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Dottore di ricerca in Innovazione tecnolo gica per l’ambiente costruito

XXII ciclo

Ibridazione tecnologica

L’ibridazione tecnologica viene, in questo caso, inter- pretata come l’idea di coniugare le tecnologie po- vere, intese come locali, facilmente reperibili, a basso costo iniziale e di manutenzione e autogestibili, con quelle innovative, anche audaci, derivate dalla ricerca operata a tutti i livelli.

L’ibridazione viene intesa come motore per arrivare a materiali, metodi costruttivi, sistemi di gestione dei processi nuovi, con valenze specifiche che non cor- rispondono alla semplice sommatoria dei due fattori che li hanno generati, ma che acquisiscono un loro valore peculiare.

Il ricorso alle tecnologie povere può contribuire a dare risposte valide a problemi contingenti, ma non ha, di solito, la forza di incidere in maniera determi- nante sulla crescita delle comunità e di innescare processi di promozione dello sviluppo. Per questo, soprattutto in contesti depressi come quelli dei Paesi a Basso Sviluppo Umano1, è necessario arricchirle

con contributi nuovi come il ricorso a tecnologie in- novative caratterizzate da un forte contenuto scien- tifico e dall’essere avanzate.

Con “tecnologie a forte contenuto scientifico” si in- tendono quelle basate sullo studio, l’analisi, la pro- grammazione, il controllo e quanto scaturisce dal

know how maturato dagli attori dei processi di ibri-

dazione. Nel parlare, poi, di “tecnologie avanzate” ci si riferisce a quelle tipiche della fase postindustriale, caratterizzate dal basso prezzo, dalla riproducibilità in serie, dalla possibilità di produzione decentrata e da un potenziale apporto informatico di alto livello e valore2.

In parole più semplici l’ibridazione è l’applicazione di conoscenze scientifiche e tecniche alle risorse mate- riali, e non solo, disponibili.

Un esempio può chiarire il concetto: nel mondo delle costruzioni si può parlare del mattone in terra stabilizzata. Dall’unione di un materiale povero (la terra), uno derivato dai processi di produzione in- dustriale (il cemento) e attraverso l’introduzione di nuovi processi produttivi (la sostituzione della sago- matura manuale, o con forme lignee, dei mattoni con quella eseguita con presse manuali o meccaniche) si arriva ad un nuovo prodotto, distinto per caratteris- tiche e prestazioni da quello in semplice terra cruda, ma anche da quello in laterizio cotto a cui tanto somiglia.

Questo contributo vuole focalizzare l’attenzione del lettore sulla sperimentazione intesa come metodo di ricerca, come occasione per approfondire la conoscenza del tema indagato attraverso un’espe- rienza che va oltre la lettura del pensiero e delle opinioni dell’altro tipica della ricerca documentale. Al fondamentale passaggio dallo studio di quanto è già stato fatto e detto sul tema d’indagine, con la sperimentazione si vuole promuovere l’esperienza diretta realizzata attraverso l’indagine sul campo e soprattutto la messa a punto di attività di laborato- rio.

La ricerca teorica si arricchisce, quindi, di una parte di lavoro pratico in cui si verificano procedure, pro- prietà dei materiali, loro limiti e potenzialità d’impiego.

Ritengo che l’esperienza diretta rappresenti un’occa- sione di conoscenza più profonda ed efficace e che permetta di innescare dei processi di innovazione di prodotto e/o di processo proprio alla luce del mag- giore coinvolgimento del ricercatore.

Il lavoro in laboratorio costituisce, per esempio, una tappa fondamentale nella realizzazione di nuovi ma- teriali o l’ideazione di processi innovativi nell’ottica dell’ibridazione tecnologica.

1. Guaina di bambù in fase di distacco dal culmo

Nell’ottica della realizzazione del materiale compos- ito, il bambù è stato scelto come rinforzo da impie- gare in abbinamento ad una matrice con funzione conglomerante.

Il pannello oggetto della sperimentazione è stato chiamato REBA a partire dai nomi dei due compo- nenti principali del pannello: la REsina e il BAmbù. Del bambù si è scelto di utilizzare la guaina, un ele- mento sottile ma robusto, che ha la funzione di pro- teggere, sostenere e irrigidire il giovane culmo (il fusto), i rizomi e i rami nella loro fase di rapida crescita.

Le guaine costituiscono il sistema naturale di pro- tezione dagli attacchi esterni di insetti e funghi. Una volta che il culmo cresce e si rafforza, di solito al rag- giungimento della massima altezza della pianta, se ne distaccano naturalmente andando ad accumularsi al suolo.

