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L’ordine pubblico come tutela dell’ordine politico L’emergenza repressiva

3. L’istituzione del “borsellino” (1387).

Proprio l’intenso e fruttuoso coinvolgimento degli Otto di Guardia nel dare la caccia ai ribelli e consegnarli nelle mani della giustizia spiega perché, nonostante il mutamento di regime del 1382, essi furono mantenuti in vita e, anzi, potenziati. Evidentemente la Signoria non voleva privarsi dell’esperienza ormai acquisita, in materia di sicurezza della civitas-respublica, dalla magistratura durante il suo primo periodo di attività.

Fu così che gli Otto entrarono a far parte della Balìa istituita il 20 gennaio 1382100 con il compito di rimediare – per via straordinaria – alla crisi conseguente all’esecuzione di Giorgio Scali e alla fuga nel mantovano di Tommaso Strozzi: una commissione plenipotenziaria che agì in realtà con grande moderazione e un notevole senso della continuità101.

98 G. DI PAGOLO MORELLI, Ricordi, parte IV, digitalizzato sul sito www.bibliotecaitaliana.it.

99 Per approfondire la caduta dell’ultimo regime corporativo e artigiano, cfr. BRUCKER, Dal Comune alla Signoria, cit., pp. 79-124; Alle bocche della piazza. Diario di anonimo fiorentino (1382-1401), a cura di A. Molho e F. Sznura, Firenze, Olschki, 1986, pp. 17-19.

100 ASF, Balìe, 17, cc. 5r-8v.

101 La Balìa non restaurò affatto, per quanto riguarda la ripartizione degli uffici, il rapporto tra le Arti maggiori e quelli minori che esisteva prima del tumulto dei Ciompi; piuttosto, continuò la politica di riconciliazione interna già avviata dal regime delle Arti, adottando procedure relativamente generose in materia di proscrizioni, passate e future, comminate dalla Parte Guelfa. Con il suo comportamento la Balìa fece intendere che non pensava affatto di restituire alla Parte la posizione di preminenza di cui aveva goduto prima del giugno 1378. Essa, infatti, non soltanto confermò la legge del 10 luglio, ma ne rafforzò i dispositivi per cui le ammonizioni dovevano essere sottoposte alla preventiva approvazione della Signoria e di altre magistrature, le quali peraltro potevano anche annullarle. Inoltre la Balìa annullò le condanne e le proscrizioni che erano state inferte tra il giugno 1378 e il gennaio 1382, e decretò che i Popolani inseriti tra i Magnati durante quel periodo dovevano essere riportati al loro precedente status con l’esclusione di tre anni dagli uffici. Infine, per il futuro, i Magnati sarebbero stati sottoposti agli Ordinamenti di Giustizia non secondo la legge del giugno 1378, che li aveva riportati in pieno vigore, ma in base alla revisione di essi del gennaio 1377, quando le infrazioni per le quali i Magnati potevano essere incriminati erano specificate in dettaglio; pure i loro diritti ad occupare pubblici uffici venivano restaurati alle condizioni in cui erano prima.

49 Presto, tuttavia, i propositi di riconciliazione e di pacificazione sfumarono nella direzione di provvedimenti volti a ripristinare decisamente la supremazia delle Arti maggiori nel governo: abolite le due nuove Arti create nel luglio 1378 (Tintori e Farsettai) le Arti minori furono messe in una posizione di forte inferiorità. In un primo momento esse furono escluse dal Gonfalonierato di Giustizia, pur mantenendo una metà dei seggi del Priorato, dei Collegi e delle altre magistrature secondo l’assetto istituzionale del regime delle Arti. Poi, il 17 febbraio, la loro quota fu ridotta da quattro a tre seggi nella Signoria, da sette a cinque e da cinque a quattro nei due Collegi. Una situazione che si ritrova anche nella distribuzione dei posti dell’ufficio degli Otto di Guardia: cinque seggi alle Arti maggiori e agli Scioperati, tre alle Arti minori102.

Oltre a contenere le ingerenze provenienti dal mondo corporativo, la Balìa dette prova di fermezza resistendo alle pressioni della Parte Guelfa e dei cittadini che si appoggiavano ad essa affinché si pervenisse ad una radicale restaurazione delle condizioni in vigore prima del giugno 1378. Si trattava proprio di quelle egemonie sociali che, prima di allora, avevano costituito la sfida più seria all’indipendenza e al potere del vertice della civitas-respublica. Premesso che la Balìa decise di mantenere in vigore e, anzi, di rafforzare la legislazione del 1378, che aveva sottoposto le proscrizioni al vaglio della Signoria, il 15 febbraio una petizione formulata dalla Parte Guelfa e presentata ad un Parlamento esigeva che i membri dei Collegi e della Balìa, i quali in passato fossero stati ammoniti, venissero sostituiti e che quarantatré cittadini, nominati nella petizione, fossero aggruppati alla Balìa. Il 10 marzo i sostenitori della Parte Guelfa andarono ancora più oltre, chiedendo che nessuno fra gli ammoniti potesse ricoprire una carica pubblica, e così pure i suoi discendenti. In entrambe le occasioni la Balìa resistette a queste pressioni e difese la sua indipendenza e quella del governo.

