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Il regime assicurativo

NEOPLASIE DI ORIGINE PROFESSIONALE: IL RISCHIO SPECIFICO

2. Il regime assicurativo

Se i tumori professionali vengono esaminati in un ambito di un più ampio raggio di malattie professionali emerge come caratteristica predominante la difficoltà di distinguere sotto il profilo clinico e anatomo-isto-patologico i tumori di origine occupazionale da quelli ad eziologia sconosciuta. Il nesso eziologico, tuttavia rappresenta un aspetto fondamentale per l'indennizzo della malattia, il D.Lgs. 81/08 all’art. 244 (Registrazione dei Tumori), infatti, diversifica la metodologia di rilevazione in base alla frazione eziologica della neoplasia.

Il sistema per l’erogazione dell’indennizzo gestito dall’Inail si basa sul presupposto della riconducibilità eziologica della patologia neoplastica al verificarsi dell’esposizione ad agenti cancerogeni presenti nell’ambiente di lavoro, requisito che rientra sotto la denominazione di nesso di causalità.

Stabilire l’eziologia di una forma neoplastica professionale ed arrivare così ad affermare che una sostanza o un tipo di attività siano la causa certa di tale patologia, si dimostra essere un compito estremamente complesso ed in alcuni casi quasi impossibile, dato che la diagnosi risulta puramente eziologica e basata sull’ammissibilità che la pregressa esposizione lavorativa ad una sostanza oncogena sia stata sufficiente ad esercitare un ruolo nell’induzione della malattia.

Di conseguenza si dimostra arduo riconoscere la relazione di causa-effetto tra l’esposizione professionale e la neoplasia, per cui accade che spesso tale relazione sia misconosciuta e difficilmente dimostrabile.

Questi rilievi rendono quindi particolarmente complessa l’identificazione dell’origine di queste patologie e motivano la diffusa opinione che le forme neoplastiche professionali siano malattie aspecifiche. Le principali difficoltà per la diagnosi delle neoplasie occupazionali sono ascrivibili a:

• lungo periodo di latenza tra esposizione e insorgenza della patologia: in genere risulta difficile risalire alle condizioni di lavoro e alle sostanze con cui si è venuti in contatto durante la vita lavorativa;

• difficoltà a identificare tutte le sostanze con le quali il lavoratore è venuto a contatto e a definire l’intensità dell’esposizione;

• scarse conoscenze sulle esposizioni multiple e sulle interferenze fra le diverse sostanze;

• interazioni fra esposizioni professionali, abitudini di vita e suscettibilità individuale.

2.1 Il sistema tabellare

La legge distingue tra patologie tabellate [3], per le quali vige la presunzione legale di origine professionale delle stesse, sempre che le stesse siano state denunciate entro i termini massimi indennizzabili previsti dalla tabella, e patologie non tabellate in relazione alle quali il lavoratore ha sempre l’obbligo di provare l’origine professionale.

In alcuni casi tuttavia, l’Istituto assicuratore nega la pregressa esposizione al rischio sulla base di dichiarazioni del datore di lavoro o per impossibilità di documentare a distanza di tempo la presenza di cancerogeni; per i tumori professionali non tabellati l’onere della prova è carico del lavoratore, prova difficile che presuppone di poter disporre di indagini epidemiologiche in popolazioni lavorative esposte agli stessi agenti e/o lavorazioni cancerogene di entità e durata simili.

È essenziale per il riconoscimento del nesso eziologico fra patologia e lavorazione, l’esistenza di un fattore lavorativo causale o concausale eziopatogenicamente valido ed indispensabile a produrre lo specifico danno con rapporto diretto ed efficace.

