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Strategie penali a «conservatione et augumento» del Dominio territoriale

1. Mappare il Dominio: gli apparati giurisdizionali territoriali.

per Statuti: le rubriche penali degli Statuti delle comunità soggette – 3. I problemi del governo territoriale

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1. Mappare il Dominio: gli apparati giurisdizionali territoriali.

… acquistorono Pisa e molti altri luoghi e augumentorono assai el dominio e la reputazione della città, in modo che, secondo le opinioni di ognuno che ha parlato o scritto di queste cose, non fu mai stato in Firenze che l’abbia meglio governata e più onorata di quello1.

Con tono asciutto e lapidario, lo storico, oltre che uomo politico ed eccellente giurista2, Francesco Guicciardini, consegnava ai posteri un’immagine del reggimento albizzesco quale autentico promotore di una mirata politica di espansione territoriale fra le più dinamiche e sofferte che la Firenze repubblicana mai conobbe nella sua storia.

Non che prima degli Albizzi Firenze fosse stata estranea a fenomeni di questo tipo3. Certo è che con l’instaurarsi, dopo gli ultimi sussulti del regime delle Arti minori,

1 F. GUICCIARDINI, Dialogo del reggimento di Firenze, a cura di G.M. Anselmi, C. Varotti, Torino, Bollati Boringhieri, 1994, pp. 44-45. Il brano è ben contestualizzato da L. VANNINI, Il dominio territoriale di Firenze in Guicciardini e Machiavelli. Alcune considerazioni, cit., p. 91.

2 Sulla professione forense del Guicciardini, cfr. CAVALLAR, Francesco Guicciardini giurista. I ricordi degli onorari, cit.

3 Già a partire dal Duecento, Firenze comincia a riunire e consolidare il suo contado, termine che allora designava lo spazio rurale situato fuori le mura urbane retto da un libero Comune. Si trattava di aree della diocesi strappate progressivamente al dominio temporale dei vescovi e dei signori, oppure di villaggi confiscati ad un borgo fortificato dopo che questo aveva perduto la sua indipendenza. L’acquisizione di tali spazi avveniva in continua competizione con altre grandi civitates vicine e rivali quali Siena, Lucca, Pisa, Arezzo e Pistoia. Memorabili le lotte intraprese lungo il XIV secolo con Uguccione della Faggiuola signore di Pisa e Lucca, con Castruccio Castracani signore di Lucca e Pistoia, con i Tarlati signori di Arezzo e con i Donoratico signori di Pisa. Fra il 1330 e il 1350, Firenze mise quindi le mani sulle piccole città confinanti o limitrofe ancora indipendenti che, esterne alla diocesi, attorniavano le sue frontiere, nonché sui pochi villaggi del loro modesto contado: Carmignano (1329), Fucecchio, Castelfranco e Santa Croce sull’Arno

146 di un regime aristocratico quale fu, a tutti gli effetti, il regime albizzesco, prese corpo la volontà consapevole di creare un territorio fiorentino e di gestirlo in modo rigoroso4.

Parallelamente, il lento ma progressivo consolidarsi di un ordine penale pubblico conosce uno snodo decisivo proprio quando Firenze dismette la sua dimensione meramente urbana, per assurgere a centro di un Dominio territoriale. Per soddisfare la propria ambizione ad occupare un posto di primissimo piano nell’Italia centrale da una parte5, per difendere se stessa dalle mire espansionistiche viscontee dall’altra6, la Repubblica fiorentina estende la sua sfera di influenza su quelle che un tempo erano, alla pari di essa, civitates di lunga tradizione comunale, incorporando Arezzo (1384), Montepulciano (1390), Pisa (1406), Cortona (1411) e Livorno (1421). In un panorama

