Il controllo del corpo sociale L’offensiva moralizzatrice
3. La legislazione suntuaria.
La legislazione suntuaria presenta, ugualmente, profili di problematicità. Le prime disposizioni in materia risalgono alla fine del XIII secolo, cioè al tempo del regime di secondo Popolo, quando imperava un’etica mercantile poco incline all’ostentazione e al lusso e che tentava, anche, di dissuadere i Popolani benestanti dall’imitare i Magnati nei comportamenti e negli abiti. Da allora, di redazione in redazione, le norme suntuarie trovarono sempre collocazione nel contenitore statutario57.
Malgrado questa attenzione, pare che le stesse non ricevessero una costante applicazione pratica da parte dei Rettori forestieri. Per questa ragione, forse, volgendo lo sguardo agli Statuti del 1415, notiamo che la materia è disciplinata nel libro quinto, trattato primo, ossia nella apposita sezione sui Tre Maggiori quando, per tutto il Trecento, la sua sede abituale era quella del Capitano del Popolo.
La rubrica di riferimento merita la nostra attenzione perché attesta, ancora una volta, la tendenza da parte della Signoria a sottrarre settori di intervento ai tradizionali giusdicenti forestieri, per devolverli a magistrature di nuovo conio, che rispondessero a lei direttamente58. Infatti, la disposizione riconosce ai Signori Priori e Gonfaloniere di Giustizia, insieme con i Collegi, la facoltà di eleggere, ogniqualvolta ce ne sarà bisogno, quattro o più cittadini fiorentini di fede guelfa con il compito di reprimere gli eccessi nel modo di vestire e di indossare ornamenti e gioielli da parte delle donne, soprattutto in occasione di cerimonie nuziali, in città e nel contado59. A questo si aggiunge l’impegno a controllare, per ragioni di ordine pubblico, le riunioni familiari («congregationes multarum gentium») occasionate da matrimoni ed esequie.
57 Ne abbiamo intravista qualcuna retro, al paragrafo 1.
58 Statuti di Firenze del 1415, V, I, rubrica 139 Quod domini cum collegiis possint providere super reprimendo committentes maleficia, et contra ornamenta mulierum, vol. II, pp. 627-629, dell’edizione a stampa. Si noti l’uso del verbo reprimere («super reprimendo») nell’intitolazione della rubrica.
59 Ivi, p. 627: «semel, et pluries, et quotiescumque eligere illos quatuor, vel plures cives Florentinos guelfos, quos volent, et pro eo tempore, quo volent, non tamen maiore uno mense pro qualibet vice […] pro reprimendo, et ad reprimendum superfluitatem, et luxum expensarum, et ornamentorum, que fiunt per mulieres, seu pro vestimentis, et circa vestimenta, cinturas, et coronas mulierum, seu puerorum de civitate, seu comitatu Florentiae, et expensarum, que fiunt in nuptiis, seu circa nuptias, vel praetextu nuptiarum».
130 Chiariti i margini di intervento dei quattro magistrati, si dà loro facoltà di legiferare in materia suntuaria, compilando appositi ordini e deliberazioni, e curando la loro attuazione60. Ordini e deliberazioni che, comunque, i quattro ufficiali sono tenuti a sottoporre al vaglio della magistratura di vertice, cioè la Signoria, affinché questa possa poi tradurli, entro sei giorni, in una provvisione della Repubblica, passando per l’approvazione dei Consigli61.
