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ELEMENTI ANATOMOFISIOLOGICI DELL’APPARATO UDITIVO ED EFFETTI A BREVE E LUNGO TERMINE DEGLI AGENTI DI RISCHIO

Elpidio Maria Garzillo - Dottorando di ricerca – Seconda Università degli Studi di Napoli

Il rumore è....

Ambrose Birce, nel suo “Dizionario del Diavolo”, edito all’inzio del secolo scorso affermava che il rumore era un “...un puzzo che disturba l'orecchio ovvero una musica non addomesticata. È comunque il prodotto principale e il segno distintivo della nostra civiltà...”. Nel corso dei secoli, l’attenzione alle problematiche riguardanti il rumore hanno interessato varie popolazioni: era già nota e frequente, fin dall’antichità, l’osservazione che il rumore elevato, proveniente da fonti naturali, potesse provocare ingenti danni all’apparato uditivo (osservazioni di Cicerone, Seneca); erano presenti, inoltrre, già nell’antica Roma, legislazioni riguardanti la limitazione della produzione di rumore in ambiente urbano. Il notevole sviluppo tecnologico europeo non è stato prontamente seguito dall’adozione di soluzioni idonee a ridurre la rumorosità dell’ambiente occupazionale; d’altronde, anche la rumorosità degli ambienti extralavorativi causata dal traffico veicolare (automobilistico, ferroviario ed aereo), dall’esercizio di attività produttive nonché dalle varie estrinsecazioni della vita di relazione è andata progressivamente aumentando. Stime allargate a tutto il mondo suggeriscono che sono circa 127 milioni i soggetti con deficit uditivo di almeno 45 dBA e circa 39 milioni quelli con deficit di almeno 65 dBA. In Europa, dati della European Environment Agency mostrano che circa 113 milioni sono esposti a livelli di rumore superiore ai 65dBA e circa 10 milioni a livelli oltre i 75dBA.

Il suono è definito come una variazione di pressione in un mezzo elastico (aria, acqua, ecc.) rilevata dall’orecchio umano; i suoni si propagano per mezzo di onde sonore circolari e sono segnali composti da un certo numero di frequenze fisse e ben definite. Un corpo che vibra provoca nell’aria oscillazioni della pressione intorno al valore della pressione atmosferica (compressioni e rarefazioni), che si propagano in tutte le direzioni come onde progressive nel mezzo e giungono all’orecchio producendo la sensazione sonora: tutti i corpi, solidi, liquidi o gassosi, possono trasmettere le vibrazioni sonore di una sorgente, e la velocità di trasmissione varia al variare della natura del mezzo.

Le misure fisiche, importanti nella definizione del tipo e qualità del suono sono:

- la frequenza, ovvero il numero delle oscillazioni compiute da uno stesso punto dell’onda nell’unità di tempo e si misura in Hertz (Hz). Le frequenze udibili dall’orecchio umano sono comprese tra 20 e 20.000 Hz. È l’inverso del periodo: ovvero un ciclo al secondo equivale ad 1 Hz.

- Il periodo, ovvero l’intervallo di tempo necessario per compiere un’oscillazione completa; l’unità di misura è il secondo.

- La lunghezza d’onda: è lo spazio percorso dall’onda in un periodo.

- L’ampiezza: è indicativa del livello sonoro.

- La velocità di propragazione: velocità con la quale il suono si propaga in un mezzo e dipende dalla densità del mezzo.

