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La situazione di forte squilibrio, caratterizzante la società americana durante la seconda ondata migratoria, dà origine alla formazione di aree metropolitane popolate dallo stesso gruppo etnico, veri e propri ghetti, che comportano problemi molteplici: dal sovraffollamento, alla mancanza di igiene, alla formazione dell’economia informale, alla criminalità, alla marginalizzazione sociale, al razzismo etc... In questo contesto anomico, il modello culturale predominante comincia a vacillare, mettendo in discussione lo status quo del gruppo W.A.S.P. Anche, il sogno dell’individualismo economico tracolla, insieme a quello di una società democratica, il cui potere economico e politico resta, invece, nelle mani dell’élite del sistema capitalistico.

In particolare, i native born, che si identificano come i “veri americani” propugnano un'assimilazione forzata e guardano con pregiudizio i nuovi emigrati che, oltre a presentare forti differenze culturali e religiose, accettano lavori di bassa manovalanza in condizioni precarie. Si produce, così, un’avversione molto forte nei loro confronti da parte delle fasce egemoniche della società quali, i legislatori, i politici, gli uomini di chiesa, i giornalisti, gli americani di provenienza Nord-Europea e, non ultimi i sindacati. Questi ultimi, in particolare, temono che la disponibilità allo sfruttamento lavorativo e salariale dei nuovi arrivati possa compromettere le politiche del lavoro e incrinare la coscienza sindacale, duramente conquistata. La seconda ondata migratoria, dunque, se da un lato costituisce una grande risorsa economica per gli USA, dall’altro lato, rende “i nuovi arrivati” il capro espiatorio cui attribuire la responsabilità di tutti i mali sociali al fine di celare i veri motivi di natura politica-economica.

Diffatti, rispetto alla prima ondata migratoria, ora sono cambiati i bisogni del sistema produttivo capitalistico. In particolare, si richiede una manodopera più specializzata e meno copiosa, quindi, occorre selezionare la tipologia degli immigrati sulla base di regolamenti che contengono il numero degli ingressi.

Nell'ambito delle politiche migratorie si impone, quindi, la selezione dei gruppi tramite “scale di desiderabilità e di assimilabilità”, ossia di elenchi in cui si indica quale gruppo preferire per l’immigrazione. Si formulano, una serie di provvedimenti e misure ad hoc, che dal 1903 culminerà con le leggi restrittive promulgate nel 1921, e, definitivamente, nel 1924 con il Johnson Reed Act, che

regolava le quote nazionali annue degli ingressi sulla base del censimento del 1890.

Tale legge è il frutto della legislazione precedente del 1917 che fissa la quota annuale di immigrazione spettante ai paesi europei al 2% degli individui di ciascuna nazionalità residenti negli Stati Uniti, secondo il censimento del 1890 e richiede, inoltre, la certificazione del livello di alfabetizzazione. L'obiettivo di questa legge è, dunque, quello di scoraggiare il flusso migratorio proveniente dall'Europa orientale e meridionale, attestante un livello di scolarizzazione notevolmente inferiore rispetto a quello dei paesi del Nord-Europa, dove l'istruzione elementare è resa obbligatoria dal 1917.

In quest'ottica, il discorso per la chiusura delle frontiere si imbastisce su quello del “mescolamento etnico” come causa del malessere sociale, in linea con il dibattito sulla razza, in auge nell'ambiente intellettuale internazionale.

In particolare, a partire dal 1870 il dibattito scientifico è dominato dall'Eugenetica, disciplina che postula, secondo i principi darwiniani dell'evoluzione biologica, la selezione delle razze al fine di perfezionare la specie umana e di promuovere la riproduzione dei gruppi considerati idonei.

Francis Galton, considerato il promotore dell'Eugenetica, conduce numerosi studi a riguardo, focalizzandosi sulle impronte digitali come metodo di classificazione del patrimonio genetico dei vari gruppi, secondo i criteri già applicati nell'ambito criminale da William James Herschel negli anni 1860 e da Henry Faulds nel 1880. Galton propone l'utilizzo di questo metodo all'interno dei tribunali, sostenendo l'intervento delle istituzioni pubbliche nel controllare la vita sessuale degli individui tramite l'accoppiamento selettivo e il divieto di matrimoni tra gruppi razziali biologicamente diversi, pertanto, inadatti al miglioramento della razza umana.Alla fine del 1800, gli Stati Uniti applicano alcune misure proposte dalle teorie eugenetiche, per l'appunto, il metodo delle impronte digitali proposto da Galton, ma anche la sterilizzazione forzata, prevista in presenza di determinate condizioni psico-fisiche (malattie mentali, criminali, epilettici e perversioni sessuali). Inoltre, nel 1910 è emanato il Mann Act, un regolamento che vieta i rapporti sessuali e i matrimoni tra gruppi etnici diversi. Tale regolamento, la cui violazione prevede fino a dieci anni di carcere, proibisce le relazioni sessuali extraconiugali praticate al di fuori della famiglia, condannando chiunque trasporti fuori dei confini dello Stato o all’estero una donna o una ragazza, anche se consenziente, allo scopo di prostituzione o corruzione o altri fini giudicati riprovevoli e immorali. Come afferma Rauty (2001): “Alla base del Mann Act non c’era solo la paura che le nuove realtà sociali contaminassero la radice etnica statunitense e diffondessero “corruzione” e dissoluzione morale: l’obiettivo era più ampio, legato alla percezione del venire meno dei confini nelle relazioni tra gli individui tracciati dalla cultura vittoriana nel corso del

nuovo strutturarsi del rapporti di potere tra i sessi e l’emergere di una nuova autonomia comportamentale (soprattutto da parte delle donne)”.223