I criteri indicati usualmente per la ricerca del nesso di causalità in tema di tumori professionali possono essere così sintetizzati:

• esistenza certa del tumore;

• indicazione precisa delle sostanze e/o lavorazioni cancerogene;

• l’anamnesi lavorativa deve dimostrare una esposizione adeguata per continuità e durata (meglio se supportata da indagini di igiene industriale);

• periodo di latenza adeguato tra esposizione e comparsa del tumore,

• l’età del paziente al momento della diagnosi dovrebbe essere più giovane di quella media calcolata in base alla letteratura per lo stesso tumore,

• per quanto possibile la sede del tumore deve corrispondere a quella elettiva per la sostanza in causa;

• il tipo istologico deve essere compatibile con quello del tumore provocato dalla sostanza in causa;

• il soggetto deve avere preferibilmente familiarità negativa per neoplasie;

• assenza, per quanto è dato conoscere, di altri fattori cancerogeni extraprofessionali (fumo).

Questi criteri tuttavia non dovrebbero essere applicati con rigidità in quanto la valutazione delle prove di cancerogenicità non è univoca, ma viene periodicamente aggiornata.

3.Cancerogenità delle sostanze

In Italia, il rischio cancerogeno (e mutageno) viene affrontato in modo sistematico nel titolo IX del D.Lgs. 81/08 che, in sintesi definisce come agente cancerogeno:

3. una sostanza che risponde ai criteri relativi alla classificazione quali categorie cancerogene 1 o 2, stabiliti ai sensi del D.Lgs. 52/97, e successive modifiche ed integrazioni, in attuazione di corrispondenti Direttive Comunitarie;

4. un preparato contenente una o più sostanze di cui al punto 1, quando la concentrazione di una o più delle singole sostanze risponde ai requisiti relativi ai limiti di concentrazione per la classificazione di un preparato nelle categorie cancerogene 1 o 2, stabiliti ai sensi dei D.Lgs. 52/97, e D.Lgs. 285/98;

5. una sostanza, un preparato o un processo di cui all'allegato XLII, nonché una sostanza od un preparato emessi durante un processo previsto dall'allegato XLII;

Le caratteristiche oncogene delle sostanze tuttavia non sono sempre note e questo rappresenta un ulteriore ostacolo nella individuazione dell’origine professionale di una forma neoplastica. Diverse e numerose sono le agenzie internazionali di ricerca (Tabella 2) impegnate nella classificazione degli agenti cancerogeni i cui criteri di valutazione sono basati su studi epidemiologici e sperimentali sia sugli animali che sull’uomo.

Nome Descrizione Sede

UE Unione Europea Già Comunità economica Europea

(CEE) Bruxelles

IARC Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro Lione - Francia CCTN Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale Italia -Istituto

Superiore di sanità

EPA Agenzia di Protezione dell’ambiente USA

ACGI H

Conferenza Americana Governativa degli igienisti

industriali USA

NTP National Toxicology Program USA

NIOS H

Istituto Nazionale per la sicurezza e la salute sul

lavoro USA

DFG Senat Komission der Forshungsgemein- Shaft Germania

Tabella 2 - Agenzie Internazionali di Ricerca

In particolare, facendo riferimento alla classificazione promossa dalla IARC si può sostenere che se una sostanza viene definita appartenente al Gruppo 1 IARC - agente cancerogeno accertato per l’uomo o al Gruppo 2A IARC -agente probabile cancerogeno per l’uomo- la ricostruzione del nesso causale impone solo di documentare che le mansioni del lavoratore siano state svolte in un ambiente contaminato dall’agente in questione. Nel caso in cui la sostanza rientri tra quelle inserite nel Gruppo 2B IARC (l’agente è un possibile cancerogeno per l’uomo) e la patologia tumorale non trovi riscontro eziologico nella tabella delle malattie ad origine professionale riconosciuta, l’onere della prova circa l’esistenza del nesso di causalità è a carico del lavoratore che dovrà quindi essere in grado di procedere non solo all’identificazione di una causa idonea a produrre l’effetto cancerogeno ma dovrà provare l’avvenuta esposizione.

In questi casi, allo scopo di pervenire ad un tale risultato, è necessario approfondire le conoscenze sulla sequenza temporale che consente di individuare in maniera consequenziale la causa e l’evento causale, cioè l’elemento che permette di stabilire l’effettivo collegamento tra la causa stessa e l’effetto patologico.