È il 1415. I quattro ufficiali incaricati, in forza della detta rubrica, di rivedere tutta la normativa contro l’ostentazione del lusso accumulatasi fra il 1322 e il 1384, non vengono di fatto istituiti prima del 1427 con il nome di Officiales super ornamentis
mulierum. Così come la legislazione suntuaria non verrà promulgata prima del 3
settembre 1433, al culmine dell’esperienza di governo:
I magnifici e potenti Signori Priori […], esaminati con attenzione gli ordini e le deliberazioni fatti da quei nobili uomini che in volgare sono denominati “gli ufficiali sopra rafrenare gli ornamenti e vestiri delle donne”, raccolti e distribuiti in ventotto capitoli […] Considerate l’autorità e la balìa concessa ai detti ufficiali per rivedere la legislazione suntuaria […] E considerato l’impegno profuso dai detti ufficiali nel tenere a freno, con il massimo desiderio di onestà, la barbara e indomita bestialità delle donne, le quali non ricordano la loro naturale fragilità e che sono sottomesse agli uomini, capaci di mutare il loro senso di pravità in reproba e diabolica natura, costringono, con i loro melliflui venefici, gli uomini stessi a soccombere, immemori del fatto che portano in grembo gli uomini generati dal perfetto seme naturale degli stessi uomini, e che non è conforme alla natura delle cose un simile eccesso negli ornamenti, anche perché fa desistere gli uomini dal prenderle in sposa. E così facendo è lo stesso genere umano a risentirne, poiché le donne sono state create per riempire di prole la città e per preservare la castità nel matrimonio, non per eccedere nel lusso dell’oro, dell’argento, delle vesti o delle gemme. Dio, che è maestro della natura delle cose, non ha forse detto: “Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e assoggettatela”. E i detti Signori, con i Collegi […], considerati i suddetti capitoli […] affinché la città sia riformata secondo i buoni costumi e la bestiale audacia delle donne sia raffrenata, e per altri giusti motivi […] approvano e confermano i suddetti capitoli62.
60 Statuti di Firenze del 1415, vol. II, p. 627: «componere illas provisiones, et illa ordinamenta, quae volent in praedictis, et circa praedicta, vel aliquod praedictorum, et pro eorum, et cuiuslibet eorum expeditione, executione, et effectu».
61 Ivi, p. 628: «Qui domini priores, et vexillifer teneantur, et debeant vinculo iuramenti, et sub poena quingentarum librarum f.p. eis auferenda dicta ordinamenta recitare, et legi facere infra sex dies a die qua sibi praesentata».
62 ASF, Deliberazioni dei Signori e Collegi, ordinaria autorità, 42, cc. 5-6, trascritto in BRUCKER, Firenze nel Rinascimento, cit., pp. 346-347: «Magnifici et potentes domini, domini priores […] visis at auditis
131 Esiste, poi, sempre all’interno degli Statuti del 1415, nel libro quarto, una sezione interamente dedicata a Ordinamenta circa sponsalia et nuptias. Si tratta, principalmente, di disposizioni su riunioni di persone in occasione di sposalizi o funerali. Qui l’intervento punitivo – sovente giustificato dai disordini che potevano nascere in simili contesti – continua ad essere, viceversa, appannaggio dei vecchi Rettori forestieri63. Questa continuità con la tradizione trecentesca è, tuttavia, in parte smussata dal modo di procedere pensato per chiunque abbia in animo di violare detti ordinamenti. La procedura appare, infatti, tutta quanta all’insegna della più recente propensione ad amministrare una giustizia sommaria, svincolata dallo stesso diritto statutario nonché dal diritto comune. Viene, così, accordata ai Rettori forestieri la facoltà di agire:
Di fatto e in maniera sommaria, in qualunque tempo, anche in un giorno festivo, senza osservare alcuna solennità né di diritto comune né di diritto statutario. Né si potranno richiedere pareri legali in merito a queste disposizioni e alla loro attuazione. Né si potrà ricorrere in appello per la cassazione dei provvedimenti che verranno presi sulla base di quelle, in nessuna maniera, tacita, espressa, diretta o indiretta64.
