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OBBLIGHI E RESPONSABILITÀ IN TEMA DI MALATTIE PROFESSIONALI

Ida Rampino – Legale - Avvocatura Regionale INAIL Campania

Il tema della Sicurezza è da qualche anno ormai oggetto di notevole attenzione da parte delle Istituzioni per la necessità di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ma anche per il costo sociale della cd “ mancata sicurezza” che è a carico di tutti e non esclude nessuno, dall’imprenditore al lavoratore.

Secondo fonti INAIL, ogni anno vengono spesi circa 45 miliardi di euro per quella che viene definita la “mancata sicurezza”.

Non solo quella relativa agli infortuni, ma anche quella meno quantificabile delle malattie professionali, peraltro ultimamente riconosciute in numero considerevolmente maggiore rispetto al passato.

Spaventa un trend che non consente di pensare che siamo vincenti nella lotta contro gli infortuni e le malattie professionali.

Ultima pietra miliare, in materia, è l’emanazione del Testo Unico sulla sicurezza il D.Lgs.

81/2008,che sostituisce la variegata normativa precedente, con una filosofia nuova rispetto al passato.

Per poter comprendere a fondo lo spirito della legge è necessario precisare che nell’obiettivo del legislatore, nella materia della sicurezza nei luoghi di lavoro deve prevedersi un’interazione di responsabilità, trattandosi di un processo complesso diretto a determinare il lavoro sicuro, per tutti e sempre.

Finalmente si comincia a dimensionare il parametro sicurezza non più sulle grandi fabbriche industriali, ma guardando alla realtà imprenditoriale della piccola e media impresa, molto diffusa sul territorio, tanto da poter dire che essa costituisce l’ossatura del paese Italia.

Si tratta di un primo passo, importante,tangibile, ma non ancora sufficiente.

Nell’obiettivo del legislatore del 2008,la sicurezza deve diventare una cultura di tutti coloro che lavorano, un meccanismo talmente automatico da non aver bisogno di imposizioni quotidiane.

Per raggiungere questo obiettivo, nessuno può essere esente da responsabilità, ognuno con il suo grado, con il suo ruolo, con la sua percentuale di responsabilità variabile in ragione della funzione assolta.

Ed allora cultura della prevenzione, cultura della sicurezza, controllo sociale anche sul posto di lavoro

Questo l’obiettivo che si è posto il legislatore con il D.lvo 81/2008 ed il correttivo 106/2009.

I SOGGETTI DELLA SICUREZZA.

Inizialmente, l’articolo 2087 del codice civile prevedeva come unico destinatario dell’obbligo di sicurezza il datore di lavoro.

Nel tempo, le strutture aziendali si sono rese più complesse, sono cresciute di dimensione per cui oggi non sempre responsabilità e titolarità imprenditoriale coincidono.

I soggetti della sicurezza sono il datore di lavoro sia privato che pubblico;i dirigenti e preposti, Rspp, Medico competente, lo stesso lavoratore

Nozione di datore di lavoro.

Il Datore di lavoro è certamente il principale debitore di sicurezza.

La nozione di datore di lavoro prevista dal T.U. 81, art. 2 comma1 è più ampia rispetto al passato, rispondendo in maniera più accentuata a quel principio di sostanzialità che pervade l’intero decreto 81.

Datore di lavoro non è solo colui che in senso formale è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, ma, in senso sostanziale, colui che, comunque, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione, si trova nella condizione di fatto di avere la responsabilità deI datore di lavoro.

Un criterio sostanziale, quello appenda indicato, che prevale quando vi è discordanza tra la situazione formale e quella reale.

Il dato normativo, dunque, consente di distinguere un datore di lavoro in senso giuslavoristico da un datore di lavoro in senso prevenzionale, la cui responsabilità è condizionata alla congruità dei suoi poteri discrezionali e di spesa adeguate ad effettuare gli adempimenti prescritti dalla legge e solo entro quei limiti, mentre per tutti gli altri adempimenti per quali non dispone dei mezzi e dei poteri per realizzarli, le eventuali violazioni- e relative conseguenze- non saranno ascrivibili agli stessi.

