• Non ci sono risultati.

Capitolo 5. Il lato dell'offerta Pratiche e modelli di Audience

5.4. Cercasi non pubblici disperatamente

5.4.3. Non pubblici generic

Se si prende in considerazione l'ambito più vasto dei non pubblici che non presentano né una vicinanza geografica né una precisa caratterizzazione socio- demografica, le azioni di Audience Development messe in atto dagli intervistati si concentrano soprattutto nel campo della comunicazione, anche se non mancano interventi che fanno leva sul fattore prezzo, sulla programmazione, sul coinvolgimento e sull'uso delle tecnologie digitali.

In maniera analoga a quanto accade per i pubblici più giovani, gli interventi che si focalizzano sulla rimozione della barriera economica prevedono, con diversi gradi di intensità, la possibilità di avere accesso a convenzioni e agevolazioni che riducono in modo considerevole la spesa che gli eventuali fruitori devono affrontare per prendere parte alle diverse attività. Si passa, così, dalla promozione di biglietti ridotti e tariffe scontate all'ingresso gratuito a una parte della programmazione, all'intera gamma di eventi proposti oppure alla sola collezione permanente, come accade nel caso di alcuni musei.

Come anticipato, le strategie comunicative giocano un ruolo determinante nel cercare di avvicinare coloro che sembrano non provare interesse nei confronti delle pratiche culturali. In riferimento a ciò, le interviste evidenziano un'attitudine comune tra le organizzazioni più sensibili a questo aspetto a usare un registro linguistico meno aulico e altisonante, preferendo un linguaggio fluido, amichevole, colloquiale, capace di emozionare e di instaurare un rapporto diretto e “alla pari” con i propri interlocutori. I cambiamenti nel modo di comunicare sembrano essere allo stesso tempo facilitati e resi necessari dal pervasivo utilizzo dei social media, che richiedono stili e contenuti specifici per ogni canale, oltre a una continua revisione delle stesse modalità comunicative. Se inizialmente questi strumenti servivano prevalentemente per trasmettere informazioni e aggiornamenti sulla programmazione e gli eventi in corso, reiterando la logica top-down tipica della comunicazione di matrice istituzionale, oggi le organizzazioni culturali affinano i dispositivi, le grammatiche e le narrative per adattarli al contesto della cultura digitale, in cui le persone tendono a premiare i contenuti che riflettono meglio i loro interessi e i contesti in cui possono portare il loro contributo creativo (Jenkins, 2006; trad. it. 2014):

“l'attività ovviamente è cambiata negli anni, perché da presidiare questi canali e usarli per postare un opening, un'iniziativa, ecc., siamo arrivati a creare dei veri e propri progetti di comunicazione negli ultimi anni. Per esempio, [...] l'anno scorso avevamo una mostra che si chiamava 'Viaggio in Italia' e quindi abbiamo deciso di promuovere la mostra [realizzando un] vero e proprio contest che invitava a mandare le proprie cartoline di viaggio al museo. [...] Questo contest andava sia su Facebook che sulla pagina Instagram del museo e quindi invitavamo a condividere gli scatti delle proprie vacanze, il proprio viaggio in Italia” (Museo 3);

“un uso dei canali social un po' più intelligente, cioè che vada al di là del singolo post dove si comunica la mostra o la visita guidata, o questo è il tessuto particolare del museo ti racconto la sua storia. Abbiamo fatto un esperimento in questo senso quando abbiamo avuto, l'anno scorso, la mostra dedicata al '700. Abbiamo lanciato una campagna su Instagram 'Settecento Now', che aveva l'obiettivo di interessare un pubblico amante della moda. E la compagna si è basata sul raffronto tra il patrimonio storico che avevamo in quel momento in mostra, quindi un abito originale del '700 o un tessuto originale del '700 comparato con la scarpa, l'accessorio, il dettaglio che si poteva ritrovare nella produzione contemporanea di un determinato stilista o di un determinato brand di moda. Quindi far capire come la creatività contemporanea si ispira al passato [...] Questo è stato un modo per cercare di accattivare verso il museo, e la mostra che avevamo in corso, tutte quelle amanti della moda che ci sono sui social” (Museo 7).