(1330), Pescia in Valdinievole (1339), Colle (1349), Prato (1350), San Gimignano in Valdelsa (1353) e San Miniato (1370). Poi, nella seconda metà del Trecento con strascichi fino agli anni Quaranta del Quattrocento, Firenze fu impegnata a spegnere le prerogative signorili dei grandi feudatari dell’Appennino toscano quali Ubaldini, Guidi, Alberti, Uberti, Tarlati, che ancora conservavano un dominio frammentato ma consistente a nord-est e ad est. Fu, tuttavia, solo dopo il 1380, quando si intensificò la gravità delle minacce esterne (su tutte, l’avanzata del duca di Milano), che Firenze concentrò le sue mire espansionistiche direttamente sulle grandi civitates della tradizione comunale. Cfr. sul punto C.M.B. DE LA RONCIÈRE, Dalla città allo stato regionale: la costruzione del territorio (XIV-XV secolo), in Firenze e la Toscana, cit., pp. 11-30.

4 Cfr. CHITTOLINI, Ricerche sull’ordinamento territoriale del dominio fiorentino agli inizi del secolo XV, in Id., La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado, cit., pp. 292-352.

5 Cfr. BRUCKER, Dal Comune alla Signoria, cit., pp. 142-143: «L’elemento principale della diplomazia fiorentina negli anni 1380 fu la campagna della repubblica per giungere all’egemonia non solo della Toscana ma di tutta l’Italia centrale compresa buona parte degli Stati papali […] Per gli stessi fiorentini l’espansione significava maggiore sicurezza, maggiori riserve di cibo e controllo delle vie commerciali; per gli altri (così si sottolineava nelle lettere scritte da Coluccio Salutati), la sua autorità contribuiva alla pace e all’ordine […] La sua brama di territori e la sua arroganza le alienarono molti amici ed alleati in Toscana, ma il suo potere non era messo in forse e la sua tattica sembrava aver successo. Il papa non ha forza e l’imperatore è troppo debole per intervenire».

6 A connotare in senso difensivo l’espansione territoriale di Firenze, intervennero i progetti egemonici del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, che sognava di fare della sua città la capitale di un Regnum Italiae. In poco tempo, il Visconti si impadronì di Lucca, Siena, Perugia e Bologna. Firenze si ritrovò praticamente accerchiata. L’inattesa morte del duca, nel 1402, sbloccò alla fine la situazione. La città aveva, tuttavia, toccato con mano la sua vulnerabilità, mettendola di fronte all’esigenza di meglio attrezzarsi per il futuro contro questi attacchi. La penetrazione viscontea in Toscana fu, pertanto, alla base di quella linea di azione, che presto sarebbe prevalsa nei Consigli cittadini e che vedeva nella costruzione di una forte zona di protezione, di un forte distretto intorno alla civitas e al suo contado originario, il salvacondotto alla sopravvivenza della respublica, della sua libertas e, per ciò stesso, legittima e non tirannica nei confronti delle comunità via via assoggettate. Cfr., sul tema della conquista difensiva, CHITTOLINI, Ricerche sull’ordinamento territoriale del dominio fiorentino, cit., p. 293.

147 politico più che perturbato a livello internazionale7, la sopravvivenza di Firenze, oltre che il suo prestigio, dipendevano dalla massiccia incorporazione di spazi dominabili8.

Presto, tuttavia, gli uomini di governo si convinsero che non era possibile «augumentare» alcunché, senza prima «conservare», quanto già acquisito, conquistato9. In quest’ottica, il penale poteva candidarsi a diventare un promettente strumento di governo del territorio. Tanto che dall’accentramento presso il signore, o la città dominante, dei fondamentali compiti del difendere e del correggere – più tardi limpidamente descritti da Machiavelli10 – si possono ricostruire delle vere e proprie strategie penali che gli uomini del reggimento predisposero ed attuarono a «conservazione et augumento» del Dominio.

Due ci sembrano i principali percorsi allora imboccati: la capillare riscrittura delle giurisdizioni territoriali da un lato, l’uso accorto dello strumento statutario dall’altro.

