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Per illustrare il fenomeno dell'emigrazione negli USA è necessario rintracciare le caratteristiche storiche e culturali che configurano la società statunitense, le cui regole sono dettate da un sistema capitalistico in forte espansione, che esige una grande quantità di manodopera.

Un inquadramento storico e culturale, dunque, in cui collocare l'emigrazione meridionale negli USA, risulta essere propedeutico all’analisi stessa dell'indagine e permette di rilevare i fattori di attrazione, che hanno reso questo paese meta di un ingente flusso migratorio. Tuttavia, tale flusso ha subito modifiche nel corso del tempo, sia in termini di affluenza sia di provenienza dei gruppi, apportando importanti cambiamenti nell'ambito della società e della cultura statunitense.

I primi flussi migratori verso gli USA, rilevati nelle statistiche ufficiali, sono datati già a partire dal 1820, anno in cui prese avvio la “Prima Immigrazione”, anche detta “Vecchia Immigrazione”.

Questo termine indica il flusso migratorio che tra il 1820 e il 1860 porta negli Stati Uniti immigrati provenienti, per la maggior parte, dai paesi del Nord-Europa, di diversa estrazione sociale ma con affinità culturali significative rispetto al gruppo egemonico W.A.S.P. (white-anglo-saxon-protestant). Arrivano, dunque, gli scandinavi, gli inglesi, gli irlandesi, gli olandesi, i tedeschi e danesi, che oltre a detenere un tasso di analfabetismo basso, presentano comunanze culturali, linguistiche e religiose con il gruppo W.A.S.P. eccetto gli irlandesi che sono di religione cattolica.

Tali affinità culturali, senza dubbio, hanno facilitato l'inserimento graduale di questi gruppi negli strati egemonici della società americana, ancora in fase di assestamento economico e politico. In particolare, nel 1862 prende avvio il processo di colonizzazione dell'Ovest grazie ad una legge, approvata sotto la Presidenza Lincoln, che concede gratuitamente piccoli terreni ai free-soliers e l'inespropriabilità dei poderi di dimensioni limitate. Questi emigrati, pertanto, si riversano principalmente nel settore primario e, dedicandosi all’attività agricola, popolano le zone rurali senza affollare i grandi centri urbani. In questa fase, si delinea la figura dell'immigrato “colonizzatore” o “pioniere”, rappresentato da coloni tedeschi, inglesi, svedesi e norvegesi, che viaggiano spesso con l'intero nucleo famigliare, in cerca di nuove terre da coltivare.

La figura dell'immigrato colonizzatore, tipica della “Prima Immigrazione”, è sostituita da quella dell'immigrato in termini di forza-lavoro, emersa durante la “Seconda Immigrazione” o “Nuova Immigrazione”, avvenuta tra il 1880 e il 1924. Con tale termine si indica il flusso migratorio che proviene dall’area mediterranea e dai paesi dell’Est-Europa, caratterizzato da individui che viaggiano spesso soli e, eventualmente, una volta sistemati nel nuovo ambiente richiamano la famiglia lontana. Il flusso migratorio della “Seconda Immigrazione” apporta notevoli cambiamenti sociali (dall'assetto urbanistico, alle politiche del lavoro, alle relazione interetniche). In questa fase, arrivano gli italiani, i greci, i polacchi, gli ungheresi, i russi, i boemi e, in numero ridotto, gli spagnoli, i portoghesi, i messicani e altri gruppi minori di giapponesi e cinesi. Tra il 1892 e il 1924 oltre 22 milioni di emigrati europei approdano negli Stati Uniti e di questi circa 4 milioni sono italiani, principalmente meridionali, in conseguenza agli squilibri creatisi con il processo di unificazione.

La maggior parte di questi emigrati è di estrazione contadina, cattolici, poco istruiti e non anglofoni. L'unico valore proviene dalla forza del loro lavoro, pertanto, essi devono contribuire alla ricchezza del paese, assimilandosi alla società ospitante e rinunciando alla propria cultura di origine.

