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Capitolo 3. Il ruolo dell'Audience Development in una prospettiva europea

3.1. Evoluzione del concetto di Audience Development

Nel corso degli anni, numerosi studiosi e ricercatori hanno approfondito la partecipazione culturale e il suo valore per la società, contribuendo a una maggiore comprensione teorica di tale concetto e delle condizioni in cui prospera (Brown e Ratzkin, 2011). Gran parte di questo lavoro si concentra, direttamente o indirettamente, sull'Audience Development23, che rappresenta un argomento centrale nel dibattito contemporaneo sul valore economico e sociale della cultura (Eigo e Wilson, 2019). Parte vitale delle attività che le organizzazioni culturali devono intraprendere, l'espressione Audience Development racchiude al suo interno una pluralità di significati (European Commission, 2017) che, ostacolando l'elaborazione di una definizione univoca e condivisa, genera una “ambiguità funzionale” (Hadley, 2017) quale conseguenza del fatto che la sua interpretazione varia considerevolmente a seconda del contesto di riferimento e del relativo grado di maturità in termini pratici, oltre che teorici (ibidem). In linea generale, è possibile affermare che l'Audience Development è un ambito molto vasto, che si riferisce non solo alle strategie e alle azioni messe in campo dalle organizzazioni culturali per attrarre un numero crescente di persone che già partecipano alle proprie attività o che non appartengono ai cosiddetti pubblici abituali, ma anche alle iniziative e agli approcci volti a migliorare l'esperienza culturale e le capacità interpretative dei pubblici a cui si rivolgono (Walmsley, 2016).

Volendo ripercorrere le tappe principali che hanno segnato l'evoluzione del

23 In accordo con la visione di Da Milano e Gariboldi (2019), nel presente lavoro si è deciso di mantenere l'espressione anglosassone di Audience Development «senza azzardare traduzioni ardite e potenzialmente infelici, ma specificando che i due termini di cui essa è composta –

concetto di Audience Development, la sua introduzione ufficiale nel discorso pubblico si fa risalire alla seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso con la pubblicazione nel 1997 della prima Guide to Audience Development, redatta da Heather Maitland per l'Arts Council England24 (Maitland, 2019). L'elaborazione di tale documento si inserisce all'interno di un piano più ampio di riforme che, a partire dal Regno Unito, ha dato l'abbrivio a quella che viene definita la “svolta partecipativa” (Bonet e Négrier, 2018) delle politiche culturali, che fino a quel momento si erano concentrate sul lato dell'offerta (le organizzazioni culturali) a spese del lato della domanda (i pubblici) (Jancovich, 2017). In quegli anni, infatti, il governo laburista presieduto da Tony Blair lancia una serie di iniziative volte ad allargare l'accesso alla cultura, che culmina con lo stanziamento – nel 1998 – di cinque milioni di sterline a favore di un nuovo programma di finanziamento denominato New Audiences Programme (Kawashima, 2000), che sarà successivamente esteso fino al 2003 per un investimento complessivo pari a 20 milioni di sterline. Contribuendo a definire questa nuova stagione di politiche culturali, il New Audiences Programme aveva tra i suoi obiettivi: affrontare gli ostacoli che impediscono alle persone di partecipare alle attività culturali; aumentare il tipo e il numero dei partecipanti; creare nuove opportunità di fruizione culturale in spazi e luoghi alternativi rispetto ai contesti consueti e convenzionali; consentire l'apprendimento e lo scambio di esperienze tra le organizzazioni culturali al fine di migliorare le pratiche di Audience Development, descritte come «working towards a more equitable form of cultural participation» (ACE, 2003; p. 225). Con la maggiore attenzione al lato della domanda, le politiche culturali iniziano a focalizzarsi sul ruolo sociale della cultura, cercando di instaurare un dialogo con le più vaste agende di politica pubblica che si occupano di salute e benessere, inclusione sociale e sviluppo economico (Jancovich, 2017). Come messo in evidenza da Kawashima (2000), se durante gli anni Ottanta del Novecento è stato il contributo economico generato dalla cultura a rappresentare la principale motivazione per giustificare gli investimenti pubblici a favore dei beni e delle attività culturali, dagli anni Novanta comincia a emergere una nuova visione basata sui benefici sociali della cultura, elevandola da attività accessoria ad attività

24 Il finanziamento pubblico delle attività culturali in Gran Bretagna avviene secondo il principio dell'arm's length, in virtù del quale una rete intermedia di organismi pubblici non governativi (non departmental public bodies, NDPBs) si occupa di gestire e distribuire la quasi totalità dei fondi erogati dal Department for Culture, Media and Sport (DCMS). Il DCMS, pertanto, non eroga finanziamenti diretti a singoli soggetti, ma trasferisce le risorse alle agenzie intermedie, NDPBs, le quali a loro volta, dotate di autonomia decisionale, si occupano di distribuire le sovvenzioni alle diverse istituzioni culturali. L'Arts Council England è uno degli organismi pubblici non governativi, che gestisce parte dei finanziamenti pubblici a favore del settore culturale (Macrì, 2015).

capace di concorrere al miglioramento della qualità della vita e di contrastare l'esclusione sociale25.