Classificazione IARC-International Agency for Research on Cancer - Gruppo 1

"Cancerogeni umani"

Questa categoria è riservata alle sostanze con sufficiente evidenza di cancerogenicità per l’uomo.

Gruppo 2 2A "Probabili cancerogeni umani" Questa categoria è riservata alle sostanze con limitata evidenza di cancerogenicità per l’uomo e sufficiente evidenza per gli animali. In via eccezionale anche sostanze per le quali sussiste o solo limitata evidenza per l’uomo o solo sufficiente evidenza per gli animali purché supportata da altri dati di rilievo.

2B "Sospetti cancerogeni umani"

Questo sottogruppo è usato per le sostanze con limitata evidenza per l’uomo in assenza di sufficiente evidenza per gli animali o per quelle con sufficiente evidenza per gli animali ed inadeguata evidenza o mancanza di dati per l’uomo. In alcuni casi possono essere inserite in questo gruppo anche le sostanze con solo limitata evidenza per gli animali purché questa sia saldamente supportata da altri dati rilevanti.

Gruppo 3 "Sostanze non classificabili per la cancerogenicità per l’uomo"

In questo gruppo vengono inserite le sostanze che non rientrano in nessun’altra categoria prevista.

Gruppo 4 "Non cancerogeni per l’uomo"

A tale gruppo vengono assegnate le sostanze con evidenza di non cancerogenicità sia per l’uomo che per gli animali. In alcuni casi, possono essere inserite in questa categoria le sostanze con inadeguata evidenza o assenza di dati per l’uomo, ma con provata mancanza di cancerogenicità per gli animali, saldamente supportata da altri dati di rilievo.

Tabella 2 - IARC: International Agency for Research on Cancer

Il D.Lgs. 81/08 stabilisce, specifici obblighi per il datore di lavoro, responsabile del servizio prevenzione e protezione, lavoratori, medico competente, finalizzati alla gestione del rischio cancerogeno attraverso misure tecniche, organizzative e procedurali, per il contenimento dell’esposizione. In particolare il datore di lavoro ha l’obbligo di evitare/ridurre l’utilizzazione di un agente cancerogeno rendendo il livello di esposizione dei lavoratori al più basso valore tecnicamente possibile.

Se un’ attività lavorativa comporta l’impiego di agenti chimici, la loro cancerogenicità può essere determinata dalla consultazione delle schede di sicurezza e all’etichettature delle stesse.

L'etichettatura e le schede informative di sicurezza (SDS - Safety Data Sheet) sono i mezzi di informazione del pericolo connesso all'uso della sostanza o del preparato. Le risultanti classificazioni ed etichettature, sono comunicate agli utilizzatori della sostanza attraverso l'etichetta e, per quanto riguarda gli utilizzatori professionali attraverso le schede informative in materia di sicurezza, entrambi utile strumento per la gestione del rischio derivante dai prodotti chimici.

Negli ultimi trenta anni sono stati elaborati svariati sistemi di classificazione ed etichettatura per le sostanze ed i preparati pericolosi nei diversi ambiti normativi dei vari Paesi del mondo. Ciò ha comportato sistemi dissimili che fornivano informazioni a volte contrastanti riguardo alla prevenzione e sicurezza nell’uso della stessa sostanza chimica e loro miscele prodotte nei diversi Paesi del mondo.

Il 26 marzo 2012 è stato pubblicato il nuovo standard statunitense sulla comunicazione del pericolo (OSHA Hazard comunication standard), meglio noto come HazCom. Questa revisione include, tra le altre cose, le regole di calcolo e classificazione secondo GHS e un nuovo formato aggiornato di scheda di sicurezza, che mostrerà ora anche la classificazione GHS americana. La nuova normativa prevede inoltre un aggiornamento della tradizionale scheda di sicurezza a 16 punti includendo tutte le informazioni necessarie per ottenere la nuova classificazione, nonché i nuovi elementi di comunicazione del pericolo. In Figura 1 a titolo d’esempio si riportano per sostanze o miscele che corrispondono a criteri cancerogeni gli elementi indicati con la nuova etichettatura.