GLI OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO

Egli deve adottare le seguenti principali misure generali di tutela:

• valutazione dei rischi

• programmazione della prevenzione

• eliminazione e/o riduzione dei rischi

• l'organizzazione del lavoro in base ai principi ergonomici

• l'utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici

• il controllo sanitario

• l‘informazione e la formazione

• le misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio

• l'uso di segnali di avvertimento

• la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti.

Questo modello legale degli obblighi e delle responsabilità può essere in parte modificato:

in presenza di determinati presupposti ed a certe condizioni, il debito di sicurezza può infatti essere delegato ad altri soggetti idonei.

Ciò significa che il datore di lavoro può esimersi da responsabilità penali e dal suo debito di sicurezza incaricando persona idonea e capace. Egli però rimane sempre obbligato qualora l’individuazione del soggetto delegato non risponda a questi requisiti.

In merito, si deve considerare la validità della delega non solo su un piano formale, ma anche e soprattutto sul piano dell’effettività, in quanto, per aversi liberazione di responsabilità del soggetto delegante, il delegato deve avere concreti ed idonei poteri d’intervento e di spese, oltre che indiscusse capacità professionali.

È necessario precisare, tuttavia, che,la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.

Obblighi non delegabili

Come detto, il datore di lavoro può delegare alcuni degli obblighi in materia di sicurezza, ad eccezione di quelli previsti dall’art 17:

a) la valutazione di tutti i rischi e la conseguente elaborazione del documento b) la designazione del RSPP

La deresponsabilizzazione del datore di lavoro in caso di delega e subdelega, art 16 bis introdotto dal correttivo D.lvo 106/2009; la cd”norma salva manager”

Questa norma, introdotta dal correttivo del 2009 ha suscitato molto clamore.

Infatti su denuncia di un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza Marco Bazzoni, l’Italia è stata messa sotto accusa dall’Unione Europea per non aver rispettato in modo adeguato le disposizioni europee in materia di sicurezza sul lavoro.

Il presupposto di partenza È che i datori di lavoro e i dirigenti possono delegare e subdelegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 18), mantenendo comunque l'obbligo di vigilare sul delegato. Obbligo che si considera pienamente assolto (art. 16 comma 3) in caso di adozione e ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo. Eccolo il passaggio che ha insospettito la Commissione. A valutare se i dirigenti abbiano correttamente vigilato e siano da ritenere non penalmente responsabili in caso di incidente, a valutare cioè se il modello di verifica e controllo sull'operato dei delegati alla sicurezza sia stato efficace, non È un soggetto terzo come l'Ispettorato del Lavoro, e nemmeno un giudice in sede di accertamento penale, com'Èstato fino a prima della riforma. È un organismo paritetico (art 51), costituito proprio da associazioni di datori di lavoro, quindi con un obiettività di giudizio quantomeno limitata.

Una "salvamanager" più complicata e leggermente depotenziata rispetto a quella inserita nella bozza del decreto Sacconi, che aveva efficacia retroattiva applicandosi ai processi in corso, ma comunque considerata un escamotage dalla Commissione a vantaggio dei capi delle aziende.

Sul punto la dottrina è divisa.

Vi è infatti chi sostiene che non è evidente quale sia esattamente il contrasto tra la disciplina italiana in materia di delega di funzione e i principi della direttiva 89/391/CEE[2].

Infatti, premesso che la materia si presenta particolarmente complessa, occorre preliminarmente osservare che,con il D.Lgs. n. 81/2008,il legislatore italiano non solo ha confermato le ipotesi d’indelegabilità degli obblighi fondamentali da parte del datore di lavoro, già previste dal D.Lgs. n. 626/1994[3], ma sulla base dei consolidati orientamenti giurisprudenziali ha anche codificato un regime molto rigido e articolato di requisiti soggettivi e di condizioni di efficacia (art. 16)

Tuttavia, con il D.Lgs. n. 106/2009 è stato espressamente inserito nell’art. 16, D.Lgs.

81/2008, il nuovo comma 3bis che ha ammesso espressamente la possibilità di ricorrere alla subdelega facendo così venir meno un consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinale che, invece, aveva negato questa possibilità al fine di impedire un possibile (pericoloso)slittamento verso il basso della responsabilità penale in materia antinfortunistica (cosiddetto delegatus delegare non potest).

