Strategie penali a «conservatione et augumento» del Dominio territoriale
3. I problemi del governo territoriale.
Nella dialettica di Firenze con le comunità soggette, emergono presto criticità e problemi di governo del territorio. Due, in particolare, le urgenze cui far fronte: la corruzione degli uffici giurisdizionali territoriali e le ribellioni.
L’accresciuta preoccupazione per la sicurezza del Dominio porta i Fiorentini ad acquisire una prima coscienza territoriale. Soprattutto dopo la conquista di Pisa (1406), infatti, si comincia a riflettere circa gli eventuali legami fra cattiva amministrazione della giustizia – in pratica, governo corrotto – e tassazione oppressiva da un lato, e gli scoppi di disordini e rivolte dall’altro. Si tratta di una valutazione nuova perché per tutto il XIV secolo le fonti, specialmente i registri delle consulte e pratiche, non riportano alcuna discussione fra gli uomini del reggimento che riguardasse temi quali l’amministrazione della giustizia ovvero il reclutamento di ufficiali qualificati, onesti e probi per contado e distretto. La Signoria si vede, quindi, recapitare petizioni su petizioni in cui le comunità soggette invocavano l’intervento della principale magistratura della Repubblica perché perseguisse gli ufficiali fiorentini responsabili di malversazioni e abusi nel Dominio. Le stesse problematiche iniziano ad affollare le consulte del primo decennio del Quattrocento116. Alla fine, la Signoria si decise ad intervenire sul piano normativo. Risale al luglio del 1415 una provvisione che dava a Signori e Collegi la balìa di agire contro fenomeni di corruzione perpetrati da qualunque ufficiale fiorentino operante nel Dominio117. Ma neppure questo provvedimento sortì gli effetti sperati, anche perché l’autorità conferita alla Signoria per reprimere questi abusi durò solamente sei mesi.
116 Nel dicembre del 1411 Rodolfo Peruzzi invitava la Signoria ad agire contro quegli ufficiali che avevano estorto denaro ai sudditi del territorio fiorentino. Nel maggio del 1413 Michele Castellani parla del Dominio come di una terra desolata, dove i sudditi sono spogliati dei pascoli, dei diritti e delle loro proprietà da ufficiali rapaci. Nel luglio del 1414 Giovanni Minerbetti chiese alle autorità di difendere i sudditi fiorentini dallo sfruttamento dei loro rettori. Cfr. BRUCKER, Dal Comune alla Signoria, cit., pp. 245-246. 117 ASF, PR, 105, cc. 216v-217r.
181 Che il regime avesse particolarmente a cuore il contrasto alla corruzione degli ufficiali estrinseci lo dimostra anche un altro dato, ossia la presenza negli Statuti fiorentini del 1415 di una lunghissima rubrica118. Il testo forma una sorta di prontuario circa le cose che gli ufficiali fiorentini di stanza nelle diverse circoscrizioni periferiche del Dominio erano tenuti ad osservare per tutta la durata del mandato. Il filo conduttore della previsione statutaria è costituto, appunto, dal desiderio delle autorità della Dominante di reprimere il diffondersi di azioni disoneste. Desiderio messo, fin da subito, in risalto dal preambolo della rubrica:
Con la volontà di agire prontamente e diligentemente sulle indebite vessazioni dei sudditi di Firenze, perché i podestà, i capitani, i vicari e gli altri ufficiali che operano o che opereranno, in futuro, nel contado e nel distretto di Firenze nell’esercizio di qualsiasi giurisdizione, e similmente quei cittadini fiorentini che in altre, diverse città e luoghi situati fuori dal distretto di Firenze, abbiano giurisdizione per nome e per conto del Comune di Firenze, svolgano i loro compiti secondo giustizia, senza deviare dalla strada del diritto, e non commettano, loro direttamente o per tramite di altri, alcun illecito, alcuna indebita esazione, alcuna estorsione, e non percepiscano somme di denaro in corruzione con grave pregiudizio dei sudditi119.