Solo una delle richieste della Parte fu accolta: quella di mutare la quota degli uffici in favore delle Arti maggiori, capeggiate dall’Arte della Lana. Nel frattempo fu avviata una dura repressione, con l’irrogazione di molte pene capitali e l’esilio di Salvestro de’ Medici a Modena per cinque anni. Anche Michele di Lando fu confinato prima a Chioggia, poi a Padova, e, infine, condannato nel novembre 1383 in contumacia alla

50 decapitazione e alla confisca dei beni per essersi avvicinato a Firenze – aveva, difatti, trovato riparo a Lucca – in spregio dei limiti di duecento miglia di distanza che gli erano stati imposti. In questo contesto va segnalata la decisione di esonerare dal sindacato i Rettori forestieri. In particolare fu stabilito che il Capitano del Popolo Obizzo degli Alidosi, al termine del suo mandato, non avrebbe potuto essere sindacato eccetto che per ruberie, corruzione e debiti. Lo stesso trattamento, che in origine era stato riservato al Capitano di Guardia Cante de’ Gabrielli, fu esteso pure al Podestà. Da ultimo, al fine di stabilizzare il regime, fu deciso che, a conclusione dell’ufficio di Obizzo degli Alidosi, il fidato Cante sarebbe stato riconfermato nel ruolo di Capitano di Balìa, in evidente violazione delle rubriche statutarie su obbligatorietà del sindacato e divieto a ricoprire per due volte consecutive l’ufficio di Rettore forestiero103.

L’avviato processo di concentrazione del potere conobbe un’ulteriore tappa significativa cinque anni più tardi, con la crisi politica del maggio 1387, le cui origini restano controverse. Secondo la versione ufficiale104, tutto ebbe inizio quando il genero di Benedetto Alberti, Filippo Magalotti, fu scelto come Gonfaloniere di Giustizia. Non appena si venne a sapere che Magalotti era troppo giovane per ricoprire quella carica apicale, i cittadini lamentarono una violazione degli Statuti e, conseguentemente, pretesero la punizione di quanti avevano spinto per la sua elezione.

L’affare Magalotti fu il pretesto per giustificare la creazione dell’ennesima Balìa, che venne subito investita del potere di ripristinare la concordia civica105. Immediatamente Benedetto Alberti assunse le difese del genero, destando così nei funzionari e negli altri cittadini il sospetto di voler rivendicare, per sé e per la sua famiglia, posizioni autoritarie. I timori suscitati dal comportamento di Alberti offrirono ai suoi avversari – Albizzi in testa – l’opportunità di promuovere nei confronti suoi e della sua

103 Cfr. ISENMANN, From Rule of Law to Emergency Rule in Renaissance Florence, cit., pp. 63-64. 104 Si tratta del resoconto sui fatti diramato dalle autorità fiorentine alle formazioni politiche limitrofe ricostruito in BRUCKER, Dal Comune alla Signoria, cit., pp. 94-96; il resoconto è in ASF, Signori Carteggi Missive I Cancelleria, 20, cc. 249r-249v.

105 ASF, PR, 76, cc. 35r-37r, on-line su www.archiviodistato.firenze.it/archividigitali/complesso-

archivistico. Sul margine sinistro si legge: «Balìa attribuita pro bonum et pacificum statum civitatis Florentiae». Secondo BRUCKER, il problema dei requisiti di Magalotti può essere sorto inaspettatamente, ma nemmeno è da escludersi che il tutto fosse stato pianificato dai partigiani guelfi nell’ottica di rovesciare il regime del 1382, che nasceva come moderato.

51 famiglia una violenta campagna discriminatoria106. Gli Alberti erano i partigiani riconosciuti di un’ampia coalizione di moderati politici. La loro esautorazione fu il preludio allo stravolgimento della comunità delle Arti da parte di chi era favorevole ad un regime aristocratico ripulito dagli elementi artigiani. Difatti, esautorati gli Alberti, fu il turno degli ammoniti che avevano rischiato di essere allontanati dalle cariche già nel 1382: gli Scali, i Corbizzi, i Mannelli furono banditi dagli uffici per cinque anni. Stessa sorte toccò ad una quindicina di famiglie che la Parte Guelfa aveva proscritto un decennio prima.

Il 7 maggio l’autorità della Balìa cessò e i Signori con i Collegi si volsero a mettere mano al sistema elettorale. Il 22 e il 23 maggio i Consigli approvarono un provvedimento teso ad annullare la legislazione precedente che proibiva ogni mutamento nella distribuzione delle cariche fra le sette Arti maggiori e le quattordici Arti minori107. Rimossa questa barriera legale i Consigli validarono un altro provvedimento che riduceva fortemente la rappresentanza delle Arti minori nelle cariche pubbliche. Queste continuavano a detenere un quarto delle magistrature territoriali, ma furono escluse da otto cariche importanti, oltre alle sei da cui erano state escluse nel 1382. Nella Signoria il loro numero scese da tre a due, mentre nei Collegi la loro quota fu fissata in un quarto, tornando così finalmente alla proporzione esistente prima del tumulto dei Ciompi.