Si è ritenuto interessante impiegare nella ricerca un prodotto di scarto della produzione agricola del bambù, nell’ottica della massima valorizzazione di questa risorsa naturale.

Per la scelta della resina si è inizialmente pensato di impiegare un prodotto naturale ma, a seguito di L’ibridazione tecnologica non deve essere letta come

una soluzione di ripiego, ma come una scelta per promuovere, confrontandosi con le potenzialità e i limiti del contesto in cui si opera, una linea di ricerca innovativa e incisiva.

La scelta di attuare forme di ibridazione tecnologica deve essere forte e consapevole; a volte è complessa perché non basata su dati certi, per cui tutto va, di volta in volta, verificato. Nel caso dell’ideazione e re- alizzazione di un nuovo semilavorato, ci si riferisce al- la scelta dei materiali, ai processi di produzione dei manufatti, alle prestazioni fornite dal prodotto finale, a tutti i passaggi che devono essere prima pensati, poi attuati e, infine, validati.

La ricerca che si vuole presentare è stata pensata proprio nell’ottica dell’ibridazione tecnologica; un sis- tema di copertura costituito da pannelli ondulati stratificati realizzati con parti della pianta di bambù e resina.

Ideazione del sistema di copertura

L’obiettivo di questo progetto di ricerca è quello di ideare e sperimentare un sistema di coperture che, attraverso l’impiego di risorse largamente disponibili in natura, possa garantire prestazioni idonee alla fun- zione da assolvere.

L’oggetto dello studio è scaturito dalla considerazione, maturata nel corso di numerose missioni nei Paesi a Basso e Medio Sviluppo Umano e attraverso un’ap- profondita ricerca bibliografica, che il mercato locale, soprattutto nelle aree rurali di queste nazioni, non ri- esce a dare risposte soddisfacenti al problema delle coperture. Focalizzato l’ambito di studio sul tema delle chiusure superiori oblique ci si è posti l’obiettivo di ideare e sperimentare un sistema di copertura innov- ativo che garantisca buone prestazioni in termini di ri- paro dagli agenti atmosferici e autoportanza degli ele- menti. Si è appurato come le soluzioni in lamiera e fi- brocemento determinino, ancora oggi, problemi da di- versi punti di vista: emerge, quindi, la necessità di guardare alla questione in maniera diversa.

Il filo conduttore della ricerca è l’uso di materiali lo- cali, possibilmente naturali e rinnovabili, disponibili sul territorio.

Tra questi si è scelto di usare il bambù perché è largamente diffuso in diversi Paesi a Basso Sviluppo Umano e per la possibilità di facile reperimento per larghe fasce di popolazione.

2. Intreccio delle strisce di guaina

Realizzazione e verifica prestazionale dei pannelli La ricerca è stata sviluppata in due momenti distinti: 1° la definizione della tipologia e delle quantità di materiali costituenti, che ha portato alla messa a pun- to dei prototipi, anche attraverso la sperimentazione di diverse soluzioni;

2° l’esecuzione delle verifiche di comportamento funzionale dei prototipi, con prove di laboratorio ispirate alle norme esistenti.

Nella fase iniziale della ricerca sono state effettuate due campagne di raccolta delle guaine presso un’azienda agricola di Cravanzana (CN) e sempre da bambuseti della specie Phyllostachys Bambusoides. Il processo di trasformazione delle guaine ha previs- to una loro pulizia preliminare, la stiratura, attraverso il semplice strofinamento con una superficie liscia ad angolo retto e il successivo taglio in strisce di 15 mm. La dimensione delle strisce è stata decisa a seguito di diverse prove di intreccio per le quali sono state us- ate strisce da 10 a 30 mm.

Una volta ottenute, le strisce sono state intrecciate secondo una maglia romboidale; la scelta finale delle forma della maglia è derivata da diversi tentativi, a se- un’approfondita ricerca svolta sia sul mercato che

nell’ambito dei centri di ricerca nazionale, si è dovuto ripiegare sull’uso di una resina di sintesi. Quelle naturali attualmente disponibili non garan- tivano, infatti, proprietà adeguate all’uso in coper- tura.

La resina scelta per la sperimentazione è la Jesmonite; sotto questo nome è racchiuso un gruppo articola- to di resine a base d’acqua3.

Tra i diversi prodotti, quello ritenuto più idoneo ai fi- ni della sperimentazione è la Jesmonite AC100, una resina bi-componente costituita da un’emulsione acrilica in acqua (Jesmonite AC100 liquido) e una car- ica minerale a base di calcio (Jesmonite AC100 pol- vere).