Parlando di strategie comunicative, risulta emblematico il percorso compiuto dal Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas di Palermo che è riuscito a riconquistare un pubblico che aveva lentamente dimenticato l'esistenza stessa dell'istituzione, chiusa a partire dal 2009 a causa di un complesso intervento di restauro (Spatafora, 2018), grazie a una serie di proposte culturali. Tra queste, il progetto “Aperti per vocazione” ha saputo utilizzare i social media come potenti strumenti per creare relazioni e autorevolezza, ma soprattutto per creare una comunità:

“quando nel 2013 abbiamo iniziato, la nostra sfida era quella di dimostrare che anche un museo chiuso se vuole può essere aperto e vivo. L'abbiamo fatto in purezza e questo è l'aspetto più bello di questa vicenda. In purezza, senza mezzi, senza soldi, senza ADSL, senza niente, solo con l'aiuto della comunità vera. [...] Quindi solo usando i social in modalità organica e soprattutto forzandosi di usarli per quello che sono, cioè strumenti per costruire relazioni finalizzate alla creazione di comunità, per appassionare le persone su un tema – che può essere la storia, l'archeologia, la

cultura in generale – questo è l'esperimento che abbiamo fatto. Se tu pensi che quando il museo era aperto – 8mila metri quadri – nel 2009 faceva 39mila presenze in un anno. Poi c'è stata la chiusura. Poi c'è stata una riapertura molto parziale, cioè 250 metri quadri – era una cosa simbolica che abbiamo voluto fare di aprire un cortile interno – allora in quei 250 metri quadri, con la comunicazione, in sei mesi [nel secondo semestre del 2014] abbiamo fatto 40mila presenze. Questo è un dato interessante perché ti fa capire quanto incide la comunicazione, e nel nostro caso quando parlo di comunicazione parlo solo ed esclusivamente di comunicazione social, cioè Twitter, Facebook, YouTube e Instagram”.

In uno scenario dominato dalla cultura convergente (Jenkins, 2006; trad. it. 2014), il successo dell'esperimento realizzato dal Museo Salinas è stato il frutto di una progettualità partecipata che è riuscita a coinvolgere gli utenti della Rete nella creazione di significati condivisi. Come fa notare Garrubbo (2018), «instaurare un dialogo costante con la cittadinanza, generare interesse, è un'arte complessa e nobile», ma anche una questione vitale per un'istituzione culturale (p. 183). In linea con questa visione Museion, il Museo di arte contemporanea di Bolzano ha deciso di lanciare una nuova campagna di comunicazione, utilizzando “lo slogan 'Meet My Community'”:

“questo Meet My Community si divide in tre parti. La prima parte appunto è Meet - quindi Meet Museion - e con Meet Museion noi intendiamo dire al pubblico che si può venire qua ed essere veramente uguali, se uno vede oppure no, se uno è disabile oppure no, perché noi offriamo a tutti un modo di incontrare l'arte. Poi con My

Museion noi vogliamo raccontare che si può prendere e usare questo museo anche se

non si conosce l'arte. Quindi puoi affittare degli spazi, puoi berti un bel caffè al sole sulla nostra terrazza, abbiamo il piano terra aperto al pubblico senza pagare dove si può stare a leggere un giornale. E poi Community è il nostro modo di raccontare come lavoriamo con persone di tutte le fasce della comunità, della società, dai più anziani ai più piccoli, alle scuole, ai giovani, ecc.”.

La maggiore attenzione riservata agli aspetti connessi alla comunicazione rinvia per alcune istituzioni all'adozione di un registro linguistico meno altisonante anche nei supporti comunicativi ufficiali come gli apparati didascalici dei musei, i programmi di sala o i testi di presentazione di una mostra o di uno spettacolo teatrale, che sovente respingono anziché attrarre gli utenti meno esperti a causa di uno stile che sembra rivolgersi in maniera esclusiva alla ristretta comunità degli addetti ai lavori:

l'obiettivo è che uno prenda in mano il programma e lo legga, no che lo svogli così e dopo due pagine ha troppo da leggere o ci sono testi molto criptici e quindi si sente respinto” (Festival 4);

“accettare di parlare una lingua che non è per forza quella che capiscono solo gli addetti ai lavori. Aprirsi in qualche maniera al pubblico significa anche, come dire, non abbassare il livello del contenuto, però certamente migliorare il livello della comunicazione” (Associazione Culturale 2).

Per rafforzare ulteriormente l'azione di semplificazione dei linguaggi, in virtù di una maggiore chiarezza e comprensibilità delle pratiche culturali, un numero ristretto di istituzioni cita le potenzialità offerte dai media tradizionali come la televisione e la radio per raggiungere un'utenza più vasta:

“cercare di semplificare talvolta, di raccontare in un modo un po' più d'appeal e [...] comprensibile da quello che è il pubblico più generale. Francamente mi piacerebbe vedere più prodotti di qualità in quelli che sono i media più generalisti. Quindi, secondo me, la TV è un volano fondamentale di divulgazione e in questo senso, per esempio, lavorare con la Rai per noi è stata [...] un'opportunità di divulgazione molto importante, [...] perché comunque è un primo punto di contatto. Quindi sicuramente i media più generalisti sono strategici in questo senso” (Festival

5);

“una collaborazione con una radio locale per raccontare ogni tanto alla radio un'opera della collezione” (Museo 11).

