• Non ci sono risultati.

I diversi approcci all'Audience Development dal punto di vista geografico Oltre ai diversi approcci sopra richiamati, Cuenca-Amigo e Makua (2017)

Capitolo 3. Il ruolo dell'Audience Development in una prospettiva europea

3.2. I diversi approcci all'Audience Development

3.2.5. I diversi approcci all'Audience Development dal punto di vista geografico Oltre ai diversi approcci sopra richiamati, Cuenca-Amigo e Makua (2017)

indicano l'esistenza di una divisione che corre lungo l'asse Nord-Sud nel più ampio contesto europeo, connessa alle specificità territoriali: mentre nei Paesi nordici come il Regno Unito, la Danimarca, la Svezia o la Norvegia è rintracciabile una lunga tradizione di lavoro in tema di Audience Development, in Italia e Spagna la centralità dell'argomento è emersa solo in anni recenti. In particolare, negli Stati del Nord Europa, e soprattutto nel Regno Unito, è possibile osservare una più marcata influenza dell'approccio pragmatico all'Audience Development rispetto a quanto accade nei Paesi del Sud. Tuttavia, i Paesi nordici riconoscono che sebbene il marketing culturale rappresenti una parte essenziale dell'Audience Development, è necessario trascendere questo approccio per incorporare una prospettiva più ampia, sia essa di natura sociale, relazionale o politica. D'altra parte, in Italia e in Spagna il marketing culturale ha conosciuto una diffusione tardiva e l'origine dei modelli di Audience Development si fonda su un approccio prevalentemente sociale legato all'accesso alla cultura (ibidem).

Considerando le differenze geografiche, come illustrato in precedenza i Paesi con maggiore esperienza nell'Audience Development sono anche quelli che lo hanno supportato attraverso la predisposizione di specifiche politiche culturali (a prescindere dall'esito delle stesse). L'espressione fondamentale di questo sostegno istituzionale da un punto di vista gestionale può essere trovata nel Regno Unito, dove le agenzie dedicate all'Audience Development non solo «hanno assunto la necessità di lavorare in modo non accessorio sulla partecipazione culturale» (Da Milano e Gariboldi, 2019; p. 15), ma sostengono anche le organizzazioni culturali nell'attuazione di questi processi e cercano di generare sinergie tra i diversi enti culturali del Paese. A questo proposito, il progetto Audience Finder, promosso da

The Audience Agency – un'organizzazione non profit, attiva in tutto il Regno Unito,

che svolge attività di ricerca e consulenza a favore delle organizzazioni che operano nel settore culturale –, rappresenta un esempio paradigmatico. Come visto (cfr. Cap. 2), esso consiste nella gestione di un database in cui sono raccolti i dati di

ticketing delle istituzioni culturali che decidono di prendere parte al progetto e che

a loro volta possono beneficiare di report basati sull'elaborazione di informazioni sia a livello aggregato che individuale. Data l'importanza dell'analisi dei

riproduzione sociale. Pertanto si rende necessaria una contestualizzazione sociale di tutte le idee, le rappresentazioni e le forme di cultura, e diviene indispensabile considerare la società come un luogo di contestazione sociale tra gruppi concorrenti che cercano il dominio e l'egemonia, definita come il consenso verso una leadership intellettuale e morale (Durham e Kellner, 2006).

comportamenti dei pubblici nei processi di Audience Development, un'iniziativa come questa evidenzia il rilevante lavoro degli organi istituzionali inglesi, che va oltre il semplice finanziamento delle iniziative (Cuenca-Amigo e Makua, 2017). Enti simili sono presenti anche in Danimarca, Svezia e Norvegia dove esistono già da diversi anni enti statali dedicati all'Audience Development, come il Danish Centre for

Arts & Interculture, l'organizzazione Audiences Norway e il centro RePublik - Audiences Sweden. Uno dei vantaggi della presenza di queste agenzie è che

generano dati e informazioni che possono essere utilizzati da diversi tipi di istituzioni, le quali possono contare sull'aiuto di personale esperto per l'elaborazione e l'applicazione pratica dei risultati derivanti da tali analisi. Ciò risulta essere particolarmente importante per le organizzazioni di piccole dimensioni, che affrontano più di frequente criticità di carattere gestionale legate a budget molto modesti che non consentono l'acquisizione di conoscenze e di professionalità specializzate per attuare nuove iniziative ad alta intensità di risorse (Righolt, 2019). Al pari di quanto è successo nel Regno Unito, anche nei Paesi scandinavi – i quali hanno tratto la propria fonte d'ispirazione per sviluppare nuovi modi di lavorare con i pubblici dalle politiche elaborate nel contesto anglosassone (ibidem) – la comprensione di cosa significhi il termine Audience Development è cambiata molto negli ultimi 8-10 anni. La nozione del concetto si è spostata: dall'essere una risorsa, più o meno avanzata, orientata al mercato e concentrata principalmente sul portare un numero adeguato di persone, con il più ampio background socio-demografico possibile, in contatto con l'arte e la cultura – e quindi essere in grado di ottenere migliori risultati finanziari –, è diventata una risorsa processuale e olistica per l'approfondimento, il rafforzamento e il miglioramento del rapporto tra i diversi pubblici e le istituzioni culturali, sotto l'influenza dei cambiamenti sociali che definiscono lo scenario esterno in cui agiscono la cultura e le organizzazioni che operano in tale ambito (ibidem).