Rinviando al paragrafo successivo il discorso sulla legislazione statutaria, tracceremo, qui di seguito, un rapido inventario dei principali uffici variamente distribuiti

7 Cfr., su questo punto, TANZINI, Dai comuni agli stati territoriali: l’Italia delle città tra XIII e XV secolo, Milano, Monduzzi, 2010. Dopo la spedizione in Italia di Giovanni di Boemia, avviata nella speranza di rinnovare le ambizioni del padre Enrico VII, gli imperatori germanici si mostrarono incapaci di impostare una coerente politica italiana. Dal canto loro, i pontefici avignonesi mostrarono una maggiore capacità di iniziativa, ma dopo la grande stagione dei conflitti degli anni Venti del Trecento contro i Ghibellini, l’atteggiamento papale appare più conciliante, più volto a valorizzare l’esistente che determinato a prendere, in prima persona, la direzione della politica italiana. Nel momento in cui un approccio del genere cederà il posto ad una rinnovata strategia egemonica nell’Italia centrale con la promulgazione, nel 1357, delle Costituzioni Egidiane del legato Albornoz, l’effetto immediato sarà quello di innalzare nuovamente il livello di tensione nei territori pontifici, fino alla violenta deflagrazione della guerra degli Otto santi del 1375-1378. Infine, la morte di Roberto d’Angiò nel 1343 giunge a confermare il sostanziale disimpegno della dinastia angioina dalle vicende dell’Italia centro-settentrionale. In definitiva, l’Italia delle città si trova, nel volgere di pochi anni, in balia di sé. Sciolti pressoché del tutto i legami con logiche politiche formulate altrove, in Germania o ad Avignone, le ambizioni politiche dei più intraprendenti attori della Penisola italiana si scatenavano senza altri limiti se non quelli degli immediati rivali.

8 Nell’opera Sui discorsi del Machiavelli, Guicciardini paragona Firenze al «tuorlo» e il Dominio all’albume. I vantaggi di un consistente territorio vengono individuati nel fatto che la città non viene travagliata «per ogni debole accidente», in caso di guerra il nemico rimane «fuori dal tuorlo dello stato», la guerra non viene a danneggiare facilmente la città e, infine, «lo avere molti sudditi fa in molti modi le entrate pubbliche maggiori». Il brano è in Opere inedite di Francesco Guicciardini, cit., vol. I, pp. 69-70. 9 Di nuovo Guicciardini racchiude la definizione di Dominio territoriale in quest’espressione: «come bene si governino le cose di fuora, cioè quelle che appartengono alla conservazione e augumento del dominio». Il brano è in GUICCIARDINI, Dialogo del reggimento di Firenze, cit., p. 49.

10 MACHIAVELLI, Parole da dirle sopra la provvisione del danaio (1503), in Id, Arte della guerra e scritti politici minori, a cura di S. Bertelli, Milano, Feltrinelli, 1961, p. 59: «[…] gli uomini non possono e non debbono essere fedeli servi di quello signore da el quale e’ non possono essere né difesi né corretti».

148 nelle molteplici aree del Dominio, così da afferrare il peso e, per certi versi, anche l’innovatività di un apparato che dal centro si proiettava sul territorio, facendosi, in questo modo, vettore di quell’ordine penale pubblico, ormai a dimensione territoriale, in via di definizione11.

Le fonti, proprio a partire dagli Statuti fiorentini del 1415, distinguono gli ufficiali della Repubblica in intrinseci o di dentro, se operativi all’interno della civitas, ed estrinseci o di fuori, se, viceversa, dislocati nelle varie aree del Dominio12. Gli ufficiali di fuori si distinguevano in giusdicenze maggiori (i vicariati, i capitanati o capitanerie e le podesterie), e giusdicenze minori (le podesterie di primo, secondo, terzo e quarto grado, e tutte le castellanie).