Sul fronte della programmazione una maggiore apertura verso coloro che sembrano preferire altri modi di trascorrere il proprio tempo libero si traduce, in particolare, nell'offerta di una serie di eventi esterni e collaterali alla programmazione ufficiale, solitamente gratuiti, ospitati in spazi all'aperto come le piazze e le strade cittadine, con una proposta di contenuti alternativi in grado di incuriosire le persone e invogliarle a partecipare:

“non più un festival che sta solo nei teatri, [ma] un festival che invade l'intera città, che va a cercare anche spazi altri [...] E grazie a questo andare a intercettare pubblici altri, che poi probabilmente verranno solo quando facciamo quel tipo di eventi, non verranno a teatro, però l'obiettivo è che comunque loro diventino consumatori culturali in qualche modo” (Associazione Culturale 2).

stato fatto dal Teatro Massimo con l'operazione “Piazza Massimo”:

“il nostro teatro si chiama Teatro Massimo però in realtà si trova a Piazza Verdi, ma molti la chiamano Piazza Massimo perché c'è il Teatro Massimo. L'idea è stata quella di posizionare proprio accanto al teatro, in questa enorme piazza che circonda il teatro, un maxischermo che mandasse in diretta l'opera che in quel momento si stava eseguendo all'interno. Quindi noi avevamo una Madama Butterfly dentro, però per entrare magari dovevi acquistarla ad un certo prezzo. Invece abbiamo messo un maxischermo fuori, previsto mille sedie e prendevamo ogni sedia un euro. Tra l'altro questa è una piazza di grande turismo, di grande passaggio, l'ingresso del centro storico. E questa è un'altra cosa che ha avuto una risonanza incredibile, perché magari qualcuno passava, vedeva questa cosa, pagava questo biglietto simbolico di un euro e aveva la sua sedia per vedersi in diretta, in contemporanea, la stessa opera che facevamo all'interno del teatro”.

Meno frequenti le azioni basate sul coinvolgimento che, laddove presenti, offrono la possibilità di partecipare a laboratori creativi oppure a programmi di volontariato che prevedono “più appuntamenti, quindi anche l'assunzione di una responsabilità, di un impegno che ti coinvolge” in un'attività ripetuta nel tempo. In linea con questo approccio, per colmare il gap di partecipazione il Lucania Film Festival sta sperimentando, ad esempio, una prassi basata sulla formazione e sulla scoperta dei linguaggi cinematografici attraverso il percorso di giurato popolare:

“tutti coloro che vogliono partecipare al festival e che vogliono avere un ruolo, diciamo da protagonista, attraverso l'individuazione, la selezione e perché no la premiazione, perché il nostro è un festival competitivo, possono partecipare a un percorso di qualifica per diventare giurato popolare. Cioè tutti possono aderire: noi lanciamo un bando a fine dicembre, in questo bando invitiamo chiunque, possono partecipare da tutte le parti d'Italia e hanno l'obbligo di frequentare cinque appuntamenti. In questi cinque appuntamenti ci sono cinque esperti, che vengono dal mondo della critica, dal mondo delle regia, della produzione, dal mondo dell'università, dal mondo della fotografia. Ogni relatore, docente, per ogni incontro prepara dei contenuti, dei moduli e prova a trasferire a tutti gli allievi che vogliono partecipare alla giuria popolare, conoscenze, informazioni, affinché poi alla fine di questi cinque percorsi gli allievi abbiano la possibilità di dare un giudizio un po' più qualificato sui film che vedranno al festival. Quindi la giuria popolare non è quella che tu trovi nel pubblico durante il festival, ma quel pubblico che tu formi otto mesi prima. Questo pubblico che fa? Partecipa agli incontri in modo fisico o online, attraverso la diretta di tutti gli incontri, una diretta streaming ad altissima definizione. Che cosa succede? Un allievo si iscrive, ha la possibilità di partecipare a

questo percorso, di partecipare alla comunità della giuria durante il festival, di avere modo di relazionarsi con gli organizzatori, di relazionarsi con gli ospiti del festival, avere una scontistica, avere i posti in prima fila, poter presentare i lavori, conoscere gli autori, premiarli. Però la cosa principe dell'Audience Development è questa. Cioè noi abbiamo capito che il nostro pubblico va coccolato, va formato e necessita di sentirsi parte integrante di una famiglia.[...] c'è un elemento di forza che pensiamo che sia davvero significativo, cioè il senso di appartenenza alla comunità è tutto. E per rafforzare questo sentimento, questo senso di appartenenza, […] stiamo sperimentando anche una cine-cena, nel senso che non sempre le persone vengono solo per acculturarsi, per partecipare alla selezione dei film. Nella maggior parte dei casi le persone vengono perché c'è un elemento aggregante, un elemento di comunità. Cioè le persone vanno alla ricerca di situazioni dove stare insieme, questo è un dato sociale veramente pregnante. Le persone non vedono l'ora che arrivi quell'appuntamento per ritrovarsi all'interno di una comunità, dove possono imparare, condividere e addirittura, perché no, anche cenare insieme”.