- L’intensità sonora, definita come la potenza media per unità di area con la quale l’energia è trasmessa dall’onda; l’unità di misura è il decibel [dB(A)]. La soglia dell’udito è uguale a 5/10 dB(A), quella del dolore è uguale a 130/140 dB(A)

Ciò che differenzia un suono acuto da un suono grave è la frequenza, cioè il numero di oscillazioni o vibrazioni nell'unità di tempo [Hz]; ciò che differenzia invece un suono lieve da un suono forte è l'intensità, che dipende dalla pressione che l'onda sonora esercita sulla nostra membrana timpanica, misurata in decibel dB(A). La frequenza di un’onda

determina l’altezza di un suono, l’ampiezza dell’onda determina l’intensità del suono, la forma dell’onda determina il timbro del suono: qualunque emissione sonora provochi sull’uomo effetti indesiderabili, disturbanti o dannosi, o che determini un qualsiasi deterioramento qualitativo dell’ambiente, è definibile come rumore: per rumore si intende, quindi, un suono che presenti caratteristiche tali, sia come qualità sia, soprattutto, come intensità, da risultare fastidioso o addirittura dannoso per la salute. In ambito preventivo, ai fini della tutela dell’apparato acustico e della sua salute, è importante classificare il tipo di rumore in:

- RUMORE STABILE o STAZIONARIO: le variazioni di intensità non superano 3 dB;

- RUMORE FLUTTUANTE: le variazioni superano i 3 dB;

- RUMORE INTERMITTENTE: rumore di durata superiore a un secondo, che cade bruscamente in più riprese durante il periodo di osservazione;

- RUMORE IMPULSIVO: rumori di alta intensità e durata inferiore al secondo.

L’uomo percepisce i rumori a partire dai 5 - 10 dB(A) e con frequenze comprese tra 20 e 20.000 Hz; La normale conversazione è compresa tra i 60 e i 70 dB(A); di seguito alcuni esempi di livello sonoro correlati ad oggetti/attività comuni:

- ticchettio orologio (20dB)

- ambiente silenzioso, biblioteche (30-40dB) - conversazione, ufficio affollato (60-70dB) - traffico cittadino (70-80dB)

La soglia di 80dB può essere definita come limite di sopportabilità in ambienti comuni.

Dal punto di vista funzionale, l’apparato uditivo può essere suddiviso in due unità fondamentali: l’apparato di trasmissione o di localizzazione e trasporto dei suoni e l’apparato di percezione o neurosensoriale. L’orecchio esterno ha la funzione di raccolta dei suoni, attraverso il padiglione auricolare, che convoglia i suoni all’interno del condotto uditivo esterno trasmettendo al timpano le onde sonore sottoforma di variazione di pressione atmosferica; inoltre, l’orecchio esterno modifica la fase e l’ampiezza del segnale sonoro incidente in funzione dell’angolo di incidenza e della frequenza del segnale sonoro.

Il timpano separa l’orecchio esterno da quello medio ed è una delicata membrana circolare costituita da tessuto fibroso, coperta da un sottile strato di epitelio: quando sopraggiungono le onde sonore, il timpano vibra in risposta ai mutamenti di pressione dell’aria e trasmette la vibrazione agli ossicini (Martello, Incudine, Staffa). Attraverso questo fine meccanismo, l’orecchio si comporta da amplificatore: l’orecchio esterno quindi modifica la percezione del campo sonoro amplificando alcune frequenze, ma aumenta anche la direzionalità a causa della diffrazione delle onde sonore sull’insieme del volume cranico e dell’orecchio esterno, in particolare del padiglione uditivo.

Il martello, l’incudine e la staffa sono incernierati tra loro: il primo è a contatto con la membrana timpanica, il terzo poggia su un ulteriore diaframma con caratteristiche simili a quelle del timpano, la finestra ovale che lo collega alla coclea. All’interno della coclea non si trova aria, ma un liquido con impedenza simile a quella dell’acqua; l’orecchio medio è collegato anche mediante un canale interno di ventilazione (la tromba d’Eustachio) che decorre verso il basso collegandolo al cavo rinofaringeo.

L’orecchio medio ha la funzione di trasformare le vibrazioni sonore aeree che giungono alla membrana timpanica in variazioni di pressione nei compartimenti liquidi dell’orecchio interno. Una tale trasformazione impone di adattare l’impedenza tra l’ambiente esterno, aereo, e l’ambiente interno cocleare, liquido. In questa fase, l’orecchio medio svolgerebbe una funzione di differenziatore di fase.