Guaine e Jesmonite sono i due prodotti alla base del- la sperimentazione che si andrà a descrivere. Il sistema di copertura prevede la realizzazione di pannelli attraverso la stratificazione di stuoie realiz- zate con l’intreccio di strisce di guaina e la stesura di sottili strati di resina utili a unire le stuoie tra loro e a creare una protezione superficiale impermeabile sulle due facce degli elementi finiti.

3. Prove di impermeabilità all’acqua 4. Prove di resistenza meccanica

La Jesmonite, se addizionata con il ritardante, prevede un tempo di consolidamento di due ore. Al termine di questo intervallo si è proceduto alla scasseratura dell’elemento che ha assunto la forma ondulata. La seconda fase prevede la realizzazione di un chilo di Jesmonite e la sua stesura a pennello, o a spatola, su una delle due superfici dell’elemento ondulato al fine di irrobustire e impermeabilizzare il pannello. Al composto è stata anche aggiunta una piccola per- centuale di segatura di bambù utile a ridurre la quan- tità di Jesmonite usata, e quindi i costi.

In questa seconda fase il processo di consolidamen- to della Jesmonite è più rapido, perché avviene al- l’aria aperta; si è, però, ritenuto utile attendere co- munque due ore prima di procedere alla realiz- zazione della terza fase che prevede la stesura della

Jesmonite sulla superficie ondulata ancora libera.

Sono stati realizzati cinque elementi stratificati in bambù e resina allo scopo di sottoporli a prove di laboratorio per verificarne le proprietà più significa- tive.

Si tratta di prove di resistenza meccaniche e di im- permeabilità all’acqua considerate le più significative in relazione all’uso dei prototipi in copertura. La prova di impermeabilità all’acqua è finalizzata a verificare la capacità delle lastre ondulate di non es- sere attraversate da sostanze liquide.

La verifica è stata effettuata sottoponendo i prototipi al contatto diretto con due colonne d’acqua di 60 mm di altezza per 24 ore. Le due provette conte- nenti l’acqua sono state collocate una nella parte concava e una in quella convessa del provino. Le prove di resistenza meccanica non sono state pensate solo nell’ottica della verifica dei carichi di guito dei quali si è appurato che questa si dimostra

maggiormente compatibile con la curvatura delle stuoie necessaria per la realizzazione degli elementi di copertura ondulati.

Per la messa a punto dei prototipi, la prima fase è consistita nella preparazione della miscela di

Jesmonite attraverso la pesatura, effettuata con una

bilancia elettronica, dei componenti e la loro mesco- latura ottenuta con l’uso di un miscelatore azionato da un trapano elettrico. Per semplificare le oper- azioni di assemblaggio delle stuoie si è ritenuto utile usare nel composto anche qualche goccia di una soluzione utile a rallentare il processo di polimeriz- zazione della resina dando, così, più tempo per pro- cedere alla sua spalmatura sopra le guaine.

Collocata la prima stuoia sulla forma si è proceduto alla stesura a pennello su di essa di uno strato sottile di Jesmonite fino a coprirla completamente. La sec- onda stuoia è stata poi sovrapposta alla prima con una leggera pressione per favorirne l’incollaggio e an- che su di essa è stato steso uno strato di resina. La terza stuoia è stata posta sulla seconda e pressata con le mani.

L’elemento, ormai costituito da cinque strati, è stato successivamente coperto con un telo di polietilene. Sul telo è stata posta la quantità necessaria di sabbia utile a colmare gli spazi concavi del pannello ondula- to usato come forma e a garantire una superficie di appoggio piana ai due sacchi di sabbia di 30 kg cias- cuno che sono stati collocati, successivamente, sopra l’elemento stratificato. Questa zavorra è stata utile per determinare una pressione uniforme sul pro- totipo e rendere possibile l’adesione delle stuoie tra loro.

Note

1. La definizione si riferisce alla classificazione HDI (Human Development Index) dei Paesi a scala mondiale redatta dalle Nazioni Unite. L’HDI divide i Paesi in tre categorie (a Basso, Medio e Alto Sviluppo Umano) in base all’aspettativa di vita della popolazione, alla scolarizzazione adulta e infantile e al PIL.

2. Le definizioni sono quelle usate dal gruppo di ricerca nato e matura- to dal lavoro e dal pensiero del prof. Giorgio Ceragioli.