Al tempo stesso,però, il legislatore ha introdotto, da un lato, una norma limitativa, ossia il principio dello sbarramento con il divieto di un’ulteriore subdelega e,dall’altro, ha stabilito anche per questo atto il rispetto dei medesimi requisiti soggettivi e delle condizioni di efficacia previsti per la delega oltre che la necessità dell’autorizzazione del datore di lavoro (art. 16, comma 3bis).Tuttavia, in capo al datore delegante in quanto dominus dell’impresa di lavoro è rimasto pur sempre l’obbligo (indelegabile) di una costante e penetrante vigilanza sull’operato del delegato (art.16, comma 3) e, per effetto anche dell’obbligazione di sicurezza posta a suo carico dell’art. 2087, c.c., è opportuno che si estenda anche all’ipotesi della subdelega[4] visto che il primo deve comunque controllare che il secondo, sia pure attraverso l’intervento “strumentale” del subdelegato, ha adempiuto correttamente agli obblighi trasferiti e che, in ogni caso, non possono avere come oggetto quelli fondamentali previsti dall’art. 17,D.Lgs. n. 81/2008; pertanto, il datore di lavoro delegante ha anche il dovere d’intervenire immediatamente in caso di inerzie o di omissioni sia del delegato che del subdelegato conosciute o conoscibili[5].

Si tratta, quindi, di un autentico “zoccolo duro in quanto il datore di lavoro ha conservato pur sempre una residua (notevole) responsabilità anche nel caso del ricorso agli strumenti della delega e della subdelega di funzione per culpa in vigilando che, sul piano applicativo, può essere evitata attraverso l’adozione e l’efficace attuazione del modello di verifica e

controllo di cui all’art. 30, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008. Inoltre, come da risalente dottrina, non deve essere nemmeno dimenticato che il datore di lavoro delegante deve rimanere anche «responsabile dell’idoneità personale e tecnico professionale del delegato» e deve rispondere, così, anche per culpa in eligendo[6], principio questo ora codificato al comma 1, lettera b), D.Lgs. n.81/2008, che sembra si estenda anche all’idoneità del subdelegato per effetto del combinato disposto dei commi 3 e 3bis, art. 16.Queste previsioni, quindi, se analizzate adottando una corretta chiave di lettura non sembrano affatto deresponsabilizzare il datore di lavoro, come invece sostenuto, e per altro non deve essere dimenticato che nell’ordinamento italiano l’obbligo di vigilanza è stato reso ancora più stringente, anche dopo la riforma del diritto societario introdotta dal D.Lgs. n.6/2003, per effetto delle previsioni dell’art.2381, comma 3, c.c., e dall’art. 2392, comma1, c.c., che anche in caso di delega a uno degli amministratori hanno imposto agli altri che fanno parte del consiglio di amministrazione di operare diligentemente un controllo sul«generale andamento della gestione»[7].

D’altro canto la delega di funzione è oggettivamente uno strumento indispensabile sul piano organizzativo quando si tratta di imprese di medie e grandi dimensioni e in tutti quei casi nei quali il datore di lavoro ha difficoltà ad adempiere direttamente agli obblighi a proprio carico senza che, per altro, sia corretto parlare a priori di deresponsabilizzazione dello stesso vista la non delegabilità dell’obbligo di vigilanza e i suoi contenuti. Sottoquesto profilo occorre rilevare che proprio la direttiva 89/391/CEE ha il dichiarato scopo«di attuare misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro» (art. 1). Pertanto, questo strumento, oltre ai riflessi propriamente giuridici (trasferimento di obblighi ed esonero condizionato della responsabilità) ha proprio una rilevante valenza nell’ambito aziendale in quanto strumento funzionale, sul piano operativo e in ottica migliorativa delle condizioni di lavoro, per il corretto adempimento degli obblighi di legge alla quale evidentemente il datore di lavoro, tenuto anche conto della crescente complessità gestionale, non riuscirebbe mai a far fronte adeguatamente da solo in moltissimi casi. D’altro canto, l’art. 6, paragrafo 2, lettera g), stessa direttiva, ha obbligato il datore di lavoro a programmare la prevenzione considerando anche l’organizzazione del lavoro che deve essere strutturata attraverso un’appropriata ripartizione di compiti, profilo esaltato anche dall’art. 30, D.Lgs.n. 81/2008, in materia di adozione di modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza del lavoro. In realtà, occorre anche osservare che la direttiva,comunque, non ha previsto nessun divieto di delega da parte del datore di lavoro (che per altro proporrebbe, in un’ottica assolutista, anche delle questioni di compatibilità con l’art. 41, comma 1, Cost.) e che, comunque, i casi di esclusione previsti dall’art. 17, D.Lgs. n. 81/2008, e l’obbligo non delegabile della vigilanza configurato hanno armonizzato questo istituto con i principi in materia di doveri del datore di lavoro previsti dagli artt. 5 e 6, direttiva 89/391/CEE.