Sul versante opposto, spostandosi verso Sud, Paesi come la Spagna e l'Italia si sono avvicinati al tema dell'Audience Development in anni più recenti, presentando una consuetudine di lavoro meno consolidata e più legata alla comprensione delle caratteristiche dei pubblici con scopi sociali manifesti, legati al tema dell'accesso alla cultura (Cuenca-Amigo e Makua, 2017). In entrambi i Paesi, l'Audience

Development emerge come un processo che non può essere vissuto in modo isolato,

al di fuori della realtà e senza obiettivi sociali definiti. Ne consegue, pertanto, che esso rappresenta una pratica complessa, collegata alle esigenze sociali e alla loro evoluzione in connessione con diversi e intrecciati fattori di natura politica, economica e culturale (ibidem). Secondo quanto messo in evidenza da Cuenca- Amigo e Makua (ibidem), per gli operatori culturali italiani non avrebbe molto

senso avvicinarsi al tema dell'Audience Development in una prospettiva puramente economica, basata solo su obiettivi di tipo quantitativo relativi al numero delle presenze o alle entrate provenienti dalla vendita dei biglietti. Al contrario, le organizzazioni culturali dovrebbero riscoprire la loro funzione sociale e fare propria l'idea di “accountability”, ossia riconoscere di avere una responsabilità nei confronti della comunità in quanto enti al servizio della società. Legato al dibattito più generale sulla rilevanza del settore culturale e sul significato di questo settore, che continua ad aver bisogno del sostegno pubblico per il proprio funzionamento e di conseguenza di valide ragioni per il suo sostentamento, l'Audience Development dovrebbe configurarsi come una riflessione sul ruolo sociale che le istituzioni culturali svolgono sul territorio (Cuenca-Amigo e Makua, 2017), adottando un approccio capace di rispecchiare nella pratica la concezione teorica di cultura come bene comune (Da Milano, 2014) e di rifondare un senso di rilevanza e legittimazione nei confronti di una costellazione allargata di portatori di interessi e di interlocutori, vecchi e nuovi (Bollo, 2014). In aggiunta a ciò, in un contesto territoriale in cui le basse competenze dei cittadini costituiscono una debolezza strutturale che produce un effetto diretto sui livelli della partecipazione culturale, si rende necessaria una maggiore sinergia tra il comparto culturale e il sistema educativo per generare un terreno fertile per un'efficace implementazione delle pratiche di Audience Development (ibidem). Seppure giunto in ritardo, oggi l'Audience Development sta assumendo un ruolo sempre più centrale anche in Italia, nonostante si fatichi a inquadrarlo in un'agenda politica coerente e di lungo periodo (Da Milano e Gariboldi, 2019). A questo proposito, rivolgendo lo sguardo al recente passato, è possibile evidenziare alcuni interventi che sembrano testimoniare la volontà del decisore politico di adottare misure strategiche volte a incentivare la partecipazione culturale. È quanto è stato fatto, ad esempio nel 2012, con il lancio da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (MiBACT) di un invito rivolto a musei, complessi monumentali, parchi e aree archeologiche statali a presentare proposte al fine di attuare azioni migliorative dell'accessibilità ai contenuti culturali, in un'ottica di promozione di forme innovative di partecipazione che vanno dalla consultazione alla costruzione condivisa di significati sollecitata dalla mediazione, fino a una vera e propria co- progettazione (Council of Europe, 2019). Tale iniziativa ha portato alla selezione di diciassette progetti, finanziati e realizzati con un contributo pubblico complessivo di 900.000 euro, tra i quali è possibile citare l'iniziativa “Al museo con ...” promossa dal Museo Etnografico Preistorico Nazionale Pigorini e dal Museo Nazionale di Arte Orientale Tucci per il miglioramento dei servizi e degli strumenti di comunicazione (ibidem). Inoltre, a partire da luglio 2014, i musei statali italiani sono stati

interessati da una serie di novità – ispirate al modello francese – relative alle tariffe di ingresso e alle modalità di apertura (Solima, 2018). Tra queste rientrano l'annullamento della gratuità per le persone con più di 65 anni e il mantenimento dell'ingresso gratuito per i giovani al di sotto dei 18 anni; l'istituzione dell'iniziativa “Domenica al museo”, che prevede che ogni prima domenica del mese tutti i luoghi della cultura statali siano visitabili gratuitamente; l'apertura notturna, almeno due volte l'anno, dei musei e dei siti archeologici al costo di un euro (“Una notte al museo”) (ibidem). Nell'ambito dello spettacolo dal vivo, sempre nel luglio 2014, sono state apportate alcune modifiche ai criteri e alle modalità per la concessione dei contributi statali a valere sul Fondo unico per lo spettacolo (FUS), con l'obiettivo di aggiornare il funzionamento del sistema teatrale e incentivare la partecipazione giovanile (ibidem). Ai giovani è destinato anche il programma “Bonus Cultura” che, introdotto nel 2016, permette a chi compie 18 anni di ottenere 500 euro da spendere in buoni per cinema, musica e concerti, eventi culturali, libri, musei, monumenti e parchi, teatro e danza, corsi di musica, di teatro o di lingua straniera. Nonostante la comparsa di alcuni segnali di interesse, la situazione appare ancora piuttosto deficitaria, stante l'assenza di una cabina di regia in grado di porsi come soggetto di riferimento in materia di Audience

Development: Solima (ibidem) fa notare come, nel panorama nazionale, manchi

«una 'massa critica' di studi e ricerche tale da consentire l'affermazione di scelte metodologiche condivise […] e ciò è anche riconducibile al ruolo […] dello Stato»35 (p. 143), che solo in anni recenti ha iniziato a rivolgere una maggiore attenzione alle politiche di sostegno alla domanda (Da Milano e Gariboldi, 2019).

Documenti correlati