È in questo contesto che il concetto di Audience Development inizia a prendere forma e ad arricchirsi di nuovi significati nel corso degli anni, generando quella «sfuggevolezza definitoria» (Bollo, 2014; p. 163) che lo caratterizza ancora oggi. A questo proposito, Maitland (2019) evidenzia come gli approcci e le attività di

Audience Development affondino le proprie radici nella sfera di competenza del

marketing26. Un aspetto questo sottolineato anche da Kawashima (2000) quando afferma che il marketing culturale, per il modo in cui si era sviluppato nei vent'anni precedenti nel Regno Unito, aveva apportato due contributi fondamentali all'ascesa dell'Audience Development. In primo luogo, l'Audience Development era stato visto come una misura attraverso la quale affrontare i problemi connessi con il progressivo invecchiamento dei pubblici abituali e il futuro incerto dei finanziamenti statali a favore della cultura, in un contesto in cui la raffinatezza raggiunta dal marketing e dal management culturale aveva acuito la sensazione di concorrenza nel più ampio mercato del tempo libero (ibidem). Inoltre, il crescente affinamento delle tecniche di marketing aveva facilitato la diffusione del concetto di

Audience Development, rendendo evidente – attraverso l'offerta di dati quantitativi

e qualitativi sempre più accurati – che la composizione dei pubblici della cultura non era rappresentativa dell'intera popolazione e che vi erano importanti “barriere” psicologiche, che fino a quel momento non erano state sufficientemente considerate nei dibattiti sulla partecipazione culturale (ivi, pp. 17-18). Non è un caso, quindi, che l'espressione Audience Development abbia fatto la sua prima apparizione nel testo Guide to Arts Marketing, nel quale Diggle (1984) riferisce che l'obiettivo dell'Audience Development Arts Marketing è quello di mettere un numero adeguato di persone, provenienti dalla più ampia gamma possibile di background sociali, economici e culturali, in contatto con l'artista e in tal modo ottenere il miglior risultato finanziario compatibile con il raggiungimento di tale obiettivo (citato in Bollo, 2017). Tuttavia, è opportuno notare che pur rappresentando un

25 In riferimento a ciò, Matarasso (1997) nel suo influente studio sull'impatto sociale della partecipazione culturale stila un elenco di cinquanta ricadute sociali positive che derivano dal prendere parte a progetti e iniziative culturali. Tra queste è possibile annoverare lo sviluppo del senso di appartenenza a una comunità, la promozione di comportamenti tolleranti e inclusivi, la riduzione dell'isolamento e l'aumento del benessere psico-fisico sia a livello individuale che collettivo, solo per citarne alcune.

26 In particolare, Maitland (2019) - autrice del volume Guide to Audience Development - riferisce che tale pubblicazione sia il frutto di un lavoro decennale condotto dal Touring Department dell'Arts Council England per massimizzare l'impatto delle produzioni che il Dipartimento finanziava, cercando di aumentare il numero dei fruitori. Tale lavoro, coordinato dal Responsabile Marketing del Dipartimento, era svolto in collaborazione con un team di consulenti di marketing, che insieme hanno coniato l'espressione Audience Development con l'intento di attrarre l'attenzione sui pubblici e di inserirli anche nell'agenda degli altri dipartimenti (ibidem).

aspetto non secondario, il marketing risulta essere solo uno dei molteplici elementi che concorrono a definire l'Audience Development. Rogers (1998), ad esempio, vede l'Audience Development come una combinazione di marketing e didattica e sostiene che un'efficace azione di Audience Development dovrebbe non soltanto sostenere ed espandere il pubblico esistente, ma anche attirare nuovi partecipanti e accrescere il loro divertimento, comprensione e fiducia (citato in Walmsley, 2016). È la stessa Kawashima (2000) a constatare che per McCann (1998) esista una linea di demarcazione che separa il marketing culturale – inteso in senso stretto – dall'Audience Development quando dichiara che mentre il primo agisce nel breve periodo per indurre coloro che sono già interessati all'arte e alla cultura a trasformare il loro interesse in azione, visitando un museo oppure partecipando a un evento culturale, il secondo opera per invogliare coloro che sono del tutto estranei a questo tipo di attività a prendervi parte. Criticando almeno parzialmente la posizione di Kawashima (2000), Hadley (2017) fa notare che l'approccio adottato dall'autrice si configura in realtà come una rielaborazione inconsapevole (o forse involontaria) della Matrice di Ansoff (Ansoff, 1957), che rappresenta una tecnica di marketing generalmente usata per valutare una strategia di business e che prevede quattro tattiche diverse, derivanti dall'incrocio di due elementi chiave: il mercato e il prodotto27 (Barlow e Shibli, 2007). Infatti, nello studio che ha posto le basi per le successive interpretazioni del concetto di Audience Development, Kawashima (2000) individua quattro diversi tipi di Audience Development – basati su diversi scopi e funzioni – intesi come sovrapponibili e non reciprocamente esclusivi. Secondo l'autrice quando si parla di Audience Development è possibile parlare di: “Cultural Inclusion”, “Extended Marketing”, “Taste Cultivation” e

