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Profili egemonici del penale negli Statuti fiorentini del primo Quattrocento

3. L’egemonizzazione del penale nelle rubriche del tractatus Ordinamentorum Iustitiae.

L’itinerario percorso lungo i sentieri delle forme di repressione del dissenso politico previste a livello di disposizioni statutarie sarebbe incompleto se non

potestatem, sed omnis habens condendi potestatem habet iurisdictionem». Gli Statuti fiorentini, nella redazione del 1415, ancora non si distaccano dalla iurisdictio, immagine e cuore, come ha sottolineato Costa, del potere politico fra Medioevo e prima età Moderna. Anzi, proprio la versione degli Statuti curata da Paolo di Castro, ristabiliva il primato della iurisdictio dopo che la cassata compilazione del 1409 aveva, viceversa, assegnato una preminenza inusitata ai problemi della gubernatio, facendo esordire il testo con le norme su Signori e Collegi (Tre maiora offitia huius urbis cum eius membris) e relegando quelle sugli uffici propriamente giudiziari di Podestà, Capitano ed Esecutore (offitia Rectorum forensium) alla quinta Collatio. Cfr. sul punto FUBINI, La rivendicazione di Firenze della sovranità statale e il contributo delle “Historiae” di Leonardo Bruni, cit., pp. 47-54.

62 Statuti di Firenze del 1415, III, 62 De premio revelantium tractatum, vol. I, pp. 282-283, dell’edizione a stampa. In particolare, la parola obedientia è leggibile a p. 282.

63 Per la precisione, la rubrica 61 menziona i rei di cospirazione come dei proditores, mentre la parola rebellio ricorre più volte, declinata in vario modo, nella rubrica 63.

98 esaminassimo pure alcune rubriche ricomprese all’interno di una particolare sezione dei nostri Statuti: il tractatus Ordinamentorum Iustitiae. Sono almeno tre le ragioni che concorrono a rendere peculiare questa sezione.

Innanzitutto, è solo in occasione del progetto di revisione statutaria avviato sull’onda dei drammatici sconvolgimenti politici, istituzionali e sociali di fine Trecento e poi culminato nelle due redazioni del 1409 e del 1415, che il testo degli Ordinamenti di Giustizia, sempre legato fin dal Duecento ad una tradizione manoscritta autonoma, viene incorporato nel medesimo codice degli Statuti64. Inscrizione statutaria che viene realizzata scegliendo una collocazione specifica, che esaltasse soprattutto il corposo nucleo di norme a contenuto criminale avente come destinatari esclusivi i Magnati e messo a punto in quegli anni di trapasso fra XIII e XIV secolo, culla della pubblicizzazione del penale65. Invero, già la versione del 1409 ospitava il testo degli Ordinamenti all’altezza della nona ed ultima partizione, subito dopo la Collatio VIII De

maleficiis. Dopodiché, cassata la compilazione curata dal Montegranaro, la Collatio IX,

un poco alleggerita nel numero di rubriche – 101 contro 129 – viene trasposta nella redazione del Castrense in maniera tale da formare un tractatus, ossia una appendice tematica specifica, integrativa del libro terzo sulle cause penali assieme con il tractatus sui cessanti e fuggitivi (con contenuti assimilabili al nostro diritto fallimentare).

La seconda ragione di peculiarità di questa sezione ha a che vedere con il proemio degli Ordinamenti. È un enunciato molto innovativo dove alla tradizionale invocazione rivolta ai Santi protettori di Firenze seguono parole di questo tenore:

64 L’innovatività di quest’operazione si spiega per due ragioni. Da una parte, negli anni delle due redazioni statutarie (1409-1415), a seguito dell’intervenuta equiparazione dei tre Rettori forestieri, perde forza l’idea di mantenere staccati dalle disposizioni statutarie gli Ordinamenti di Giustizia in veste di Ordinamenti dell’Esecutore, così come nel Trecento si avevano uno Statuto del Podestà e uno Statuto del Capitano del Popolo. Dall’altra, si può vedere siffatta scelta come perfettamente coerente con quel tentativo, maturato fra il 1394 e il 1415 – quindi, in pieno regime albizzesco – di rompere il pluralismo dei luoghi di raccolta delle norme della civitas, in favore della promozione di un unico, grande, corpus organico e tendenzialmente onnicomprensivo, oltretutto, a proiezione territoriale.