Anche in questo caso gli obiettivi di uniformità sono palesi, dal momento che si fa divieto alla magistratura centrale degli Approvatori di dare l’avallo a qualsiasi statuto o ordinamento delle comunità soggette che contraddica il dettato della rubrica 68 degli Statuti della Repubblica Fiorentina120.
118 Statuti di Firenze del 1415, V, IV, rubrica 68 De observantiis officialium comitatus, et districtus Florentiae, vol. III, pp. 642-657, dell’edizione a stampa (ben quindici pagine).
119 Ivi, p. 642: «Volentes super indebitis vexationibus subditorum communis Florentiae expedientem habere diligentiam, et quod potestates, capitanei, et vicarii, et alii officiales existentes, et qui in futurum fuerint, seu erunt in comitatu, et seu districtu Florentiae in exercitio alicuius iurisdictionis, et similiter cives fiorentini, qui in alia civitate, vel loca extra districtum Florentiae pro communi Florentiae, seu nomine ipsius communis, sunt et seu erunt ad exercendum aliquod officium cum iurisdictione faciant, et exerceant eorum officia cum iustitia, et non devient a tramite iuris, et non faciant, nec fieri faciant aliquas illicitas, vel indebitas exactiones, et seu extorsiones, et per se, vel alios eorum officiales, vel alios non percipiant, vel percipere faciant, vel permittant aliquam pecuniae quantitatem, vel aliam rem quemcumque, et in omnibus, et per omnia se abstineant ab indebitis, et illecitis gravaminibus subditorum».
120 Ivi, p. 649: «et quod in approbationem, seu confirmationem statutorum, seu ordinamentorum cuiuslibet potesteriae, ligae, vel loci comitatus, seu districtus Florentiae tam factae, quam fiendae, et in ipsis statutis, seu ordinamentis factis, et faciendis, praesentia ordinamenta, leges, et provisiones intelligantur esse, et sint reservata, et excepta ipsis, et praevaleant in his, quae disponunt, et contra ea, et eorum aliquod non possint, vel valeant aliquid fieri, vel attentari quoquo modo directe, vel per obliquum, et quod approbatores statutorum, seu ordinamentorum huiusmodi ligarum, potestariarium, vel locorum, tam electi, quam eligendi, seu assumendi, vel extrahendi, nullam habeant, nec habere intelligantur balìam, iurisdictionem, authoritatem, vel offitium condendi, faciendi, vel etiam, approbandi aliqua statuta, vel ordinamenta, quae
182 Il trattamento riservato ai responsabili di vessazioni a danno delle comunità soggette è chiaramente orientato in senso repressivo. Contro di loro, infatti, è lecito accusare, denunciare, presentare notifiche, anche anonime, senza neppure dover versare un soldo di gabella o dare garanzia. Quindi, a seguito dell’accusa o della denuncia, ma anche d’ufficio, uno dei Rettori forestieri oppure qualsiasi altro ufficiale preposto ad amministrare la giustizia nella città di Firenze, dovrà procedere sommariamente fino alla condanna del reo121.
Si prevede, altresì, che ciascun corpo territoriale (vicariato, capitanato, podesteria) nel contado e nel distretto formi, a proprie spese, una copia di questa legislazione e la affigga in un luogo pubblico, affinché sia visibile a tutti. Viene, infine, predisposto un meccanismo volto ad incentivare gli esposti e le denunce dei sudditi vittime di abusi. La rubrica parla proprio di una «capsa», ossia di una cassetta dentro la quale è lecito immettere qualsiasi tipo di figlio scritto con l’indicazione del genere di abuso subìto per mano di un giusdicente fiorentino o della sua familia122. Perché fosse valida, la segnalazione immessa nella cassetta doveva contenere il nome, il luogo e il popolo di appartenenza di chi la presentava, non necessariamente la persona offesa dall’abuso. Ogni quindici giorni, il contenuto della cassetta veniva ispezionato dalla magistratura dei paciali e comunicato all’Esecutore degli Ordinamenti di Giustizia, avendo cura di riferire solamente il misfatto denunciato e lasciando segreto il nominativo dell’ufficiale estrinseco accusato. Dopodiché, l’Esecutore era tenuto ad aprire un’inchiesta sommaria per accertare l’abuso oggetto della segnalazione. Qualora avesse riconosciuto l’ufficiale colpevole del maleficio, doveva condannarlo alle pene stabilite dalla rubrica o, nel silenzio degli Statuti, a suo arbitrio, e poteva, eventualmente, procedere alla sua rimozione dalla carica.