Oltre la cassa timpanica, è presente il distretto dell’orecchio interno, caratterizzato da una porzione anteriore ed una posteriore. La parte anteriore, chiamata coclea o chiocciola, è

un condotto simile al guscio di lumaca ed ha funzione uditiva. È piena di liquido ed estroflessioni nervose microscopiche che stimolano le cellule nervose del nervo acustico in risposta alle vibrazioni sonore trasmesse dalla finestra ovale.

La parte posteriore dell’orecchio interno (canali semicircolari) è responsabile del mantenimento dell’equilibrio. I canali semicircolari sono disposti ad angolo retto uno rispetto all’altro e collegati ad una cavità chiamata vestibolo. Contengono cellule ciliate immerse in un liquido e deputate a registrare la posizione e la direzione nello spazio fino a convogliarne le informazioni verso le strutture centrali.

La parte sensoriale della Coclea è rappresentata dall’Organo del Corti: tale organo è appoggiato sulla membrana basilare e si estende per tutta la lunghezza della coclea stessa. L'organo del Corti è costituito da numerose popolazioni cellulari tra cui, da un punto di vista funzionale, le più importanti sono le cellule sensoriali, i cui processi ciliati sono a stretto contatto con le fibre nervose che trasportano le informazioni acustiche verso il Sistema Nervoso Centrale: le cellule ciliate, per la loro peculiarità, sono i primi veri analizzatori e codificatori dell’energia sonora. Per effetto delle caratteristiche geometriche e meccaniche della coclea, l’eccitazione della membrana ovale provoca la formazione di onde stazionarie che raggiungono un massimo di ampiezza in corrispondenza di una posizione particolare lungo la coclea che dipende, a sua volta, dalla frequenza della onda stessa. Il comportamento della coclea può essere quindi assimilato ad una catena di filtri passa banda: tale comportamento ha dato origine alle teorie di pitch (altezza) note come

“teorie di posizione” o “spettrali”. Tali teorie assumono che sia la regione della coclea a più ampia eccitazione quella che determina l’altezza dei suoni: da questo punto di vista, l’udito sarebbe un analizzatore di Fourier. Tuttavia, la scarsa risoluzione di tale analizzatore non permette di descrivere le reali prestazioni del sistema uditivo.

Ricapitolando e semplificando la funzione sopraesposta, un suono ad alta frequenza produce un’onda che si dissipa alla base (stretta e rigida) della membrana basilare; un suono a bassa frequenza, viceversa, produce un suono che si propaga fino all’apice (largo e flessibile) della membrana basilare. Ad ogni punto della coclea corrisponde un valore ottimo della frequenza per il quale si ottiene la massima eccitazione.

Tramite la Coclea avvengono dunque due processi:

- trasmissione del suono, ovvero trasferimento dell’energia acustica dalla finestra ovale alle cellule cigliate;

- trasduzione del suono, processo tramite il quale l’energia sonora viene convertita in impulsi elettrici nel nervo acustico, per poi passare ai centri uditivi superiori del Sistema Nervoso Centrale.

I messaggi uditivi sono veicolati sotto forma di potenziali d’azione dal contingente di fibre afferenti di tipo I del nervo cocleare, che unisce la coclea al nucleo cocleare nel tronco cerebrale. Lungo il decorso delle vie acustiche esistono delle decussazioni che consentono ai dati provenienti dalle due orecchie di essere raggruppati e confrontati, cosa che porta all’estrazione di elementi essenziali che saranno valutati nel dettaglio in una sede più lontana. I messaggi acustici vengono dunque smistati dalla coclea prima di tutto sulla base del loro contenuto in frequenze; quando diversi picchi spettrali sono presenti nel suono da codificare, l’elevata selettività del sistema membrana basilare e delle cellule ciliate esterne manifesta con la presenza di risonanze molto fini, ciascuna nel punto lungo della spirale cocleare la cui frequenza tipica coincide con quella di un picco spettrale del suono.