65 Sugli Ordinamenti, il rinvio d’obbligo è al classico G. SALVEMINI, Magnati e Popolani in Firenze dal 1280 al 1295, saggio introduttivo di E. Sestan, Torino, Einaudi, 1960. Sulla precoce pubblicizzazione del penale nelle città comunali dell’Italia centro-settentrionale, cfr. SBRICCOLI, «Vidi communiter observari», cit.

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Ad onore, esaltazione e trionfo della cattolica, santissima e potentissima e immutabile, tutta, parte guelfa, dei guelfi della città di Firenze, e di tutto il suo territorio, e ad aumento dello stato popolare dei guelfi e della stessa città66.

Scompare, dunque, qualsiasi riferimento al tranquillo e pacifico stato delle Arti e del Comune67. Si preferisce, viceversa, insistere sull’esaltazione del nuovo ruolo di Firenze come città dominante, provvista di un suo territorio. Il fatto, poi, di intitolare il testo degli Ordinamenti alla Parte Guelfa, se a prima vista può apparire contraddittorio, è invece sintomo di come, a quel tempo, il potere fosse nuovamente tornato nelle mani della vecchia oligarchia guelfo-magnatizio-mercantesca68, ossia di quel ceto dirigente frutto della fusione fra ricchi mercanti e finanzieri e Magnati disposti ad accettare l’ideologia di Popolo, accomunati dalla fede nel guelfismo; una fusione che si era resa possibile proprio grazie alla legislazione antimagnatizia, di cui gli Ordinamenti di Giustizia del 1293-1295 rappresentavano l’espressione massima. Né bisogna trascurare il dato che, nel Quattrocento, l’ufficio di Parte Guelfa era fra i più attivi a propagandare la politica espansionistica fiorentina, quantomeno dagli anni delle guerre contro i Visconti di Milano69. Fra l’altro, l’importanza mantenuta da quest’ufficio, sia pure in una veste ormai di entità non più autonoma come al tempo dell’ammonire trecentesco bensì irreggimentata, funzionale alla cura e alla crescita del regime elitario, ci pare confermata dalla rubrica – che però, esula dal presente trattato sugli Ordinamenti – 352 Statuta partis

guelfae confirmantur, libro quinto, trattato primo, dove si legge:

Quindi stabiliamo che tutti gli statuti, provvisioni e riformagioni della parte guelfa, ovvero tutte le disposizioni loro annesse, fatte dalla parte stessa o dal comune di Firenze o per autorità dello stesso comune,

66 Statuti di Firenze del 1415, tractatus Ordinamentorum Iustitiae (d’ora in avanti TOI), Proemium, vol. I, p. 407, dell’edizione a stampa: «ad honorem, exaltationem et triumphum catholice santissime, et potentissime et incommutabilis totius partis guelfe, seu guelforum civitatis Florentiae, totiusque eius territorii, et augmentum status popularis guelforum eiusdem civitatis».

67 Cfr. il testo del proemio della pregressa redazione degli Ordinamenti, in La legislazione antimagnatizia a Firenze, a cura di S. Diacciati e A. Zorzi, Roma, ISIME, 2013, pp. XV-XVII: «ad honorem, exaltationem, fortificationem et augmentum regiminum domini potestatis et domini defensoris et capitanei et offitii dominorum priorum artium et vexilliferi iustitie; nec non ad veram et perpetuam concordiam et unionem, conservationem et augmentum pacifici et tranquilli status artificum et artium et omnium popularium et etiam totius comunis et civitatis et districtus Florentie».

68 Cfr. TABACCO, Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano, cit., pp. 330 ss., 350 ss. 69 Cfr. L. DE ANGELIS, La revisione degli Statuti della Parte Guelfa, in Leonardo Bruni cancelliere della Repubblica fiorentina, cit., pp. 131-156, in part. p. 153.

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siano confermate e lasciate intoccate, e che permangano nella loro forza, niente affatto derogate per effetto dei presenti statuti o di qualunque altro statuto o ordinamento del comune di Firenze70.

Un ruolo niente affatto marginale pure per quanto riguarda il tema dei reati politici, considerato che i condannati come ribelli erano passibili di registrazione in un apposito libro, istituito nel giugno 138271, e tenuto proprio dalla Parte Guelfa72.

