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ll rapporto tra acculturazione e identificazione culturale viene descritto come un fenomeno psicologico di push and pull, poiché si alternano spinte in direzione contrapposta: verso il mantenimento della propria identità etnica e culturale e verso l'adattamento alla cultura della società ospitante.

La tensione tra queste due direzioni tende a produrre stress da acculturamento, o stress da biculturalità. Vi è spesso un insieme particolare di comportamenti che si rilevano durante l'acculturazione, come, ad esempio, il peggioramento dello stato di benessere mentale (ansietà e depressione), l'insorgenza di sentimenti di emarginazione e alienazione, l'aumento del livello di sintomi psicosomatici, confusione di identità. In particolare, quando il processo acculturativo fallisce, si parla di stress di acculturazione che porta diverse patologie psico-fisiche, dal calo dell'auto-stima, al disorientamento, alla marginalizzazione, fino all'elaborazione di sentimenti di angoscia e, in condizioni estreme, al desiderio di togliersi la vita. Il rapporto tra acculturazione e stress è determinato da diversi fattori: le modalità di acculturazione, le caratteristiche del gruppo oggetto di acculturazione (età, status, sesso) l'orientamento individuale nei confronti dell'esperienza migratoria, le condizioni della società ospitante e quelle della società d'arrivo.

La deculturazione, invece, si verifica quando l'acculturazione viene imposta, portando alla scomparsa della cultura di origine che viene sostituita completamente da quella dominante. In presenza di gruppi egemonici, l'imposizione culturale può portare anche alla resistenza, ossia a quell'atteggiamento caratteristico all'inizio del processo acculturativo messo in atto dai gruppi minoritari di fronte all'assimilazione forzata di altri sistemi culturali, percepiti come una minaccia alla propria identità. La contro-acculturazione si verifica quando l'acculturazione è già avviata e il gruppo prende coscienza della perdita o dell'allentamento dei vincoli dal sistema culturale di origine e, pertanto, tenta un ritorno alle tradizioni esistenti prima del contatto. Un altro livello della acculturazione è la reinterpretazione che si riferisce al processo di “digestione” necessario per assorbire altri modelli culturali. La reinterpretazione presuppone la creatività e la capacità dei gruppi costretti a rinunciare alla propria identità, perché ritenuta inadeguata nella società di arrivo, e ad adottare modelli differenti.

Il processo di acculturazione dei molisani nel contesto urbano di New York è caratterizzato da questi processi sopra descritti, che si manifestano in modo diverso a seconda delle generazioni ma tutti, però, si collegano alla storia dell'emigrazione negli Stati Uniti, quindi, all'assimilazionismo che ha portato alla formazione dell'identità italoamericana.

Diversi fattori sociali, individuali, culturali, contemporanei e pregressi al processo migratorio concorrono a determinare o meno il tipo di strategia acculturativa degli immigrati, quindi, il successo o meno dell'acculturazione.55 Uno dei fattori che rende l'acculturazione problematica riguarda lo spostamento di gruppi portatori di stigma sociali. Questo termine si riferisce agli attribuiti che svalorizzano e denigrano l'identità sociale di determinati gruppi minoritari aventi scarso potere. Alcuni esempi di stigma sono la razza, il colore della pelle, la religione, particolari condizioni di disabilità sia fisica sia mentale, il genere, l'etnicità etc... Il processo di stigmatizzazione, ossia l'attribuzione dello stigma, influenza la stima personale e i comportamenti, i pensieri, i sentimenti delle persone stigmatizzate. Oltre allo stigma, anche il pregiudizio e lo stereotipo possono influenzare l'acculturazione, ostacolando o ritardando l'inserimento nella nuova società. Il primo termine si riferisce alla formulazione prematura, basata su una conoscenza parziale o indiretta, della realtà, quindi, il pregiudizio si fonda, prevalentemente, su un atto di ignoranza, nel senso, di ignorare la cultura dell'Altro. Nelle scienze sociali, per pregiudizio si intende un atteggiamento particolare verso una categoria o un gruppo di persone che si forma nelle relazioni intergruppo e che, in situazioni particolari, porta al razzismo. In questo caso, si parla specificatamente di pregiudizio razziale per intendere quel