Primo esempio di ufficio estrinseco maggiore è il vicariato. Invero, il vicariato non è una magistratura nuova, anzi, le sue origini risalgono molto indietro nel tempo, confondendosi spesso con un’altra istituzione, quella del Difensore del contado e distretto. Del Difensore si conosce davvero poco13. Una provvisione del 1368 incaricava la Signoria di eleggere ben due Difensori del contado, ognuno dei quali avrebbe avuto al proprio seguito un giudice, un soldato, un notaio, undici scudieri, quindici cavalieri, cinque fanti, una trombetta e quindici balestrieri14. I Difensori si occupavano, soprattutto, di perseguire giudizialmente gli abitanti del contado, nel caso in cui avessero dato ricetto a soggetti banditi da Firenze.

Le fonti attestano, invece, le prime attività della magistratura del vicariato già nel XIII secolo, descrivendola come una magistratura straordinaria operante nel contado e nel distretto, che si aggiungeva alla normale rete giurisdizionale fatta di podesterie e

11 Non siamo a conoscenza, al momento, di una ricostruzione sistematica da parte della storiografia, degli apparati giurisdizionali del Dominio fiorentino con riferimento al regime albizzesco che sia paragonabile alla carta approntata da Elena Fasano Guarini nel suo Lo stato mediceo di Cosimo I, Firenze, Sansoni, 1973, per l’età del Principato.

12 Statuti di Firenze del 1415, V, II, Offitia omnia Civium, quae intra Urbem exercentur. Il trattato quarto del libro quinto, invece, è dedicato a Offitia Civium Rectorum Comitatus, et Districtus, et Iurisdictionem eorum, vol. III, dell’edizione a stampa. Una scelta lessicale che denota quanto gli ufficiali fossero concepiti solo in relazione alla Dominante e non alle comunità soggette. Da leggersi, insomma, come un profilo di accentramento.

13 Ci restano appena cinque registri conservati in ASF, GA, 112-116, che coprono gli anni 1345-1389. 14 ASF, PR, 56, cc. 43r-45v.

149 leghe, quindi temporanea15, con funzioni militari o di polizia, creata all’occorrenza per ristabilire l’ordine in aree insicure o di confine, facile rifugio per ribelli e fuoriusciti. Un mutamento significativo si comincia ad apprezzare alla metà del Trecento, quando si infittiscono le notizie sul primo vicariato istituito stabilmente da Firenze in Valdinievole e Valleriana, subito dopo l’incorporazione di Pescia (1339). Da allora, si registra una costante moltiplicazione di vicariati all’interno del Dominio, che procede di pari passo con l’espansionismo territoriale fiorentino16. In particolare, nel 1370 è istituito un vicariato stabile nel Valdarno Inferiore, con sede a San Miniato. Nel 1373 nascono i due vicariati delle Alpi fiorentine e del Podere. Ad essi si aggiungono, poco dopo, quelli di Anghiari e di Monte San Savino – per l’ex contado di Arezzo –, quelli di Bagno di Romagna nel 1404 e, nel dicembre del 1406, quelli di Valdera Superiore, delle Colline Superiore e Inferiore, di Valdarno e di Val di Serchio – per l’ex contado di Pisa. Si creano nel 1408 il vicariato del Valdarno Superiore, nel 1415 quelli del Mugello e della Valdelsa17. Tanto basta per dimostrare la avvenuta trasmutazione della magistratura del vicariato da straordinaria ad organica, parte viva e integrante di quella rete di apparati attraverso la quale la Repubblica fiorentina si apprestava a presidiare con i giudici il suo territorio.

Se è praticamente impossibile ricavare dagli Statuti fiorentini del 1415 una regolamentazione uniforme che abbracci tutti i vicariati istituiti nelle diverse aree del Dominio, si può però isolare un primo blocco di rubriche che presentano molti elementi comuni: si tratta delle rubriche 7, 8, 9, tutte comprese nel libro quinto, trattato quarto, sugli ufficiali estrinseci18.

15 I vicari restavano in carica per pochi mesi e il loro ufficio poteva essere soppresso quando ne fosse venuta meno la necessità.