Le azioni basate sull'applicazione delle tecnologie digitali rappresentano una componente minoritaria all'interno del catalogo complessivo delle pratiche di

Audience Development adottate dalle organizzazioni intervistate, in quanto

richiedono tempo, risorse, personale specializzato e la capacità di assumersi dei rischi (Da Milano e Gariboldi, 2019). Sebbene sovente indirizzati a un'utenza trasversale che abbraccia tanto i pubblici abituali quanto quelli potenziali, gli interventi che cercano nuovi modi di rendere la cultura e l'apprendimento non solo accessibili ma anche compresi e ricordati, utilizzando il digitale, esercitano un forte potere attrattivo nei confronti dei pubblici più difficili da incuriosire (NEMO, 2015). Ne sono un esempio le ricostruzioni tridimensionali realizzate per favorire e facilitare l'interpretazione e la lettura dei reperti presenti all'interno di un sito archeologico, oppure la possibilità – offerta da due fondazioni lirico-sinfoniche – di seguire a distanza su un dispositivo digitale e in diretta streaming le opere ospitate all'interno del teatro. Accanto a queste iniziative, un progetto sicuramente più complesso e articolato è quello in corso presso il Museo Archeologico Nazionale di Taranto, finanziato dal Programma Operativo Nazionale Fesr Cultura e Sviluppo 2014/2020. Il progetto, che si chiama “MArTa 3.0”, prevede infatti cinque diversi campi di applicazione:

“il primo è un elemento di back office, quindi come migliorare la strumentazione e l'innovazione per lo staff [...]; l'altro punto innovativo è che stiamo creando un FabLab all'interno del museo. Sarà una vera e propria start-up che si occuperà di stampanti 3d e scanner 3d per tre finalità diverse: la prima per motivi di studio, quindi la possibilità di avere riproduzioni di reperti archeologici a fini di ricerca;

l'altra a fini di fruizione e quindi creare dei percorsi tattili per non vedenti e ipovedenti e soprattutto per tutti e quindi il messaggio sarà 'vietato non toccare'; e l'altro punto è creare una linea di merchandising, di oggetti griffati MArTa, per cui si andrà alla boutique del museo e si potranno far stampare, per esempio, gli Ori di Taranto e ripartire con il prodotto griffato in modo tale che diventino un veicolo importante di un'identità, di un brand. L'altro elemento è un nuovo allestimento che comunque sarà armonico all'interno dell'allestimento esistente, che rimarrà. Sarà un allestimento digitale, interattivo e multisensoriale, con anche la creazione di una sala immersiva in realtà aumentata che possa mostrare gli elevati, perché [...] il visitatore non riesce quasi mai ad immaginarsi gli elevati se non è un addetto ai lavori. L'altra parte riguarda la comunicazione e si concentrerà su un restyling dell'immagine coordinata con una rinnovata identità visiva, un restyling del logo, un nuovo sito internet e poi un lavoro approfondito sulla reputazione, sul contenuto valoriale e sulla creazione di una vera e propria identità di brand del MArTa. L'altro elemento importante è questo progetto molto grande, complesso, sulla digitalizzazione di 40mila reperti che saranno fruibili in open data. Quindi la creazione di un database in cui saranno reportoriati tutti i nostri reperti e poi nella hall, proprio perché crediamo nella fruizione per il pubblico e non solo per gli addetti ai lavori, ci sarà una grande collection hall, quindi uno schermo tattile con varie icone su cui si potrà cliccare e si potrà accedere alle informazioni anche di reperti e di tesori mai visti, che sono conservati nei nostri depositi e non sono immediatamente fruibili dal pubblico”.

Secondo quanto emerge dalle interviste rispetto al confronto con una platea vasta e variegata di persone solitamente assenti dagli spazi culturali, l'accento posto sugli aspetti comunicativi può essere interpretato come la volontà di lasciarsi progressivamente alle spalle la retorica dell'autoreferenzialità, che nel corso del tempo ha contribuito a creare una distanza sempre maggiore tra l'offerta e la domanda di cultura. L'attuale predominanza degli aspetti cognitivi, emozionali e relazionali che richiedono nuovi linguaggi e forme espressive, sta spingendo le organizzazioni culturali a scendere dalle proprie torri d'avorio, ad adottare stili comunicativi meno formali e a riscoprire la dimensione della socialità e il legame con la propria comunità di appartenenza.

Documenti correlati