Nello stesso tempo, fu aggiunta alle normali borse per il Priorato una borsa speciale, il cosiddetto “borsellino”, che doveva essere riempita con nomi scelti dal Gonfaloniere di Giustizia, e quattro altri cittadini tra i membri delle Arti maggiori fedeli al regime. L’istituzione del “borsellino” fu una riforma permanente; d’ora in avanti da questa borsa speciale sarebbero stati selezionati il Gonfaloniere di Giustizia e due degli

106 Il primo atto fu quello di agevolare l’approvazione, da parte dei Consigli, della legge che istituiva la Balìa. Subito dopo si passò agli attacchi personali, di cui la stessa commissione plenipotenziaria si rivelò vettore fondamentale. Il 4 maggio, infatti, la Balìa bandì Benedetto e Cipriano Alberti da ogni carica pubblica. Il 6 maggio essa ordinò ai medesimi di andare esuli per due anni e allontanò l’intera famiglia dagli uffici per cinque anni.

107 ASF, PR, 76, cc. 48v-49v, on-line su www.archiviodistato.firenze.it/archividigitali/complesso-

archivistico. La legge istitutiva della Balìa aveva stabilito che questa non poteva occuparsi della distribuzione delle cariche; cfr. Ivi, c. 35v.

52 otto Priori. Gli artigiani minori non poterono nulla contro una riforma elettorale che, di fatto, ridusse la rappresentanza delle Arti minori negli uffici di governo.

Se il contesto politico era mutato, negli anni fra il 1382 e il 1387 i compiti degli Otto di Guardia rimasero gli stessi. Priorità assoluta venne data al problema della sicurezza del nuovo regime di potere che, fin da subito, si vide costretto a reagire con la forza ad alcune cospirazioni organizzate dai lavoratori e dagli artigiani delle Arti sciolte, nonché a dei complotti posti in essere da esuli che vivevano all’estero108. Alcuni di questi complotti fallirono per cattiva organizzazione. Altri, però, furono sventati dagli Otto di Guardia.

Nell’ottica di controllare la sovversione, la magistratura ricevette un aiuto prezioso da due provvedimenti emanati a larga maggioranza nel giugno 1382109. La prima misura permetteva la registrazione di tutti i cospiratori condannati in un volume speciale custodito dalla Parte Guelfa; da allora in poi era proibito loro di detenere qualunque carica pubblica anche se la sentenza fosse stata in seguito annullata. La seconda misura autorizzava la Signoria ad assegnare vitalizi a chiunque – compresi quelli colpiti da bando – rivelasse un complotto alle autorità110.

108 Sui sette complotti scoperti dalle autorità nel 1382, cfr. BRUCKER, Dal Comune alla Signoria, cit., pp. 87-88. Nei primi mesi del regime, le autorità scoprirono diversi complotti nei quartieri abitati dai Ciompi (San Frediano, Camaldoli, San Lorenzo). Una cospirazione più seria fu organizzata dagli esuli fra la primavera e l’estate del 1383. Molti dei fuoriusciti che vi presero parte erano stati personaggi di primo piano nel compianto regime delle Arti minori, sia aristocratici (Tommaso Strozzi, i figli di Giorgio Scali, Bernardo Velluti), sia artigiani. Essendo esuli in varie parti dell’Italia centro-settentrionale (Padova, Ferrara, Venezia, Lucca, Pisa), i cospiratori crearono una rete di collegamenti per coordinare i loro progetti eversivi. Alcuni si recarono in segreto a Firenze per convincere altri ad unirsi al complotto e per trovare rifugi segreti ai compagni che sarebbero sopraggiunti al momento della sommossa. La sera del 21 luglio – fra l’altro, quinto anniversario della rivoluzione dei Ciompi – turbe di cospiratori si riversarono nelle vie della città innalzando le bandiere delle Arti recentemente soppresse e proferendo grida sediziose. Ma solamente pochi si unirono ai ribelli, i quali non riuscirono ad aprire le porte della città per far entrare i loro compagni che stavano giungendo da fuori.

109 ASF, PR, 71, cc. 57v-58v, on-line su www.archiviodistato.firenze.it/archividigitali/complesso-

archivistico.

110 Nessuna di queste misure di sicurezza incontrò opposizioni decise nei Consigli. Sorsero, viceversa, conflitti circa la severità delle pene per i crimini politici. I partigiani guelfi premevano affinché i dissidenti fossero severamente puniti; volevano, inoltre, che le autorità esercitassero pressioni sui governi vicini per ottenere l’espulsione degli esuli fiorentini. Resistenze a queste pressioni venivano dai moderati, per tutta una serie di ragioni, tra cui il fatto che alcuni erano legati ai ribelli da vincoli di sangue o amicizia.

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