27 Più nel dettaglio, le quattro strategie derivanti dalla combinazione di questi due fattori risultano essere: la “strategia di penetrazione del mercato”, che si prefigge di accrescere le vendite di un prodotto esistente all'interno dell'attuale mercato aumentando la quota di mercato. Questo è l'approccio strategico meno rischioso poiché sfrutta le risorse e le capacità esistenti. La “strategia di sviluppo del mercato” cerca la crescita offrendo prodotti esistenti a nuovi segmenti di mercato. Fare appello a un nuovo mercato presenta in genere un grado di rischio più elevato rispetto a una strategia di penetrazione del mercato. Lo sviluppo di nuovi prodotti destinati a segmenti di mercato esistenti è definita “strategia di sviluppo del prodotto”: anche questo approccio comporta più rischi rispetto al semplice tentativo di aumentare la quota di mercato. La “diversificazione” è la più rischiosa delle quattro strategie di crescita, in quanto incorpora lo sviluppo del prodotto e del mercato, creando nuovi prodotti per nuovi mercati (Barlow e Shibli, 2007). Traslata nell'ambito del marketing culturale, la Matrice di Ansoff può essere letta nel modo seguente: la penetrazione del mercato equivale a rendere i pubblici esistenti più attivi o a raggiungere più persone simili al pubblico esistente, mantenendo la programmazione attuale; lo sviluppo del mercato prevede di attrarre nuovi pubblici verso la programmazione attuale; lo sviluppo del prodotto si traduce nello sviluppo di una nuova programmazione per i pubblici esistenti o nell'incoraggiare i pubblici a provare qualcosa di nuovo, rafforzando la relazione con essi; la diversificazione crea una nuova programmazione per raggiungere nuovi pubblici (The Audience Agency, 2016).

“Audience Education”. Quando si fa riferimento alla definizione di Audience

Development come “Cultural Inclusion” si prendono in considerazione gli approcci

e le pratiche volti a coinvolgere in attività culturali coloro che per ragioni apparentemente sociali sembrano essere poco propensi a partecipare. Al contrario, l'Audience Development inteso come “Extended Marketing” si focalizza su coloro che pur essendo molto affascinati dall'arte e dalla cultura non fanno ancora parte dei pubblici abituali. Se la prima funzione pone l'accento sugli scopi sociali, nel tentativo di correggere la sotto-rappresentazione di un particolare gruppo, o gruppi, offrendo loro maggiori opportunità di accesso alla cultura e incoraggiando attivamente la loro partecipazione alla vita culturale, la seconda sembra prediligere le tecniche proprie del marketing per trasformare un desiderio latente in un bisogno da soddisfare. Nel caso dell'Audience Development come “Taste Cultivation”, il fulcro dell'azione è rappresentato dagli sforzi fatti per coltivare il gusto dei pubblici esistenti, cercando di allargare le loro aree di interesse verso nuovi ambiti culturali e forme artistiche di cui non hanno ancora fatto esperienza. Al pubblico abituale sembra rivolgersi anche l'Audience Development inteso come “Audience Education”, nella misura in cui cerca di migliorare la comprensione e il divertimento di coloro che sono soliti prendere parte ad attività artistiche e culturali. Sulla base di questi quattro aspetti, Kawashima (2000) sostiene che le definizioni e le origini del termine Audience Development rimandano almeno a quattro ambiti distinti: finanziario, artistico, sociale e formativo, abbracciando lo sviluppo umano in senso lato. Ne consegue, pertanto, che un'efficace strategia di

Audience Development dovrebbe comportare una maggiore sicurezza finanziaria

per le organizzazioni culturali, un aumento delle opportunità creative per gli artisti, un rafforzamento della coesione sociale e della crescita e realizzazione individuali (ivi, p. 10).