Tab. n. 5 Leggi sull'immigrazione

Senza dubbio, nell'ambito delle politiche migratorie statunitensi, l’atteggiamento dell’opinione pubblica e delle agenzie governative appare contraddittorio: da una parte, si millantano le opportunità offerte dal Nuovo Continente, creando il mito dell'American Dream e dell'America come “land of

opportunity”, dove si raggiungono “democraticamente” condizioni di vita migliori attraverso il lavoro,

la casa e la famiglia, dall'altra parte, si diffonde lo stereotipo dell’immigrato criminale e destabilizzatore sociale perché portatore di differenze culturali che ostacolano il processo di assimilazione. Il problema complesso dell’immigrazione negli Stati Uniti, dunque, è stato affrontato in maniera contraddittoria dalla società americana, promuovendo un modello dell’immigrato secondo le esigenze del mercato e delle politiche economiche. In tal modo, lo stesso sistema capitalistico, che ha attratto questi immigrati, scarica su di loro la colpa dei suoi difetti, tacciandoli di essere la minaccia 223 Rauty R., (a cura di ), Introduzione, in Gli Immigrati e l’America. Tra il vecchio e il nuovo mondo, Donzelli, Roma

2000, cit p 8. 1903 1907 1917 1921 1924 1952 1965 1968 Si vieta l'ingresso ai malati (pazzi, infetti di congiuntivite granulosa, turbercolosi etc...) Si forma una commissione d'inchiesta sull'immigrazione Si stablisce la quota annuale di immigrazione dai paesi europei (il 2% per ciascuna nazionalita' residente negli USA, censita al 1890. Inoltre e' obbligatorio il saper leggere scrivere (legge Burnett bill) Si stabilisce che il numero degli ingressi sia basato sul contingenente annuo, proporzionale alla presenza di

ogni etnia negli USA , censita nel 1910 (quota act) Si riducono gli ingressi con il sistema delle quote, calcolate sul censimento del 1890 (Johnson Reed Act). Legge discrimatoria sull'immigrazione che conduce ad una drastica riduzione Si aboliscono le quote stabilite dalle leggi del 1921-1924, prediligendo la qualificazione professionale rispetto alla nazionalita'. Si regolarizza il flusso dei lavoratori stranieri, stabilendo il numero degli ingressi in 170.000 e quello dei visti in 20.000 per ciascun paese

per ogni anno fiscale

principale per la democrazia.

In altri termini, l'ambiente statunitense, sebbene, rappresenti il contesto adatto affinché il fenomeno dell'emigrazione prenda forma nei termini di un progetto comune, di un ideale collettivo dai toni urbani e democratici, coincidente con una politica migratoria liberale e con la percezione di un modello di vita migliore, tuttavia, promuove un'identità fortemente restrittiva, basata sulle caratteristiche del gruppo W.A.S.P. Ciò determina l'emarginazione dei nuovi gruppi emigrati tra cui, certamente, quello dei meridionali rappresenta il gruppo più discriminato. Senza dubbio, è possibile affermare, infatti, che i meridionali sono la minaccia sociale per eccellenza, essendo individui portatori di una discriminazione preesistente. Questi emigrati sono portatori dello stigma loro attribuito dalle stesse agenzie italiane, che li raffigurano come esseri geneticamente inferiori e inclini al crimine, in linea con il positivismo antropologico e, in particolare, con le teorie lombrosiane. A proposito Gabaccia afferma: “Southern Italian had already been stigmatized as ignorant and backward by Italy's governments and social scientists. In the U.S. Immigration office declared them different race from Northern Italians and worried about the men's propensity to violence, anarchism, and crime. However, wariness toward potential prejudice was probably less important in determining southern Italians' decisions to settle in New York than their desire to settle among the friends and kin had preceded them, and their ability to find housing and work among «their own kind». Despite the ambivalent welcome it offered the men without women, New York proved an attractive destination for men looking for a place to settle more permanently with their families, especially in the years after 1900.”224

Il forte pregiudizio nei confronti di questi emigrati si cristallizza nell'immaginario sociale sotto forma di stereotipi, condizionando sia i primi processi d'inserimento sia l'identificazione culturale delle generazioni successive. E, a questo proposito, un aspetto ricorrente emerso durante la ricerca sul campo e comune alle nuove generazioni di italo-americani, con origini meridionali è legato allo stereotipo dell’emigrato meridionale, interiorizzato dalla società americana: un individuo incivile, ignorante, criminale e mafioso.

Ma, il problema delle giovani generazioni è affrontato nella parte seconda del presente lavoro; nel prossimo paragrafo, invece, si esamina il tipo di classificazione loro attribuito, in quanto i problemi delle generazioni e gli stereotipi si possono comprendere solo attraverso la storia e le esperienze del gruppo nella prima fase del loro arrivo.

224 Gabaccia D. R., (2000), Peopling “Little Italy”, in The Italians of New York, Five centuries of struggle and achievement, editor Cannistrato P., The New York Historical Society and The John D. Calandra Italian American