essent contraria, vel contradicerent praesentibus ordinamentis, et provisionibus, et legibus, aut ipsis derogarent».
121 Ivi, p. 651: «liceat accusare, denuntiare, et notificare secrete, et palam, et cum nomine, et sine nomine, et etiam sine solutione alicuius gabellae pro ipsa accusatione, et seu prosecutione, et absque aliqua promissione, vel satisdatione facienda, vel prestanda, et teneatur credentia notificanti qui voluerint. Et quod quilibet rector, seu offitialis ad iustitiam constitutus, et seu constituendus in civitate Florentiae […] teneatur, et debeat super qualibet tali accusatione, denuntiatione, notificatione, tam ad petitionem accusantis, quam ex suo offitio per viam inquisitionis procedere breviter, et summarie, et sine strepitu, et figura iudicii, et quemlibet repertum culpabilem condemnare in poenis propterea ordinatis».
183 Tutti questi interventi normativi non dettero, però, i risultati sperati123. Soprattutto perché non toccavano minimamente la radice del problema, ossia le modalità di scelta degli ufficiali estrinseci. Si trattava, invero, di cariche ambite, che permettevano a quanti le ricoprivano di trarre notevoli benefici124. Di conseguenza, negli anni, si era venuta formando una sorta di casta di soggetti che aspiravano a governare nelle varie aree del Dominio solo per soddisfare discutibili brame di guadagno. Non è un caso, infatti, che dopo la conquista di Pisa, le proposte di indire nuove elezioni, o rifare le borse elettorali, incontrarono costantemente una dura resistenza nei Consigli125.
Temibile era anche il pericolo costante di rivolte promosse dalle tante comunità, urbane e rurali, che naturalmente non ci stavano ad accettare, in maniera passiva, le conseguenze negative dell’assoggettamento. Fra Tre e Quattrocento, Firenze e la sopravvivenza del suo Dominio furono minacciate da una lunga sequela di episodi di ribellione126. Ma la ribellione che più delle altre destò maggiore preoccupazione nei Fiorentini fu, nei primissimi anni del XV secolo, quella di Pistoia.
La rivolta traeva origine da alcuni incontri segreti tenutisi nel gennaio del 1401 ed ebbe come sfondo la storica rivalità tra le famiglie dei Cancellieri e dei Panciatichi127. Nel mese di agosto, gli Otto di Guardia venivano a sapere da un tale dell’esistenza di un piano per far ribellare Pistoia contro la Dominante. Il delatore rivelava di essere stato contattato per prendere parte al progetto sovversivo da Giovanni de’ Catansanti. Gli Otto non esitarono ad informare la Signoria la quale, con una missiva, ordinò al capitano di Pistoia
123 Secondo Brucker, pochi furono i rettori condannati per atti illeciti. Tra il 1403 e il 1409 soltanto cinque ufficiali fiorentini di casate importanti (Stefani, Falconi, Marchi, Della Casa, Antellesi) furono accusati di condotta illecita e multati in lire mille o duemilacinquecento.
124 Per fare un esempio fra i tanti, Jacopo Salviati, quando era vicario a Pistoia nel 1406, percepì, oltre al regolare salario, tutta una serie di gratifiche in denaro ricevute dai Pistoiesi per servizi speciali: 38 fiorini per aver tenuto uno scrutinio, 24 fiorini per aver pacificato il villaggio di Piuvica, un’altra gratifica di circa 100 fiorini per aver appianato le polemiche fra la comunità di Pistoia e i Cancellieri.