atteggiamento negativo verso una razza o un gruppo che si sviluppa quando gruppi minoritari entrano in contatto con quelli predominanti. Il pregiudizio razziale è uno dei più importanti sul piano storico- sociale per i problemi scaturiti (emarginazione, discriminazione, violenza). In antropologia, il pregiudizio poggia su una visione etnocentrica, tipica di ogni cultura. In psicologia si intende per pregiudizio l’opinione preconcetta concepita non per conoscenza diretta di un fatto, di una persona o di un gruppo sociale, quanto piuttosto in base alle opinioni comuni o alle voci.

G.W. Allport56 sostiene che un concetto errato (che è sempre possibile) si trasforma in pregiudizio quanto rimane irreversibile anche di fronte a nuovi dati conoscitivi. Per esempio, se si ritiene che gli immigrati siano portatori di destabilizzazione sociale è difficile che tale opinione possa cambiare di fronte a immigrati, che in tutta evidenza si comportano in modo difforme dal comune pregiudizio. Alla base del pregiudizio vi sono ragioni economiche e utilitaristiche inerenti la distribuzione e l'acquisizione di diritti e risorse quando queste sono scarse e limitate, scatenando, così, il conflitto sociale. Quando il pregiudizio sfocia in un comportamento specifico si parla di discriminazione. La discriminazione può avere come effetti un attacco alla propria auto stima, infatti, sentendosi inferiori, si pensa di non valere nulla; l'altra conseguenza può essere una qualche volontà di fallire in quanto le vittime della discriminazione appaiono comportarsi in modo da validare i pregiudizi che si hanno nei loro confronti, si parla in questo caso di profezie che si auto avverano che occorrono quando si creano le condizioni per cui l'altro si comporta come ci si aspetta.

Infine, il termine stereotipo indica una credenza o a un insieme di credenze in base a cui un gruppo di individui attribuisce determinate caratteristiche a un altro gruppo di persone. In psicologia sociale lo stereotipo corrisponde ad un'immagine semplificata di una categoria di persone e di eventi, condivisa generalmente a livello sociale. Lo stereotipo si accompagna al pregiudizio, quindi, essi sono degli schemi mentali che si utilizzano per valutare o prevedere il comportamento di una persona o di un gruppo. Questa tendenza rientra nella categorizzazione degli oggetti e dei gruppi,, pertanto, si ritiene che quel gruppo avrà probabilmente le caratteristiche proprie di quella categoria. Anche lo stereotipo si basa su una conoscenza fasulla e limitata della realtà, trascurando cioè tutte le possibili differenze che potrebbero invece essere rilevate tra i diversi componenti di tale categoria. Lo studio dell'effetto della cosiddetta minaccia da stereotipo afferma che quando il soggetto percepisce il rischio di confermare stereotipi attribuiti al gruppo di origine, di conseguenza, sviluppa un'ansia di prestazione che lo espone

alla frustrazione di ottenere la verifica concreta dei suoi timori (Chrysocchoou 2006; Dovidio J. K., Kawakami K., Gaertner SL. 2002).

Lo stereotipo e il pregiudizio hanno una vita inserita nella storia e nelle generazioni e, nei processi migratori svolgono un ruolo essenziale per la riuscita del processo di acculturazione. Infatti, cambiando ambiente di origine, l'immigrato è sottoposto ad uno sforzo per accettare le sfide che derivano dal confronto con altre culture e, se la sua cultura di origine è stigmatizzata e oggetto di pregiudizi e stereotipi, lo sforzo è, senza dubbio, maggiore, più problematico e fonte di tensioni e dilemmi.