16 Cfr. TANZINI, Costruire e controllare il territorio. Banditi e repressione penale nello Stato fiorentino del Trecento, in Controllare il territorio. Norme, corpi, conflitti tra medioevo e prima guerra mondiale, a cura di L. Antonielli e S. Levati, Catanzaro, Rubbettino Editore, 2013, pp. 11-29, in part. p. 13: «le magistrature di controllo sorgono con la medesima cronologia dell’espansione territoriale, in una vicenda di progressiva presa di coscienza da parte del regime cittadino della sua nuova dimensione nello spazio toscano».

17 Cfr. CHITTOLINI, Ricerche sull’ordinamento territoriale del dominio fiorentino, cit., p. 300.

18 Statuti di Firenze del 1415, V, IV, rubriche 7 De potestate, offitio, et balìa vicarii Vallis Serchii, et Vallis Arni, 8 De offitio, et potestate vicarii Vallis erae superioris, et inferioris, 9 De offitio, et potestate Vicarii collinarum superiorum, et inferiorum, vol. III, pp. 523-525, dell’edizione a stampa.

150 Tutte e tre le rubriche, di breve estensione, esordiscono menzionando le comunità ricomprese nella circoscrizione vicariale e proseguono specificando il seguito – la familia – del vicario, la durata in carica – fissata in sei mesi – e il salario. Piuttosto parchi i riferimenti alla giurisdizione del magistrato. Nel caso del vicario della Val di Serchio e del Valdarno si dice soltanto che gli è vietato ingerirsi nelle cause civili19. Similmente, il vicario di Valdera Superiore e Inferiore:

fissi laresidenza per sé, per il suo personale nel castello di Peccioli, e possa, nel detto castello, e presso la sua corte, amministrare per gli abitanti del luogo la giustizia civile e criminale; non potrà, tuttavia, ingerirsi nelle cause civili con riferimento agli abitanti delle altre comunità20.

E così pure il vicario delle Colline Superiore e Inferiore, il quale dimora nel castello di Lari e sui suoi abitanti ha cognizione tanto nel civile quanto nel criminale; viceversa, per le altre comunità ricomprese nella sua circoscrizione vicariale, può solamente giudicare in criminalibus21.

Molto più estese e puntuali le rubriche 22, 41, 42, 43, 4422. Leggendole e confrontandole, emergono così tanti elementi affini, se non addirittura identici, che è possibile ricavare un ritratto affidabile del nostro giusdicente maggiore. Praticamente tutte le sopramenzionate rubriche convergono sul fatto di assegnare al vicario un compito specifico: difendere, conservare e mantenere sotto il dominio di Firenze i popoli, i castelli, le terre e i luoghi facenti parte della circoscrizione vicariale di pertinenza23.

19 Statuti di Firenze del 1415, vol. III, p. 523: «Qui vicarius habeat in vicariatu suo, et in limitibus suae iurisdictionis baliam, et auctoritatem, et omnia alia, quas, expresse addito, quod non possit se intromittere in civilibus causis quoquomodo sub poena, et ad poenam in dictis aliis vicariis, et satisdet de libris decemmilibus».

20 Ivi, p. 524: «habitet cum suis offitialibus, et famulis in castro Peccioli, et possit in d. castro, et eius curia, et hominibus ibidem habitantibus administrare ius, et iustitiam in civilibus, et criminalibus, et in aliis communibus non possit in civilibus se intromittere quoquomodo».

21 Ivi, rubrica 9, vol. III, pp. 524-525, dell’edizione a stampa: «Vicarius collinarum superiorum, et inferiorum moram trahat in castro Laris, et cognitionem habeat de habitantibus ibidem, et criminalibus, et in aliis vero communibus solummodo, dumtaxat in criminalibus».

22 Ivi, rubriche 22 De offitio, et potestate vicarii Anglaris, 41 De iurisdictione, et potestate vicarii Vallis Arnis inferioris et s. Miniatis, 42 De iurisdictione, et potestate vicarii vallis Nebulae, 43 De iurisdictione, et potestate vicarii vallis Arni superioris, et castri s. Ioannis, 44 De iurisdictione, et potestate vicarii Alpium florentinorum, et Florentiolae, et vicarii Poderis, pp. 542-550, 590-600.