3. La Jesmonite è prodotta e commercializzata dalla società inglese Jesmonite Limited.

4. Vittoria E., Boaga G., Problemi dell’industralizzazione edilizia, Ente auto- nomo della fiera del Mediterraneo, Palermo, p. 11.

rottura degli elementi ondulati. L’esperienza di labo- ratorio è servita, anche, per accertare l’attitudine del rinforzo e della matrice del composito alla collabo- razione in fase di sforzo; a definire, a prescindere dal collasso meccanico, il deterioramento degli elementi di copertura e la messa in discussione della loro im- permeabilità; alla definizione del campo elastico e plastico dei pannelli.

Entrambe le prove hanno dato ottimi risultati. Tutti i pannelli hanno superato quella di impermeabilità non avendo manifestato nessun segno di passaggio di liquido dalla superficie superiore a quella inferiore dei provini.

Le prove di resistenza meccanica dei cinque pannelli non hanno mai portato alla rottura dei provini che hanno accusato un deterioramento superficiale sen- za mai cedere al carico generato dalla macchina. La resistenza a flessione dei pannelli è risultata com- presa tra i 2,1 e i 2,8 kN.

Tutte le fasi della sperimentazione, a partire dal reperimento del materiale, fino al confezionamento dei provini, hanno permesso di evidenziare elementi di miglioramento progressivo della produzione. Alcuni sono stati attuati durante il lavoro, altri sono pensabili nell’ottica della prosecuzione della ricerca. In relazione alle prove, si può dire che i risultati con- seguiti hanno superato le attese, soprattutto in ter- mini di resistenza meccanica. Alla luce di questi dati è possibile pensare a delle modifiche e a conseguenti ottimizzazioni come, ad esempio, la riduzione del nu- mero di stuoie o quella della quantità di resina usata. Alcune scelte restano elementi irrinunciabili della sperimentazione del sistema: prima di tutto la realiz- zazione di un materiale composito e, inoltre, l’ese- cuzione della pressatura senza il ricorso a macchine a caldo.

Conclusioni

La ricerca è nata come risposta ad un’esigenza reale riscontrata nei Paesi a Basso Sviluppo Umano, si è ar- ricchita di periodi di formazione sul campo svolti in Cina in relazione alla conoscenza del bambù e in Mozambico in aree rurali in un contesto già interes- sato da interventi di progetti di cooperazione inter- nazionale in cui si è individuato il caso studio svilup- pato nella ricerca.

Il lavoro è stato poi concentrato sull’attività pratica svolta in laboratorio.

La ricerca ha dato buoni risultati che costituiscono la base su cui lavorare in futuro per sviluppare ulterior- mente la sperimentazione e metterla in atto concre- tamente nel contesto mozambicano. Come spesso accade, il lavoro di ricerca ha dovuto fare i conti con limiti economici, di spazi e di tempo ma i risultai non sono mancati.

Il dottorato mi ha permesso di coniugare il sapere empirico con l’esperienza pratica e questo costitu- isce per me un interessante traguardo.

Credo sia importante sottolineare quanto ho matu- rato negli anni di ricerca in cui si è consolidata la con- sapevolezza della responsabilità etica di cui è investi- to il tecnologo che deve porsi come promotore di sviluppo economico e sociale nell’ottica della sostenibilità ambientale.

Questo ruolo, apparentemente nato in un contesto contemporaneo, era già stato sostenuto negli anni ’70 dal prof. Eduardo Vittoria, che nei suoi scritti pro- muoveva un’attenzione per il mondo costruito “mi- nore spontaneo, popolare”4e sottolineava le poten-

zialità della tecnologia non solo intesa come scienza, ma come disciplina che, anche attraverso la speri- mentazione, permette di definire una pluralità di al- ternative progettuali. Il fruitore ultimo di queste soluzioni è l’individuo, l’obiettivo è il soddisfacimento delle sue esigenze. In quest’ottica la sperimentazione si pone come motore di innovazione al di là delle consuetudini tecniche.

Riferimenti bibliografici Vittoria E., Boaga G., (1975)

Problemi dell’industralizzazione edilizia, Ente au-

tonomo della fiera del Mediterraneo, Palermo Bocco A., Cavaglià G., (2008)

Cultura tecnologica dell’architettura. Pensieri e parole prima del progetto, Carocci, Roma

Caltabiano I., (2010)

Componenti edilizi da materiali rinnovabili tra tradizione e innovazione. Progettazione di un sistema di copertura e sperimentazione di elementi ondulatio in bambù e resina, Tutor: Maritano N. Ricerca di Dottorato,

I materiali lapidei