Nonostante il tentativo di offrire una spiegazione della complessità insita nel concetto di Audience Development, lo schema introdotto da Kawashima (2000) lascia aperte alcune questioni fondamentali che, come messo in evidenza dalla stessa autrice, possono essere ricondotte alla contrapposizione tra l'assunto secondo il quale esiste un ideale di cultura a cui tutti dovrebbero avere accesso, capace di trascendere le divisioni sociali, e la visione sociologica del rapporto tra cultura e società che al contrario vede la cultura come uno strumento attraverso cui marcare e riprodurre le distinzioni sociali, istituendo una relazione molto stretta tra la disparità di accesso alle pratiche culturali e le competenze necessarie a codificare e comprendere i messaggi e i significati simbolici racchiusi nei prodotti culturali, che derivano in particolare dal grado di socializzazione e scolarizzazione di ciascun individuo e della propria famiglia di origine (Bourdieu, 1979; trad. it.

1983). Anche se apparentemente in contrasto tra loro, entrambe le argomentazioni sembrano rinviare a un meccanismo comune in base al quale vi è una cultura “ufficiale” o “legittima” – tipicamente rappresentata dalle istituzioni culturali finanziate dallo Stato – che merita più di altre di essere promossa e sostenuta, i cui pubblici continuano a essere sovra-rappresentati da una esigua minoranza di persone istruite e benestanti (Hadley, 2019). Affondando le loro radici in questo costrutto ideologico, gli approcci e le pratiche di Audience Development si sono focalizzati – almeno nella loro fase iniziale – sul rendere maggiormente accessibile una stessa idea di cultura a diversi tipi di pubblico (Kawashima, 2000). Questo ha fatto sì che l'Audience Development si sia concentrato – soprattutto nei primi anni 2000 – sull'individuazione dei gruppi esclusi dalla fruizione culturale e sulla rimozione delle barriere – economiche, sociali, fisiche e psicologiche – connesse alla mancata partecipazione alle forme culturali tradizionali o mainstream. Ma, come già metteva in evidenza Kawashima (2000), accanto a questa interpretazione cominciava a emergerne un'altra che poneva l'accento sulle caratteristiche e sui bisogni dei diversi tipi di pubblici, in base alla quale coesistono diverse idee di cultura e molteplici stili e modalità di partecipazione culturale. In quest'ottica, appare evidente che il fine ultimo degli approcci e delle pratiche di Audience

Development non possa essere la sola rimozione delle principali barriere che

ostacolano la partecipazione culturale, ma implica un ripensamento dello stesso concetto di partecipazione e delle stesse organizzazioni culturali che devono essere capaci di mettere in discussione i propri sistemi di offerta e le proprie dinamiche operative. Giungendo alla conclusione che l'Audience Development come tema centrale delle politiche culturali necessiti di sforzi e risorse di lungo periodo e di ampio spettro per poter essere realmente efficace, Kawashima (2006) lascia trasparire che la sfida maggiormente rilevante per le organizzazioni culturali è quella di diventare inclusive ed essenziali per le proprie comunità di riferimento. Ciò significa che coloro che operano nei campi dell'arte e della cultura devono intraprendere una profonda revisione di ogni singolo aspetto connesso alle proprie dinamiche interne, mostrandosi aperti a un cambiamento radicale (ibidem) che «richiede attitudini, conoscenze e competenze ancora poco sviluppate nell'ambito dei comparti artistico-culturali» (Bollo, 2014; p. 175).

In linea con tale interpretazione, Maitland (2019) suggerisce che l'Audience

Development si fondi su un processo logico complesso e afferma che rispetto a

vent'anni fa, quando si credeva che l'obiettivo prioritario dell'Audience

Development fosse rimuovere gli ostacoli fisici, geografici, sociali e psicologici che

impedivano o limitavano la partecipazione culturale, oggi «sappiamo che è molto più complicato di così» (ivi, p. 21). È necessario capire sia ciò che motiva le persone

sia i modi in cui preferiscono essere coinvolte al fine di offrire delle risposte adeguate ai loro bisogni e aspettative. Per Maitland (ibidem), dalla sua nascita ad oggi il concetto di Audience Development ha dimostrato di saper far fronte ai cambiamenti in atto nella società. Ne deriva che non può più essere associato solo a una migliore comprensione e a un maggiore apprezzamento dell'arte e della cultura, ma deve essere visto come un approccio olistico e dinamico per aumentare la rilevanza della cultura nella vita quotidiana delle persone attraverso il dialogo e uno scambio bidirezionale di idee, conoscenze e competenze tra le organizzazioni culturali e i loro pubblici, compresi coloro che sembrano non mostrare alcun interesse verso l'arte e la cultura.

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