Le vie acustiche nascono dunque dal nervo acustico, cellule del ganglio del Corti e formano una via cocleare centrale che arriva alla corteccia temporale dove avviene il riconoscimento del suono e vie collaterali ai tubercoli quadrigemini inferiori, sede dei riflessi. Inoltre, le afferenze giungono alla sostanza reticolare collegata con l’ipotalamo

deputata alla stimolazione della vigilanza della corteccia e delle funzioni neuroendocrine.

A livello del Sistema Nervoso Centrale vengono individuate due aree: una situata a livello della corteccia parietale (via dorsale), deputata alla localizzazione dei suoni e la percezione del movimento dei suoni ed un’altra area situata alla corteccia inferotemporale (via ventrale) deputata al riconoscimento dei suoni ed alla segmentazione della scena acustica.

Ogni alterazione di uno o più dei meccanismi dell’apparato uditivo, può causare una riduzione della capacità uditiva, ovvero un'ipoacusia. L’ipoacusia trasmissiva è una patologia interessante il condotto uditivo esterno, il timpano, gli ossicini ed è caratterizzata da alterazioni della membrana timpanica e della catena degli ossicini, perdita percentuale uditiva uguale per tutte le frequenze ed alterata trasmissione della via aerea con conservata trasmissione della via ossea.

L’ipoacusia neurosensoriale è una patologia che interessa la coclea o le fibre del nervo acustico, producendo una sordità soprattutto per toni acuti (di solito a partire dai 4000 Hz) ed un’alterata trasmissione sia per via aerea che per via ossea. Può essere a sua volta distinta in ipoacusia neurosensoriale cocleare, legata all’incapacità della coclea di trasformare l’onda sonora in un segnale bioelettrico ed ipoacusia neurosensoriale retrococleare, quando la successiva propagazione del segnale cocleare normalmente generato è alterata a causa di un problema a livello del nervo acustico.

La presbiacusia è una entità nosologica differente, legata al fisiologico invecchiamento dell’apparato acustico in toto, caratterizzata da una perdita progressiva della funzionalità d’organo con alterazioni di circa 0,5 dB all'anno a partire dall'età di di circa 40 anni, con caduta maggiore per gli 8000 Hz ed alterazione di entrambe le vie (aerea e ossea).

Il meccanismo biologico di danno alla cellula acustica può avvenire in due differenti modi:

attraverso l’apoptosi della cellula acustica ciliata, legata ad alterazioni metaboliche, allo stress ossidativo, ed alle alterazioni del flusso di sangue cocleare che si instaurano in maniera cronica durante l’esposizione a livelli sonori elevati, ovvero, in maniera acuta, attraverso la necrosi cellulare, documentata anche da evidenze sperimentali che hanno descritto un danno da traumatismo meccanico piuttosto che metabolico per esposizioni a livelli superiori a 125 dBSPL (rumore impulsivo).

I fattori che determinano il danno da rumore sono fattori intrinseci al rumore stesso; i più importanti sono: il livello sonoro globale, lo spettro sonoro ed il tipo di rumore (ad es.

impulsivo), la durata dell’esposizione, la suscettibilità individuale e l’interazione con altri fattori nocivi.

Esistono, inoltre, fattori predisponenti allo sviluppo di una ipoacusia neurosensoriale che potrebbero essere valutati nell’ambito delle ipersuscettibilità individuali, quali, ad esempio, il sesso, l’età, fattori voluttuari (alcool, droghe, fumo di sigaretta, sport), condizioni morbose preesistenti, patologie pregresse dell’orecchio medio, cause fisiche (vibrazioni, temperatura, esercizio fisico), sostanze tossiche o farmaco ototossici (gentamicina, streptomicina, acetilsalicilico, antivirali, vasodilatatori diretti, chemioterapici, diuretici) ed infine ototossici professionali (solventi organici, solfuro di carbonio, monossido di carbonio, cianuri, metilmercurio, pesticidi); devono dunque essere analizzate, attraverso un’accurata ed attenta anamnesi clinica, tutte le condizioni morbose pregresse, quali, ad esempio, l’ipertensione arteriosa, l’aterosclerosi, le patologie dismetaboliche quali diabete e dislipidemie, eventuali patologie traumatiche (traumi acustici acuti, traumi cranici, verticalizzazione rachide cervicale), le patologie ORL (otiti acute, croniche, purulente e croniche, otosclerosi) e patologie infettive (morbillo, rosolia, parotite, meningiti)