125 Cfr. BRUCKER, Dal Comune alla Signoria, cit., pp. 247-248. 126 Cfr. COHN, Creating the Florentine State, cit., pp. 138-171.
127 Delle due famiglie, i Panciatichi, originariamente ghibellini, nel corso del Trecento si avvicinarono a Firenze fino a condividerne, agli inizi del Quattrocento, la politica di dominio. Viceversa, i Cancellieri, guelfi e teoricamente in linea con Firenze, maturarono col tempo una certa ostilità che sfociò, poi, nella rivolta del 1401. Il fattore scatenante la ribellione va forse collegato ad una circostanza particolare: nei suoi incontri con l’imperatore Roberto di Baviera, Buonaccorso Pitti era riuscito, il 4 luglio 1401, a far riconoscere i Fiorentini come vicari imperiali in tutto il loro territorio, Pistoia compresa. Inoltre, i Fiorentini furono sempre molto esigenti nei confronti dei Pistoiesi sotto il profilo della contribuzione fiscale.
184 di arrestare il Catansanti. Il mattino seguente, il presunto cospiratore veniva catturato. Saputo dell’arresto, Riccardo Cancellieri – che, in rivalità con i Panciatichi, si contendeva la città di Pistoia – si recò nel contado di Bologna dove reclutò alcuni sbanditi perché facessero ribellare contro Firenze il castello della Sambuca, grazie anche all’accondiscendenza del castellano, che ben conosceva Riccardo. In poco tempo, il castello era occupato e attrezzato per la ribellione. Nel frattempo, il capitano di Pistoia procedeva all’interrogatorio del Catansanti che, sotto tortura, svelò i dettagli della rivolta. Dalla Sambuca, dove si era asserragliato con i suoi sodali, Riccardo Cancellieri compì diverse razzie nei villaggi dell’ex contado pistoiese e nel Mugello fiorentino128.
Quest’episodio dovette, già allora, esercitare una forte impressione sui Fiorentini come testimoniano, oltre alle cronache, i registri giudiziari criminali. Solo per l’anno 1401 si contano quattro diverse inquisizioni riferibili alla rivolta di Pistoia e alla presa di Sambuca, culminate con la condanna a morte per ribellione di ben sessantatré persone. Episodi di abigeato, rapimento di bambini a scopo di estorsione, assassinii e incendi di villaggi, continuarono ad affluire presso le corti di Podestà, Capitano del Popolo e vicario fino all’ottobre del 1403. La prima sentenza emessa contro Cancellieri e sodali, datata 4 novembre 1401, condannava a morte Riccardo, sette persone della città e trentatré persone della campagna pistoiese. Le modalità dell’esecuzione non lasciano adito a dubbi circa il lato repressivo dell’incorporazione e, quindi, della tenuta delle varie comunità soggette dentro la cornice del Dominio: i ribelli dovevano, prima, essere tormentati con ferri roventi e così condotti al patibolo, dove sarebbero stati propagginati; sopraggiunta la morte, i ribelli andavano impiccati e i loro corpi, immeritevoli di ricevere degna sepoltura, lasciati marcire sulla forca. I loro beni venivano confiscati. Una seconda sentenza riservava la medesima sorte ai due castellani fiorentini preposti alla custodia della fortezza di Sambuca per infedeltà, disobbedienza e tradimento. Una terza pronuncia condannava diciotto persone provenienti da Sambuca, Montemurlo, Montale, San Quirico e Agliana, colpevoli di scorrerie a Montale, dove uccisero due uomini. Il quarto ed ultimo
185 provvedimento giudiziario riguardava, infine, nove persone di Montale accusate di aver dato ricetto ai ribelli di Sambuca129.