diligenterque examinatis ac matura deliberatione pensatis quibusdam ordinamentis capitulis deliberationibus ac provisionibus factis […] per nobiles viros offitiales quibus vulgo dicitur gli ufficiali sopra rafrenare gli ornamenti e vestiri delle donne de quibus in XXVIIII capitulis constat […] Et considerata auctoritate et balìa dictis dominis prioribus […] una cum […] concessa et dictis offitialibus super dictis ornamentis per formam reformationis […] Et considerata ligalitate dictorum offitialium dictorum ornamentorum in hiis que gesserunt et maxime quia cupiditatem honestam magnum in modum habuerunt ad refrenandam barbaram et indomitam feminarum bestialitatem, que non memores sue nature fragilitatis et quod viris subdite sunt, eorum pravum mutantes sensum in reprobam et diabolicam naturam ipsos viros cogunt mellifluis venenis ipsis subicere inmemores quod viros portant qui ab ipsis hominibus procreantur, ipseque tamquam sacculum semen naturale perfectum ipsorum virorum retinent ut nomine fiant, et quod non est nature conforme tantis sumptuosis ornamentis se hornent, cum ipsi nomine propter hoc desistant a matrimonii copula propter incomportabiles sumptus. Et sic ipsorum hominum natura deficit, cum femine facte sint ad repleandam liberis civitatem et ad castitatem in matrimonio servandam et non ad sumptus argenti auri vestium atque gemmarum, cum ipse Deus et nature magister hoc non dixerit, immo : Crescite et multiplicamini et replete terram et subicite eam. Et diligenter dicti domini collegia […] consideratis suprascriptis capitulis […] ut civitas bonis moribus reformetur et refrenetur ipsarum bestialis audacia et aliis iustis et rationalibus causis moti […] suprascripta capitula […] approbaverunt et confirmaverunt». 63 Lo si deduce chiaramente dal testo della rubrica 3 De cognitione offitialis, vol. II, pp. 383-384, dell’edizione a stampa.
64 Statuti di Firenze del 1415, IV, rubrica 5 De modo procedendi contra delinquentes circa ordinamenta praedicta, et similia, vol. II, pp. 383-384, dell’edizione a stampa: «de facto, summarie, et de plano, et sine strepitu, et figura iudicii, et quolibet tempore, etiam feriato ad honorem Dei, nulla iuris, seu statutorum solemnitate servata quoquo modo in aliquo praedictorum, et per modum, et viam praecepti, provisionis, deliberationis, seu deliberationum, et absque alia vacatione, vel non possit dari, vel haberi consilium sapientis, etiam si ab aliquo peteretur super praedictis, et ab huiusmodi praeceptis, sententiis, seu provisionibus, declarationibus, seu deliberationibus praecedentis, vigore praesentium ordinamentorum in
132 Questi Ordinamenta circa sponsalia et nuptias ne escono come blindati. Vengono, perfino, sottratti ad una qualunque verifica da parte dei giuristi65. E si intende fare altrettanto con quanti hanno il compito di curare la loro attuazione. I Rettori sono, infatti, in questa veste, immuni dal sindacato tranne che per furto e baratteria66. Sono, viceversa, sindacabili per profili di negligenza nella corretta ed irreprensibile applicazione di tali disposizioni. Questa blindatura pare trovare un’ulteriore conferma nella rubrica 16, dove si esonerano perfino la Signoria e i Collegi dal concedere licenze su quanto stabilito negli Ordinamenti o dal prendere provvedimenti in senso contrario a
praedictis, vela liquo praedictorum non possit appellari, vel de nullitate opponi, nec aliquis recursus haberi quoquomodo tacite, vel expresse, directe, vel indirecte».