La valutazione complessiva delle manifestazioni cliniche del danno da rumore comporta la stima di due entità nosologiche, legate a due maccanismi patogenetici del tutto differenti: il danno da stimolo acustico intenso e di breve durata che produce un trauma acustico acuto, ed il danno da prolungata esposizione a stimoli acustici di intensità variabile, che

produce una manifestazione clinica ben caratterizzata, che può essere stadiata in varie fasi (fatica uditiva, latenza, ecc.).

Il trauma acustico si ha per esposizione ad un rumore superiore a 140 dB(A), il quale provoca dolore e danno immediato a carico dell’apparato uditivo; nei casi più gravi vi è la rottura della membrana timpanica e danno alle cellule ciliate. La lesione è quasi sempre monolaterale in quanto il capo funziona da schermo, proteggendo l'orecchio controlaterale; è un’ evenienza rara nei luoghi di lavoro, dovuta a rumori di tipo impulsivo (scoppio di una caldaia, caduta di una lamiera, deflagrazione di una mina, uso di arma da fuoco, ecc.)

Il danno da prolungata esposizione a stimoli acustici di intensità variabile è invece molto più frequente: l’esposizione prolungata ad un rumore continuo superiore a 80 dBA per otto ore al giorno e per molti anni provoca un’ ipoacusia da trauma acustico cronico.

L’esposizione ad un rumore continuo superiore a 80 dB(A), protratto per alcune ore, induce modificazioni all’apparato uditivo che si traducono in un calo uditivo, la cui intensità è proporzionale all’intensità e al tempo di esposizione: cessato lo stimolo, la funzionalità uditiva ritorna normale. Questo fenomeno è chiamato fatica uditiva o Spostamento Temporaneo della Soglia Uditiva (STS) ed è distinto in due tipi: STS2 (fatica uditiva fisiologica) e STS16 (fatica uditiva patologica) in relazione alla durata di esposizione, all’entità ed alla sede di danno.

La fatica uditiva fisiologica (STS2) si misura dopo due minuti dalla fine dell’esposizione al rumore ed ha durata di 16 ore circa; l’entità, a parità di stimolazione acustica, varia da soggetto a soggetto (suscettibilità individuale) ed è proporzionale all’intensità del rumore e alla durata di esposizione. A parità di intensità e durata, i toni a frequenza più elevata producono uno STS2 più marcato. Ad esempio, un tono puro minore di 70 dB non produce alcun STS2, mentre un tono puro di 80-90 dB produce STS2 solo su una frequenza uguale o vicina a quella del tono stimolante. Per toni superiori ai 90dB si produce un STS2 su più frequenze ed è massima su quella di mezzo; i rumori industriali provocano STS2 massimo sulle frequenze 3-4 kHz. La fatica uditiva patologica (STS16) permane anche 16 ore dopo la cessazione della stimolazione acustica.