La specificità tematica è alla base della terza ragione che contribuisce, non solo a rendere particolare il tractatus, quanto soprattutto ad inserirlo a pieno titolo nella nostra ipotesi ricostruttiva sui profili egemonici del penale negli Statuti fiorentini del Quattrocento. Difatti, anche solo dedicandogli uno sguardo di massima, è immediatamente intuibile che il testo perde molto del suo originario carattere di normativa antimagnatizia; lo stesso magistrato un tempo preposto a custodire quella normativa, l’Esecutore, appare come sganciato dalla funzione di tutela della legislazione contro i Magnati, per essere inserito in una più complessa varietà di funzioni, ridotto cioè ad una semplice emanazione dell’imponente apparato burocratico in via di definizione negli anni del regime albizzesco73. Viceversa, il nuovo testo sembra concentrarsi parecchio sulle disposizioni che regolano l’esclusione politica attraverso lo strumento penale antimagnatizio, volgendolo contro gruppi esterni al regime, o comunque ad esso apertamente ostili ma, soprattutto, contro delinquenti comuni74.

70 Statuti di Firenze del 1415, vol. II, p. 831, dell’edizione a stampa: «Item statuimus quod omnia statuta, provisiones, et reformationes partis guelfae, seu guelforum florentinorum, vel tractantia de materia ipsius, seu de connexis, et dependentibus abea edita ab ipsa parte, vel communi Florentiae, vel ipsius communis auctoritate sint firma, et illesa, et in suo robore permaneant, nec eis, vel alicui eorum intelligantur esse derogatum per praesentia statuta, vel per aliquod aliud statutum, vel ordinamentum commuis Florentiae». 71 ASF, PR, 71, cc. 57v-58v.

72 Statuti di Firenze del 1415, III, 61 De poena facientis congregationem, vel invitatam pro violatione status pacifici civitatis Florentiae, vel invadendo aliquam civitatem, vel locum, vol. I, pp. 278-281, dell’edizione a stampa, per cui vedi paragrafo 2 del presente Capitolo.

73 Tanto la redazione del 1409 quanto quella del 1415 perdono molti dei caratteri che facevano degli Ordinamenti il simbolo della natura corporativa e artigiana delle istituzioni cittadine. È, ad esempio, il caso delle norme relative all’organizzazione corporativo-militare legata alle figure del Gonfaloniere di Giustizia prima, e dell’Esecutore poi. Disposizioni del genere erano piuttosto numerose nelle due storiche redazioni del 1293 e del 1295; nella versione del 1415 non siamo riusciti a rintracciare una sola rubrica che tratti espressamente di ciò. La qual cosa andrebbe, forse, ricollegata al noto processo di progressiva esautorazione delle Compagnie armate del Popolo, in favore dell’impiego massiccio di truppe mercenarie e della creazione, nel gennaio del 1393, di una nuova milizia composta di 2.000 cittadini di provata fede guelfa, reclutati dai nostri Otto di Guardia; su quest’ultimo aspetto, vedi retro, Capitolo I.

74 Cfr. La legislazione antimagnatizia a Firenze, cit., p. XXXIII: «A partire dalla metà del XIV secolo la categoria dei magnati era divenuta una semplice definizione giuridica, completamente disgiunta dalle

101 Sembra, così, affiorare – in particolare, dalle rubriche 24, 28, 29, 70, 71 – un altro, preciso, tratto caratteristico del processo di egemonizzazione del penale modellato dal paradigma dell’infrazione politica. Un tratto che queste disposizioni ordinamentali colorano, invocando, ancora una volta, l’uso del linguaggio. Si allude, qui, alla ricorrenza nelle suddette rubriche della endiadi atrox-enormitas. La enormitas – che la tradizione giuridica medievale comincia ad usare indistintamente come sinonimo della atrocitas romana – univa sullo stesso piano i crimini realmente lesivi delle autorità superiori (ossia, la maestà divina e le maestà terrene) a tutto il sottobosco di fatti delinquenziali comuni che, per quanto gravi potessero essere, non arrivavano propriamente ad investire l’ordo

civitatis nelle sue declinazioni di ordinamento politico, sociale e religioso75. È la testimonianza inequivocabile di quel preciso aspetto dell’egemonico che si sostanzia nella lenta, ma progressiva, inesorabile dilatazione del paradigma dell’infrazione politica e, ovviamente, della connessa risposta repressiva, a gran parte dell’universo criminale; un aspetto che può dirsi compiutamente delineato solo fra Cinque e Seicento e cioè quando, a livello politico-istituzionale, si registra l’assolutizzazione della forma Stato giurisdizionale76.