65 Sul ricorso del potere politico alla scienza giuridica, cfr. TANZINI, Il governo delle leggi, cit., p. 158: «Nel corso del Trecento, infatti, sulle norme statutarie che fissavano la procedura di cancellazione si depositò un sempre più spesso strato di normativa in deroga, che limitava e specificava in maniera estremamente minuziosa, complessa, e non di rado contraddittoria i casi nei quali i notai fossero autorizzati o meno a cancellare i condannati. Questa funzione di controllo, attribuita a notai ai quali la normativa non richiedeva alcuna competenza speciale oltre il titolo, non poteva comprensibilmente essere svolta senza l’intervento di ben più qualificati professionisti, in possesso degli strumenti dottrinali adatti per valutare i singoli casi». Tutta questa particolare attività consulente dei giuristi si è riversata in due grossi registri del fondo Pareri di Savi dell’ASF, relativi agli anni 1378-1403 e 1410-1415. Bisogna, però, osservare che non sempre i rapporti fra il potere politico e la corporazione dei giuristi fossero armoniosi, sovente inquinati dal timore che l’attività consulente dei tecnici andasse ad intaccare l’autorità legiferante del Comune. L’intervento del potere politico che maggiormente impattò sulla procedura di cancellazione delle condanne fu una provvisione del marzo 1412 che, con riferimento ai consilia dei giuristi, prevedeva il generale divieto di cancellare condanne penali sulla base di pareri legali resi da giuristi incaricati dal Proconsolo dell’Arte dei Giudici e Notai, dietro richiesta dei sei notai, e la possibilità di derogare al suddetto divieto solo previa deliberazione consiliare. La provvisione chiuse, in questo modo, la strada alla pratica fino ad allora documentata dai registri del fondo Pareri di Savi, cioè la nomina dei giuristi consulenti da parte del Proconsolo, occorrendo, di volta in volta, il parere favorevole della Signoria sulle istanze di cancellazione. Il testo della provvisione è in ASF, PR, 101, cc. 3r-4r, consultabili digitalizzati sul sito www.archiviodistato.firenze.it/archividigitali/complesso-archivistico.
66 Sul tema della sospensione del sindacato, cfr. ISENMANN, From Rule of Law to Emergency Rule in Renaissance Florence, cit. Secondo l’autore, fin dagli inizi del Duecento, il sindacato fu legittimato dai giuristi sulla base del precetto di diritto romano della redditio rationum, ossia l’obbligo in capo al tutore (tutor) di rendere conto dell’amministrazione dei beni di proprietà di un altro soggetto (negotiorum gestio). I Rettori forestieri venivano qualificati alla stregua di tutori della città, che quindi diventava la persona posta sotto tutela (pupilla); uno stratagemma che consentiva ai giuristi di affermare l’obbligo per quei magistrati di sottostare al sindacato. Lavorando su quello stesso principio, essi rigettarono, allo stesso tempo, l’idea di una completa esenzione dal sindacato, in quanto il comportamento doloso (dolus), se non sanzionato, avrebbe significato un incentivo a commettere crimini. Tuttavia, l’analogia con la redditio rationum del diritto romano era complicata dal momento che la tutela investiva un profilo di amministrazione patrimoniale e non funzioni di natura giurisdizionale. E allora, sulla base delle fonti romane, i giuristi medievali convenivano che solamente questi aspetti concernenti la gestione delle finanze cittadine e private non potevano essere sottratti al giudizio sindacale. Pertanto Isenmann conclude che la circoscrizione di responsabilità sindacale ai soli casi di ruberie, corruzione e debiti accordata ai magistrati fu una scaltra soluzione adottata dai governanti per sospendere la legalità in maniera conforme alla dottrina giuridica.
133 quello che gli Ordinamenti dicono, a pena di lire cinquecento; sanzione da riscuotersi a mezzo dell’Esecutore, da sempre responsabile della procedura di sindacato67.
In definitiva, una procedura particolarmente severa, tesa a sanzionare una immoralità che bisognava categoricamente rimuovere perché potenzialmente idonea a sovvertire l’ordine naturale delle cose, tracciato dalla mano sicura di Dio68, cui la civitas stessa e, ormai, tutto il Dominio territoriale del quale la civitas Florentiae rappresentava il centro, doveva conformarsi.