Attratti da un'economia florida, che favorisce una crescente domanda di manodopera, questi nuovi emigrati si stabiliscono soprattutto nei grandi centri urbani, riversandosi, principalmente, nelle industrie e nei servizi. In particolare, si addensano nelle grandi città, dando origine alla formazione di quartieri popolati esclusivamente dallo stesso gruppo etnico, veri e propri ghetti; per esempio, nel caso degli italiani, si vengono a creare comunità etniche come le Little Italies, dove ci sono gruppi di emigrati divisi secondo il paese di provenienza. Un'altra forma abitativa tipica di questo periodo è costituita dai cosiddetti tentements, che l’Immigrant Commission nel 1900 definisce come edifici alti dai cinque ai sette piani, con una lunghezza di circa sette metri e una larghezza di trenta metri, avente come unico modo per arieggiare le stanze un piccolo spazio sul retro. Ogni piano comprendeva quattro appartamenti e un condotto dell'aria era posto lungo le pareti laterali dell'edificio, portando ogni genere di odore, rumore, e malattie.

Assorbiti nella costruzione di ponti, strade, edifici, canali e ferrovie queste emigrati, alla fine dell'ottocento, questi emigrati sono, dunque, funzionali all'economia americana in fase di consolidamento.

Nella prima metà dell'ottocento, infatti, gli Stati Uniti conoscono un periodo di “ricostruzione”, detto “seconda rivoluzione industriale” a fronte di uno sviluppo demografico e economico, culminato con la conquista dell’Ovest e l’annessione dell’Alaska nel 1867 ai confini nazionali.

Il settore industriale si espande con l'utilizzo dell’energia idraulica e a carbone. Inoltre, l'impiego di nuove tecnologie, quali l’elettricità e il motore a scoppio, incrementa i tassi di produzione che, aumentando velocemente, richiedono l'innovazione dei processi organizzativi e l'ottimizzazione dei tempi di lavoro degli operai. raggiunti nel 1906 nell'industria automobilistica dell'imprenditore statunitense, Henry Ford con l'introduzione della “catena di montaggio”.

Il settore manifatturiero si sviluppa notevolmente, favorendo la nascita di nuove aziende siderurgiche, metalmeccaniche, meccaniche, chimiche e tessili.

Questa forte crescita economica porta gli Stati Uniti a superare la Gran Bretagna, diventando, agli inizi del novecento, la prima potenza industriale nel mondo.

Nel 1920 il 51% della popolazione vive nei centri con più di 2.500 abitanti222. Questa progressiva urbanizzazione è favorita da diversi fattori. In primo luogo, l’invenzione dell’ascensore, utilizzata per la prima volta a Chicago, permette la costruzione dei grattacieli, divenuti il simbolo della modernità e della prosperità occidentale.

In secondo luogo, la costruzione della rete di trasporti urbani porta alla nascita di quartieri residenziali dove abita la nuova classe media, mentre, masse di immigrati, appartenenti a diversi gruppi etnici, si stipano nelle aree metropolitane, dove vivono segregati.

In terzo luogo, i consumi di massa favoriscono il passaggio da una società rurale a una urbana, grazie alla produzione e alla distribuzione su larga scala di molti prodotti, che prima costosi e di lusso, diventano, invece, acquistabili presso i grandi magazzini.

In quarto luogo, si intensificano le attività del ricreative, le forme ludiche e di intrattenimento e, infine, si incrementa il numero delle scuole pubbliche e degli atenei.

Qui si introducono nuovi corsi di specializzazione post-laurea e insegnamenti, come la sociologia e la psicologia sociale utilizzate per la comprensione dell'immigrazione come problema di ordine sociale. Tuttavia, solo una parte della popolazione, la borghesia urbana composta da ingegneri, professionisti e medici e il ceto medio composto da insegnanti, contabili e commercianti, gode di questo benessere, innescando una situazione socioeconomica e culturale fortemente polarizzata.

Da un lato, la vita agiata dei professionisti, dall’altro, l’estrema povertà di persone che vivono ammassate in agglomerati urbani, a ridosso delle zone industriali e che sono oggetto di una forte discriminazione che si riflette nelle leggi emanate dal governo per bloccare l'ingresso dei gruppi meno 222 Bergamini O., (2002), Storia degli Stati Uniti, Laterza, Roma-Bari.

desiderati, in linea con l''Eugenetica.