Classificazione Categoria 1 A o categoria cancro (indicare le vie di esposizione se è accertato

Le valutazioni dell’esposizione si basano su variabili temporali, sulla relazione tossicologica descritta nella curva dose-risposta e sulla concentrazione ambientale della contaminazione presente nel luogo di lavoro.

Nelle variabili temporali ricadono la latenza ovvero il periodo ricorrente tra l’inizio dell’esposizione a cancerogeno e la diagnosi della neoplasia, e la durata dell’esposizione.

Per le neoplasie occupazionali la latenza può essere superiore ai 10-20 anni, come ad esempio per i tumori polmonari e il mesotelioma pleurico degli esposti all’asbesto, alcuni agenti cancerogeni tuttavia possono mostrare una latenza più breve, ad esempio le leucemie negli esposti a radiazioni ionizzanti.

Contrariamente a quanto accade per gli agenti causa di effetti deterministici, per gli agenti cancerogeni non è possibile oggi dimostrare che esiste una dose soglia al di sotto della quale non si possa verificare l’insorgere della malattia. Esiste invece una relazione dose-risposta in base alla quale con l’incremento della dose di esposizione aumenta proporzionalmente la risposta, in questo caso patologica, per cui si può correttamente affermare che non è più probabile o possibile, ma certo che la dose di sostanza o preparato cancerogeno possa far insorgere nell’esposto una forma neoplastica.

La ricostruzione del nesso di causalità, come mostrato in Figura 2., sebbene appaia in teoria molto semplice e lineare, risulta invece estremamente complessa. Le neoplasie occupazionale non sono distinguibili dai tumori “spontanei” non occupazionali. A volte l’età del soggetto alla diagnosi, in considerazione dall’età di inizio dell’esposizione

risultare mediamente inferiore rispetto alle neoplasie spontanee. Inoltre non sempre è possibile ricostruire con certezza l’esposizione specie nel caso in cui il lavoratore ha svolto differenti attività.

L’interazione tra esposizione lavorativa e condizioni di rischio extraprofessionali può dare origine infatti sia ad un effetto additivo (somma tra l’azione dei cancerogeni) come dimostrato dagli studi sul radon, sia ad un effetto moltiplicativo (prodotto tra l’azione dei cancerogeni) evidenziato dai diversi studi (anche se non sempre con risultati univoci) che si sono occupati di analizzare l’interazione tra esposizione ad amianto, carcinoma polmonare e fumo di sigaretta.

In questi casi la difficoltà maggiore che si riscontra è quella di stabilire il peso delle diverse situazioni come causa della comparsa del tumore, per definire a quale ambito sia prevalentemente riconducibile l’insorgenza della forma neoplastica, cioè quale sia il ruolo e il peso del fattore professionale rispetto a quelli extra professionali.

Figura 2 - Nesso causalità-effetto

Per quelle malattie non tabellate, per cui è carico del lavoratore l’onere del nesso di casualità un contributo utile si è dimostrato essere il D.Lgs. 81/08 dove all’art. 244 è prevista la redazione del Registro degli Esposti a sostanze cancerogene. Questo documento contiene tutti i dati sanitari e le informazioni riferibili non solo ai lavoratori classificati come esposti e pertanto sottoposti a protocolli di sorveglianza sanitaria, ma anche a tutti coloro che risultino solo potenzialmente esposti o ex-esposti. A questa categoria fanno capo coloro per i quali l’esposizione a sostanze cancerogene si sia verificata accidentalmente.

I dati contenuti nel Registro degli Esposti compilato dal Datore di Lavoro sono incrociati con le informazioni fornite dal Registro Nazionale Tumori dove le neoplasie sono anche classificate in base all’identificazione geografica.