Anche di fronte alla presenza di una eventuale delega conferita a uno o più amministratori, specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e di spesa, tale situazione può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso del mancato esercizio della delega.

GLI OBBLIGHI DEI DIRIGENTI

Da sempre il dirigente è stato considerato una delle due figure professionali centrali nel sistema sicurezza.

Egli era infatti già incluso tra i destinatari delle norme infortunistiche dal DPR 547/55, successivamente dal D.lvo 626/94.

Con il T.U. 81/2008 la posizione del dirigente cambia.

Cessa di essere colui che semplicemente si limita a far osservare tutte quelle misure di sicurezza già predisposte sul luogo di lavoro e viene eletto a soggetto co-obbligato, insieme al datore di lavoro, alla predisposizione di misure di sicurezza idonee a garantire la sicurezza dei lavoratori

Non più mero esecutore ma – nell’ambito delle attribuzioni e competenze conferitegli - condivide con il datore di lavoro la responsabilità sia per l’eventuale inadempimento degli obblighi posti che per l’inadeguatezza in chiave prevenzionistica delle misure predisposte.

La diversa impostazione rispetto al passato del D.lvo 81/08 appare ictu oculi dalla lettura dell’art 15 che prevede per il dirigente il diritto a ricevere una informazione ed una formazione adeguata a rivestire il ruolo di primo piano nella tutela della salute dei lavoratori nell’azienda.

Dunque il dirigente non deve essere solo in possesso dei requisiti e delle conoscenze per svolgere mansioni decisionali e di indirizzo, ma deve avere cognizioni e competenze tecniche che gli consentano si eseguire quanto richiesto dal D.Lgs. 81/08.

Gli obblighi del Dirigente sono previsti dall’art 17 del citato TU e sono coincidenti con quelli del datore di lavoro, ad eccezione di quelli non delegabili

Esemplificativamente, tali obblighi possono essere raggruppati come di seguito:

1) (art 18 lett p,q,t,e z,) predisposizione delle misure di sicurezze idonee ad evitare per quanto possibile il rischio infortuni sul luogo di lavoro. E dunque, sotto questo profilo, il dirigente, secondo le attribuzioni e le competenze conferitegli deve in primo luogo prendere appropriati provvedimenti per tutelare la salute dei lavoratori ed aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi dell’azienda o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e protezione;deve inoltre garantire che le misure tecniche adottate non causino rischi per la salute della popolazione o dell’ambiente;

2) obblighi del dirigente nei confronti dei lavoratori (art 20 comma 1 lett b,c,d,e,f,h,i,l,m,n,o,s,u, e bb (fornitura dei mezzi di protezione e provvedere alla formazione ed informazione ed all’addestramento dei lavoratori; connesso a questo adempimento è l’obbligo previsto all’art 20 dei lavoratori di indirizzare al dirigente le segnalazioni relative alle deficienze dei mezzi e dispositivi di sicurezza ovvero condizioni di pericolo di cui vengano a conoscenza

3) adempimenti necessari ai fini dell’effettuazione della sorveglianza sanitaria e quindi il dovere di nominare il medico competente ed il diritto di richiedergli l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico oltre al dovere di inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria

4) infine l’obbligo di comunicare agli istituti previdenziali i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza ed i dati relativi agli infortuni sul lavoro

Il decreto 106/2009 ha introdotto (art 18 co3bis9) uno specifico dovere di vigilanza sul corretto adempimento degli obblighi posti dal T.U. in capo a preposti lavoratori progettisti fabbricanti fornitori, installatori e medico competente.