23 La formula ricorrente nelle varie rubriche dice: «teneatur, et debeat d. vicarius authoritate communis Florentie, et pro ipso communi, castra, terras, et loca in suo vicariatu constituta, et existentia, et omnes partes sui vicariatus, et homines, et personas in d. castris, terris, locis, et partibus existentes, et commemorantes toto posse salvare, custodire, et defensare, ac conservare, et manutenere dumtaxat sub

151 Il vicario, quindi, incarnava in sé, e in questo suo preciso compito istituzionale, la logica, il fine, l’essenza stessa del Dominio, quel «conservare et augumentare» cui si è già più volte accennato. E non è un caso se troviamo quest’ufficiale impegnato in prima linea nel contrasto repressivo alle attività sovversive. Mescolando insieme tutela dell’ordine pubblico, attività di polizia e giustizia penale, gli Statuti conferiscono al vicario poteri straordinari anche di indagine e di ricerca per, eventualmente, prevenire e poi, sicuramente, reprimere ogni movimento sedizioso. Sul punto, le rubriche utilizzano un frasario pressoché identico, che suona di autoritario e di egemonico:

il vicario può e deve, contro tutti coloro che, anche agendo individualmente, facciano qualcosa, in qualunque terra, castello, luogo o parte del vicariato, contro l’onore e lo stato del Comune di Firenze, al fine di sottrarre, in tutto o in parte, porzioni di territorio alla giurisdizione, al dominio e all’obbedienza che si deve al Comune di Firenze, ovvero facciano qualcosa che possa compromettere la conservazione dello stato del detto Comune e della Parte Guelfa, conoscere e procedere, a seguito di denuncia, o accusa proveniente da qualunque persona, e anche d’ufficio, in maniera rapida e sommaria, in qualunque tempo, compresi i giorni festivi, e ricercare la verità ricorrendo a qualunque forma di tortura, e punire i riconosciuti colpevoli, e condannarli, nei beni e nella persona, anche a morte, se il delitto o la vicenda criminosa in sé lo richiedano, ed eseguire la sentenza, senza alcuna possibilità di appello o cancellazione, per qualunque ragione, e sulle terre e i castelli della sua circoscrizione il vicario ha mero e misto imperio, autorità, potestà e pienissima giurisdizione24.

dominio, obedientia, iurisdictione, et honore communis Florentie, et partis guelfae, et in devotione communis praedicti, et in augumento, et conservatione partis guelfae, et ad hoc, ut quecumque propterea opportuna tam per se, quam pro eius comitiva diligenter intendere, et sollicite vigilare».

24 Ivi: «et quod d. vicarius possit, et debeat contra omnes, et singulos facientes, aut molientes, vel attentantes facere quoquo modo in aliqua terra, castro, loco, vel parte d. vicariatus, contra honorem, et statum communis Florentiae, seu facerent, seu attentarent, et tractarent, vel quaererent quoquo modo aliquid, propter quod castrum, terra, vel locus d. vicariatus in totum, vel in partem desisteret, vel deverteret, seu desistere posset a iurisdictione, dominio, et obedientia communis Florentiae, aut faceret contra statum dicti communis, seu partem guelfam, et eius conservationem, et contra quemlibet praedictorum cognoscere, et procedere ad denuntiationem, seu accusationem cuiuscumque personae, et etiam ex suo officio breviter, et summarie, et sine strepitu et figura iudicii, et etiam de facto, et omni tempore, non obstantibus feriis, et veritatem inquirere per quaecumque tormenta, et repertos culpabiles punire, et condemnare realiter, et personaliter, etiam ad mortem, si delictum, aut casus hoc exegerit, vel incurrerit, et sententias exequi, et executioni mandari omni appellatione, et oppositione nullitatis, seu iniquitatis, et quacumque alia