Altri fattori che influenzano l'acculturazione sono di tipo individuale e soggettivo (l'età, il genere, lo

status economico, il livello di scolarizzazione, l'esperienza personale, le attitudini, gli interessi etc...)

collettivo e oggettivo (i valori della cultura di appartenenza, la religione, la lingua, le credenze e quanto più essi differiscono dalla cultura ospitante tanto più l'acculturazione diventa difficile).

Alla base del processo dell'acculturazione, quindi, ci sono una serie di componenti sociali, ambientali, culturali ed individuali. Ed è in questa piattaforma che si inserisce il problema dell'inserimento degli immigrati come un processo complesso e mai riconducibile ad un solo fattore, ma, piuttosto caratterizzato da molteplici variabili. Tra queste variabili possiamo citare, ad esempio, un inserimento armonico nella nuova società, reso possibile da un'adeguata soddisfazione dei bisogni individuali e di quelli del gruppo di appartenenza; al contrario, nel caso che vi siano degli ostacoli a tale condizione, è possibile che nell'immigrato si sviluppino atteggiamenti e sentimenti devianti e nocivi per la società d'accoglienza, ma, anche per quella di provenienza. In questo ultimo caso, l'immigrato soffre di un’assenza di opportunità e di obiettivi socialmente accettati, cerca di raggiungere spesso fini non condivisi dall’insieme delle persone che costituiscono il suo gruppo sociale e viene sottoposto a stress psicologici, se la società pone barriere tra lui e gli scopi fissati. In tal modo, si accentua il circolo vizioso di ostacolo, di reazione di frustrazione57, di disadattamento (Dollard, Miller, 1967) che può agire da propellente nel determinare atteggiamenti devianti, impedendo la costruzione di interrelazioni sociali equilibrate. In una prospettiva sociologica, va rilevato che per ridurre i processi di disagio e di disadattamento, bisogna considerare l'immigrato come un individuo in cammino, come un progetto di vita che si realizza lentamente, e che durante il suo percorso può sviare, rallentare, riprendersi, purché non sia lasciato solo a gestire una cultura diversa che ancora non ha pienamente compresa, 57 L’ipotesi della frustrazione–aggressività, secondo cui l’aggressività è sempre il risultato della frustrazione. Il modello

dell’aggressività prospetta che una persona sia motivata ad agire in modo aggressivo non da fattori innati bensì da una pulsione indotta dalla frustrazione. Con il termine frustrazione gli autori intendono una condizione che sorge quando il raggiungimento di un fine incontra un ostacolo; l’aggressione è invece un’azione che ha lo scopo di nuocere ad un altro organismo. Vedi. Dollard J., Miller N. (1967), Frustrazione ed aggressività, Giunti, Firenze.

interiorizzata e sentita come propria.

In questo percorso, l’immigrato se abbandonato, emarginato e discriminato mostra la propria forza fisica, la propria energia aggressiva, per provare agli altri e a se stesso di esistere; si oppone alle regole sociali ed alle convenzioni perché prodotti all'interno di una cultura che non riconosce come propria, ma, sente, avversa e ostile.

Per diventare protagonista, per esserci deve inventarsi altri valori che per la collettività possono essere disvalori, o altre regole, magari in opposizione con quelle della cultura dominante.

Da questa prospettiva, l’atto deviante rappresenta una forma alternativa di comunicazione/interazione disfunzionale. È fondamentale, dunque, che la società sia d'accoglienza sia d'arrivo siano in grado di sostenere l'acculturazione dell'immigrato, che lo possano rendere più autonomo e più responsabile nell’affrontare le varie sfide che il processo migratorio richiede.

In questo modo, l'acculturazione è il risultato di un accordo reciproco che si sedimenta tra le due culture, sostenuto da determinate condizioni, quali la fiducia reciproca, le aspettative, il rispetto per le norme e la decodifica dei modelli di interazione.