Si prenda, a titolo esemplificativo, la rubrica 28 Quod offendentes dominos, et

collegia sint magnates77. La prima parte della disposizione è quella più chiaramente politicizzata, non fosse altro perché il fatto criminoso va a colpire la Signoria con i Collegi – cioè a dire gli uffici di vertice della Repubblica – e, attraverso quelli, indirettamente la

civitas e il suo ordinamento politico. Si comincia, pertanto, col prevedere che l’autore di

un’offesa semplice rivolta ai Signori, ai Collegi e al loro corpo notarile, sia punito con

caratteristiche sociali degli individui che vi rientravano. La condizione magnatizia non si ereditava più per nascita, ma si poteva acquisire, o meglio, subire, in qualsiasi momento della propria esistenza: era sufficiente trovarsi dalla parte politica in quel momento in minoranza o anche non essere in regola col fisco cittadino per essere iscritto nella lista dei magnati. Questo allontanamento della definizione di magnate da ogni realistico profilo sociale è confermato dall’uso dell’abnorme categoria del sopramagnate per individuare i responsabili di reati gravissimi contro il regime al potere».

75 Cfr. SBRICCOLI, Crimen Laesae Maiestatis, cit., pp. 276, 293-295, 363-365; l’autore menziona l’endiadi atrox-enormitas a proposito della seditio, del turbamento dell’ordine pubblico, dei facinora seditiosorum e della risposta repressiva riservata al reato politico. Cfr., altresì, J. THÉRY, Atrocitas/enormitas. Per una storia della categoria di crimine enorme nel basso Medioevo (XII-XV secolo), in «Quaderni storici», CXXXI (2009), 2, pp. 493-521.

76 Cfr. SBRICCOLI, Crimen Laesae Maiestatis, cit., p. 263.

102 una pena doppia rispetto a quella ordinaria. Alla condanna, valida anche se pronunciata in contumacia, deve aggiungersi la dichiarazione di Magnate, se il reo è un Popolano, ovvero di super Magnate, se già Magnate. Quindi, si passa ad un livello superiore di offesa. Infatti, la persona che uccida una delle autorità predette diventerà, «ipso facto», ribelle, Magnate, se di Popolo, ovvero super Magnate, se già Magnate, infine, escluso da ogni ufficio e beneficio che la Repubblica riconosce ai cittadini obbedienti. Tale trattamento si estende automaticamente ai suoi discendenti fino al terzo grado, a meno che consegnino alla giustizia pubblica, vivo o morto, il diretto responsabile, entro un anno dall’intervenuta condanna. Si dà, inoltre, ai consorti del reo la possibilità di «vindicare omni vindicta in persona principalis offendentis, et fratrum, filiorum ipsius malefactoris, et descendentium ipsius usque in quartum gradum natorum tempore dicti malefitii commissi, et cum omni societate quam voluerint habere»78. Quest’ultimo passaggio merita di essere sottolineato perché, indirettamente, attesta il grado di eccezionalità che ormai, 1415, veniva riservato alla vendetta, un tempo nucleo primigenio del penale nelle città italiane79. Qui, invece, la vendetta viene vista come una sorta di privilegio da concedere a quanti, in un certo senso, vogliono dare il loro contributo a che la giustizia faccia il suo corso. Chiunque, anche se non si è legati da qualche forma di vincolo con il colpevole, consegni lo stesso, vivo o morto, alle autorità, potrà andare esente da qualsiasi altra pena in perpetuo e da quella particolare forma di imposizione fiscale denominata prestanza. Non solo. Gli viene poi data licenza di portare con sé armi sia da offesa (di regola, illegali, ricordiamolo) che a difesa, e non potrà essere perseguito dai Rettori o da altri ufficiali pubblici «pro aliquo debito communis Florentiae», se non previa deliberazione di Signori e Collegi.