Il problema del contrasto repressivo alle ribellioni diventò acuto nel 1406, all’atto dell’incorporazione di Pisa. Di nuovo, le carte giudiziarie rivelano un clima fortemente repressivo, con gli ufficiali che perquisivano le case dei Pisani alla ricerca di armi e gli informatori che riferivano alle autorità di presunte cospirazioni ordite nelle taverne, nelle chiese, nei palazzi130. Il timore che, da un momento all’altro, potesse scoppiare una qualche ribellione contro la Dominante indusse le autorità a prendere ulteriori e più ferrei provvedimenti di messa in sicurezza del territorio. Così, nel gennaio del 1407, la Signoria, su proposta dei Collegi, fece recapitare al capitano di Pisa, Gino Capponi, un elenco di Pisani da mandare a Firenze per un periodo di tempo indefinito, perché accusati di cospirazione131.
Nonostante il lato eminentemente repressivo dell’incorporazione, Firenze costruisce il suo Dominio in quegli anni e lo mette al sicuro anche ricorrendo a procedure negoziate. È quanto emerge dall’analisi di alcune ribellioni verificatesi, sempre nei primi decenni del Quattrocento, a Civitella, Cavrenno e Bruscoli.
Nel 1397 alcuni cospiratori si accordarono segretamente per consegnare Civitella, principale villaggio della Valdambra, al duca di Milano. Quindi, uccisero il podestà fiorentino di stanza a Civitella e invasero la fortezza occupandola per diversi mesi. A quasi un anno di distanza dalla presa della rocca, Firenze non era ancora nelle condizioni di riprendere il controllo sulla piccola comunità rurale. Le inquisizioni non stavano portando ad alcun risultato concreto. Non restava, pertanto, che allestire un tavolo di trattative con i ribelli del posto132. Poi, i Consigli disposero la cancellazione di tutte le
129 Queste carte giudiziarie sono oggetto dello studio di COHN, Creating the Florentine State, cit., pp. 155- 156.
130 Cfr. BRUCKER, Dal Comune alla Signoria, cit., pp. 241-242.
131 Ivi, p. 242. L’esilio divenne lo strumento da invocare ogniqualvolta una parte del Dominio sembrava poco sicura. Invero, la Signoria fece ricorso alla politica dell’esilio quando, nella primavera del 1408, furono captati segnali di malcontento ad Arezzo. Ancora, quando nella primavera del 1409 l’esercito del re di Napoli Ladislao invase la Toscana, di nuovo si ritrova applicata la misura dell’esilio (Ivi, p. 243). 132 ASF, PR, 87, cc. 74v-78r (17 maggio 1398): «Legum suspensio pro factis Civitelle. Ut qual iter assertum est quod dictum castrum et maxime casserum quod videtur qui in expugnalie aliter habere non posse. Et attendentes ut dicitur quod rehabere dictum castrum est summe utilitas et honoris comunis predicti et ideo volentes».
186 condanne a morte emesse nei confronti dei quattro capi della rivolta dell’anno precedente, nonché la cancellazione dei loro nominativi dall’apposito elenco dei ribelli, il liber
maleabbiatorum. Inoltre, accordarono loro il privilegio di girare ovunque in città, contado
e distretto di Firenze, con indosso armi sia da offesa che a difesa133.
Il controllo su Pietramala, il più alto fra i villaggi che popolavano le Alpi fiorentine al confine tra Firenze e Bologna – quindi, in una posizione strategica importante – passava attraverso la messa in sicurezza del castello di Cavrenno. Così, nel 1403, la magistratura dei Dieci di balìa, d’accordo con i Consigli, decise, anche qui, di aprire un canale di trattative con i ribelli che stavano assediando l’area. Insieme a concessioni di altro genere, questi ultimi ottennero che i loro nomi fossero cancellati dall’apposito registro, e che fossero altresì cancellati tutti i bandi e le condanne emessi nei loro confronti, incluse le condanne per i crimini commessi da qualunque abitante di Pietramala ovvero di qualsiasi comune, parrocchia o villaggio nelle Alpi fiorentine, dal luglio 1402 – quando i ribelli cominciarono l’assedio delle Alpi stesse e di Firenzuola –, fino al giorno degli accordi siglati sotto la supervisione dei Consigli. In più, nessun rettore della città ovvero nessun ufficiale del contado e distretto di Firenze avrebbe potuto perseguire giudizialmente questi uomini per i loro crimini, compresi assassinii e ribellione134.