Lo STS2 e lo STS16 sono espressione di un esaurimento più o meno marcato dei recettori acustici periferici per apporto energetico insufficiente rispetto all’entità della stimolazione:

un recupero completo è dunque possibile, ma solo se l’esaurimento funzionale si mantiene entro certi limiti. Se l’esaurimento è eccessivo, il tempo di recupero diventa molto lungo e l’esposizione a rumore, divenendo cronico, non permette più un recupero completo: lo STS si trasforma lentamente in un danno uditivo irreversibile (spostamento permanente di soglia o SPS) che porterà inevitabilmente all’ipoacusia da rumore. Tuttavia, la misura dello STS prodotto da un certo tipo di rumore e la conoscenza degli anni di esposizione non permettono di prevedere lo SPS; iI danno provocato da una stimolazione sonora intensa e prolungata si manifesta prevalentemente a carico delle strutture nervose dell'organo del Corti. Le prime strutture ad essere danneggiate sono le cellule ciliate esterne: si osserva a questo livello frammentazione e scomparsa delle cilia, rottura della membrana cellulare e sostituzione con cellule di sostegno. Le cellule ciliate interne rimangono indenni molto più a lungo: la loro lesione più precoce è rappresentata dalla fusione delle cilia in un'unica lamella. Per esposizioni a rumori di livello costante si può parlare di insufficiente apporto energetico alle cellule ciliate, con alterazioni croniche prima di tipo metabolico-funzionale e poi metabolico-morfologiche.

I rumori impulsivi producono un danno molto più rapido, caratterizzato da alterazioni morfologiche precoci; in particolare, se il rumore impulsivo supera il livello critico di 130 dB di picco (valore istantaneo), il danno a carico delle cellule ciliate esterne è di tipo meccanico acuto, con rottura delle cilia ed impossibilità di recupero. In linea generale si può affermare che il peggioramento della soglia uditiva non è lineare, ma progredisce

piuttosto rapidamente durante i primi 10 anni di esposizione a rumore, rallentando poi tra i 10 e i 30 anni, subendo successivamente un'ulteriore accelerazione della gravità della patologia per il sovrapporsi della presbiacusia. Ciò è vero soprattutto quando l'esposizione a rumore rimane uguale per tutta la vita lavorativa; quando però il soggetto è esposto a livelli sonori che cambiano nel tempo, l'andamento temporale della soglia cambierà coerentemente ad essi.

Il danno da prolungata esposizione caratterizza un danno d’organo che si manifesta attraverso una sintomatologia clinica peculiare; la prima fase è descritta come fase della fatica uditiva in cui sono presenti acufeni alla fine del turni lavorativo, autofonia, ma nessuna modifica audiometrica: in questa fase, infatti, l’esame audiometrico non mostra modificazioni, presentando, raramente, un lievissimo innalzamento di soglia (pari a 5 dB) sui 4000 Hz. Successivamente si osserva la seconda fase, definita fase di latenza, in cui la sintolmatologia è blanda, caratterizzata solo da qualche acufene: l’esame audiometrico mostra un innalzamento di circa 30-40 dB sulla frequenza 4000 Hz. La terza fase di progressione della patologia è caratterizzata da una sintomatologia franca con problematiche uditive che compromettono anche la sfera sociale e/o relazionale: in questa fase, l’audiogramma mostra un innalzamento di circa 45-60 dB sulla frequenza 4000 Hz. Il deficit permanente risulta essere esteso anche alle frequenze di 3000 e 6000 Hz.

La quarta fase, definita anche fase della sordità da rumore, presenta deficit permanente esteso anche alle frequenze 2, 3, 6 e 8 KHz. È pcaratterizzata dalla difficoltà ad udire la voce dei familiari e dei colleghi di lavoro, acufeni e percezione dei suoni distorta; può essere presente il fenomeno del recruitment.

La sordità da rumore è dunque un’entita nosologica ben definita che si instaura gradualmente ed attraversa varie fasi cliniche: la ridotta capacità uditiva temporanea dopo esposizione a rumore, con presenza di autofonia ed acufeni si tramuta poi in un apparente stato di relativo benessere uditivo, caratterizzante la lunga fase di latenza;

successivamente, se l’esposizione si protrae nel tempo ed è tale da raggiungere un’idoneità

successivamente, se l’esposizione si protrae nel tempo ed è tale da raggiungere un’idoneità