Il livello di offesa e, insieme, di politicità crescono ancora di più laddove si dice che chiunque offenda nella persona «aliquem qui fuerit de prioribus artium, et vexilliferi iustitiae, vel eorum collegiis, vel notariis ipsorum ab an. millesimo tercentesimo octuagesimo primo quo tempore fuit facta mutatio status civitatis Flor. in verum statum

78 Statuti di Firenze del 1415, vol. I, p. 438, dell’edizione a stampa, TOI.

79 Cfr. SBRICCOLI, Giustizia criminale, cit., pp. 164-165. Si tratta di una pratica, almeno per la Firenze del XV secolo, in disuso, stando alla ricostruzione tracciata da BRUCKER, Firenze nel Rinascimento, presentazione di S. Bertelli, traduzione di M.R. Bertelli, Venezia, La Nuova Italia, 1980. Si veda, in particolare, il documento riportato in appendice al volume, alle pp. 305-306.

103 popularem, et guelfum»80, sia punito con una pena doppia rispetto a quelle ordinarie e, in caso di omicidio, sia dichiarato, al solito, Magnate, se Popolano, ovvero super Magnate, se già Magnate.

Nell’ultima parte, emerge, con nettezza quella dilatazione del paradigma dell’infrazione politica all’area della delinquenza comune cui si accennava poco sopra. Si attribuisce, infatti, lo status magnatizio pure a qualsiasi persona che sia stata condannata, anche in contumacia, «pro aliquo homicidio». Lo stesso avviene, in una prospettiva territoriale, per quel comitatino o distrettuale del Dominio fiorentino che offenda nella persona un suo nemico, o un suo «dominum», ovvero un ufficiale della Repubblica fiorentina «deputatum per commune Florentiae ad reddendum ius».

Il regime di potere aveva tutto da guadagnare nell’estendere l’etichetta del Magnate o addirittura del super Magnate ai responsabili di reati gravissimi – appunto, «atrocia vel enormia»81 – contro l’ordine costituito così come ai delinquenti comuni, per le ricadute terribili che quell’etichetta comportava. Qualche esempio. I Magnati erano, innanzitutto, obbligati a dare sicurtà al Comune, a prevenzione dei crimini che potevano commettere82. Ai Magnati non era permesso vivere nello stesso quartiere della città o plebato del contado83, ma soprattutto erano esclusi da determinati uffici pubblici84. Non potevano testimoniare né rivolgere accuse contro Popolani a meno che il Magnate accusatore fosse il solo offeso85. I Magnati potevano, viceversa, essere accusati con maggiore agilità, condannati con minor dispendio di prove, passibili di sanzioni pecuniarie pesantissime86. In più, l’essere Magnate comportava di per sé corresponsabilità

80 Statuti di Firenze del 1415, vol. I, p. 438, dell’edizione a stampa, TOI. Qui si allude chiaramente alla caduta dell’ultimo regime corporativo artigiano, quello delle Arti minori, nel gennaio del 1382, che portò alla serrata del governo della civitas da parte di un pugno di famiglie aristocratiche fiorentine – quell’oligarchia guelfo-magnatizio-mercantesca emersa tra Due e Trecento proprio grazie alla storica redazione degli Ordinamenti di Giustizia – capitanate dagli Albizzi. Questo passaggio della rubrica è un limpidissimo esempio di come la compilazione statutaria del 1415 consacrasse, desse cioè veste formale e legale, alla svolta in senso aristocratico ed elitario del regime della civitas, quello albizzesco.

81 L’endiadi compare, ad esempio, nella rubrica 24 De causis faciendi magnates, vol. I, pp. 429-434, dell’edizione a stampa, TOI.

82 Ivi, vol. I, pp. 448-457, dell’edizione a stampa, TOI, rubrica 33. 83 Ivi, vol. I, pp. 428-429, dell’edizione a stampa, TOI, rubrica 23.

84 Ivi, vol. I, pp. 507-510, dell’edizione a stampa, TOI, rubriche 89, 90, 91, 93, 94. 85 Ivi, vol. I, p. 465 e pp. 483-484, dell’edizione a stampa, TOI, rubriche 43 e 61.

104 dei consorti e dei familiari per le sicurtà e le pene87. Infine, quando a commettere un crimine era un Magnate, la persona offesa aveva l’obbligo di accusare88.