni dei major studio per aspetti che riguardano proprio il magazzino dei titoli a loro disposizione (Vogel,

2015). Tuttavia, Harold Vogel (2015) sostiene che le considerazioni sul valore delle li- brary sono di natura estremamente complessa e ambigua, poiché è impossibile da quan- tificare il loro reale potenziale economico. La ragione principale di ciò è legata agli svi- luppi della tecnologia, che se da un lato consente di soddisfare la crescente domanda di prodotti filmici offrendo numerosissime opportunità di consumo ripetuto (si pensi ai ser- vizi di streaming come Now Tv o Netflix), dall’altro le stesse tecnologie consentono a chiunque di gestire e conservare in autonomia i contenuti forniti dalle nuove piattaforme, riducendo così il loro controllo da parte dei distributori. Un ulteriore aspetto da conside- rare riguarda le library dei distributori maggiori, che per quanto possano essere ricche (nel 2015 i cinque major studio americani disponevano di circa 20.700 titoli), esistono comunque dei vincoli strutturali che rendono loro impossibile sfruttare nel mercato do- mestico e in quelli esteri una quota superiore al 5% di vecchi titoli, poiché tendenzial- mente viene privilegiata l’ottimizzazione del valore dei nuovi contenuti (Vogel, 2016). Infine, sebbene la valutazione del magazzino dei film di un distributore generalmente dipende dalla quantità e dalla qualità di titoli di cui dispone (in questo senso, è facile immaginare che essere proprietari dei diritti di tutti i film di una saga ha più valore rispetto al possesso di pochi capitoli), storicamente il prezzo pagato dagli investitori per l’acquisto di una library non ha sempre seguito questa logica, rendendo tali valutazioni “più simili

a un’arte piuttosto che a una scienza” (Vogel, 2015, p.115).