Ferma infatti la esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati artt. 19,20,22,23,24,25, il dirigente, al pari del datore di lavoro andrà incontro a responsabilità civile e penale nel caso in cui sia riscontrabile un suo difetto di vigilanza

GLI OBBLIGHI DEL PREPOSTO

Altrettanto incisivi sono i compiti previsti dal D.lvo 81 per i preposti.

Si tratta per lo più della trasposizione a livello normativo di alcuni ormai consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità.

Anche per il preposto è previsto un preciso diritto alla informazione e formazione art 159.

Dovrà essere reso edotto delle nozioni di base sulle procedure e metodiche di applicazione delle norme di sicurezza ma dovrà essere reso familiare con le tecniche di lavoro dell’impresa ed informato sulla gestione delle macchine ed attrezzature di proprietà;

la formazione dovrà essere tale da consentirgli un operato autonomo nell’applicazione delle misure di prevenzione e protezione predisposte dal datore di lavoro e dal dirigente Sembra tramontato il tempo in cui la funzione del preposto era essenzialmente basata sulla sua esperienza lavorativa e sull’ascendente che esercitava sui lavoratori a lui affidati art 19.

Ad eccezione dell’obbligo di segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, tutti gli altri doveri riguardano il suo compito principale che è quello di sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori degli obblighi posti a loro carico dalla legge e dalle disposizioni aziendali, Ad es verificare che solo i lavoratori che abbiano ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico, informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave ed imminente circa il rischio stesso;dare istruzioni anche per lavori che possono sembrare semplici, affidati per la prima volta. È stato ritenuto responsabile un preposto che non aveva vigilato su un lavoratore assunto per l’infortunio a questi causato per aver posto il piede su una lastra di vetro che non avrebbe potuto reggere il suo peso.

L’azione di vigilanza deve esser continua ed accurata, ma poiché nel nostro ordinamento vige il principio “nemo ad impossibilia tenetur”, al preposto non può richiedersi di evitare comportamenti irresponsabili del lavoratore oppure eventi imprevedibili ed occasionali; la sua colpa deriva invece da un comportamento negligente e permissivo protratto nel tempo, che generi nei lavoratori comportamenti scorretti e soggetti a rischio.

La responsabilità dunque del preposto non è oggettiva o di posizione, bensì fondata sull’inosservanza di precisi obblighi correlati alla sua funzione di vigilanza.

Il solo fatto che egli ricopra la posizione di preposto non lo assoggetta automaticamente al regime sanzionatorio.

Il preposto, in altri termini, condivide con il datore di lavoro oneri e responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro e di protezione del personale ma con sfumature diverse secondo le sue reali mansioni.

Egli non è tenuto a predisporre i mezzi infortunistici essendo questo un obbligo esclusivo del datore di lavoro e del dirigente.

Egli ha l’obbligo di vigilanza affinché le misure antinfortunistiche e le relative disposizioni vengano regolarmente applicate.

GLI OBBLIGHI DEL MEDICO COMPETENTE

Il medico competente è colui che essendo in possesso di specifici titoli formativi e professionali collabora con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è da quest’ultimo nominato per effettuare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori ed ogni altro compito inerente all’incarico conferitogli (art 2 lett a )

Il D.lvo 81/08 ha ampliato i compiti già previsti dal D.lvo 626/94.

Il medico competente è oggi una figura preminente nell’organizzazione aziendale.

Infatti se la normativa precedente in molti casi limitava la partecipazione del medico competente alle attività aziendali extrasanitarie limitandosi all’uso della formula “sentito il medico competente”, la attuale formulazione normativa lo chiama a collaborare con il datore di lavoro in un’ampia gamma di adempimenti puntualmente elencati dall’art. 25.

“I compiti fondamentali attribuiti dal legislatore al medico competente sono sostanzialmente due:la sorveglianza sanitaria nei casi in cui ricorre tale obbligo (espressamente elencate nell’art 25) e la valutazione dei rischi progressivamente

“I compiti fondamentali attribuiti dal legislatore al medico competente sono sostanzialmente due:la sorveglianza sanitaria nei casi in cui ricorre tale obbligo (espressamente elencate nell’art 25) e la valutazione dei rischi progressivamente