Sempre nel 1403, la Repubblica fiorentina scese a patti con dei ribelli che occupavano il castello di Bruscoli, lungo il confine con Bologna, ancora una volta nell’ottica di acquisire una rocca strategicamente importante sulla vetta dell’Appennino. Di nuovo, l’apporto dei Dieci di balìa risultò prezioso per la riuscita dei negoziati. All’esito delle trattative, quattordici ribelli delle Alpi furono assolti da ogni crimine, inclusa l’accusa di ribellione, e i loro nomi cancellati dal libro dei malefici. Ebbero, inoltre, licenza di portare indosso armi per tutto il territorio di Firenze, privilegio che avrebbero potuto addirittura trasmettere ai loro figli135.
L’esame delle fonti, anche solo di quelle statutarie, consente di distinguere due pratiche per cui la carica repressiva dell’istruzione probatoria, del giudizio e, quindi, della
133 Cfr. COHN, Creating the Florentine State, cit., pp. 178-179. 134 Ivi, pp. 181-185.
187 condanna veniva, alla fine, annullata o anche solo stemperata attraverso specifiche forme di reintegrazione sociale del reo: sono le pratiche di absolutio (vero e proprio annullamento della sentenza, ossia cancellazione della condanna) e di oblatio (remissione della pena, concessa per offerta in determinate festività religiose)136.
Per poter beneficiare dell’oblazione, il reo doveva aver trascorso nelle Stinche un periodo di tempo proporzionato alla gravità del fatto criminoso commesso, aver ottenuto la pace dai congiunti della vittima, aver pagato certi oneri legati all’entità della condanna in precedenza comminata137. Se sussistevano tali requisiti, l’oblazione veniva votata dai Consigli che potevano approvare, modificare o rigettare le proposte già discusse e avanzate dalla Signoria138. L’oblazione, detta altrimenti offerta di prigioni, era concessa soltanto in occasione di specifiche festività religiose che gli Statuti indicano nella Pasqua, nel Natale e nella festa di S. Giovanni Battista patrono di Firenze139, si sostanziava in un vero e proprio cerimoniale140, e aveva generalmente lo scopo di smaltire la sempre sovraffollata popolazione carceraria.
Non tutti i rei potevano beneficiare dell’oblazione. Sicuramente non avrebbero potuto beneficiarne gli autori di crimini politici141. Per loro, tuttavia, poteva sempre
136 Cfr. STERN, The Criminal Law System, pp. 179-180.
137 Statuti di Firenze del 1415, I, rubrica 83 De hiis qui possint offerri, vel non, pp. 103-106, vol. I, dell’edizione a stampa.
138 Cfr. F. NERI, Aspetti di politica giudiziaria nello stato territoriale fiorentino. Condannati a Pistoia, graziati a Firenze, in «Bullettino storico pistoiese», XCVII (1995), pp. 75-101, in part. p. 82.
139 Statuti di Firenze del 1415, I, rubrica 84 De modo, et forma offerendi carceratos, pp. 106-107, vol. I, dell’edizione a stampa.
140 Ivi, p. 107: «Et omnes, et singuli offerendi, qui ad oblationem ducuntur debeant duci per aliquos de familia alicuius ex rectoribus dictae civitatis de die videlicet, ab hora mediae tertiae usque in 23. horam, vel interim illo medio tempore a carceribus stincarum, usque ad Ecclesiam Sancti Ioannis Baptistae per plateam sitam iuxtam Palatium Dominorum Priorum, et Vexilliferi iustitiae, publice, et manifeste cum capite detecto, et facie detecta, ita quod cognosci possint, et cum mitris albis de carta magnis super caput