Il modello acculturativo assimilazionista, adottato negli Stati Uniti, va inserito nella lunga storia di immigrazione di questo paese. Nelle prime fasi del fenomeno migratorio, il governo statunitense ritenne che la diversità culturale doveva essere affrontata attraverso l'acculturazione forzata dei vari gruppi alla cultura della società ospitante. Con il termine assimilazionismo si intende, quindi, l'approccio adoperato dal governo statunitense per gestire le differenze tra i vari gruppi che dovevano essere annullate per conformarsi alla cultura egemonica del gruppo WASP (angloconformity).
Questo modello si sviluppa, in particolar modo, all'inizio della seconda immigrazione, cioè, quando tra il 1880 e il 1924 circa 22 milioni di europei approdarono negli Stati Uniti. Questi immigrati, provenienti dall’area mediterranea e dai paesi dell’Est-Europa, presentavano profonde differenze rispetto ai gruppi di immigrati preesistenti (tedeschi, inglesi, svedesi e norvegesi), giunti con la prima immigrazione tra il 1820 e il 1870. Mentre, questi ultimi avevano affinità culturali con la cultura dominante, quelli giunti in seguito erano per la maggior di estrazione contadina, cattolici, poco istruiti e non anglofoni.
La presenza di questi nuovi gruppi generò tensioni e conflitti notevoli, portando all'adozione di misure restrittive nell'ambito delle politiche migratorie basate sulla selezione dei vari gruppi tramite “scale di desiderabilità e di assimilabilità”, ossia di elenchi in cui si indicava quale gruppo preferire per l’immigrazione. Si formularono, anche, una serie di provvedimenti e misure ad hoc, che nel 1924 culmineranno con il Johnson Reed Act, un emendamento che regolava le quote nazionali annue degli ingressi sulla base del censimento del 1890, andando a colpire fortemente i paesi di arrivo dei nuovi immigrati, soprattutto l'Italia meridionale.
Il razzismo riservato ai nuovi gruppi riflette il pensiero della comunità scientifica del tempo, dominata dall'Eugenetica, disciplina che postulava, secondo i principi darwiniani dell'evoluzione biologica, la selezione delle razze al fine di perfezionare la specie umana e di promuovere la riproduzione dei gruppi considerati idonei. Francis Galton, considerato il padre fondatore della disciplina, sostenne l'intervento delle istituzioni pubbliche nel controllare la vita degli individui tramite l'accoppiamento selettivo e il divieto di matrimoni tra gruppi razziali biologicamente diversi, pertanto, inadatti al miglioramento della razza umana. Dunque, l'assimilazionismo va ricondotto all'interno di questo contesto fortemente sbilanciato dove la diversità culturale viene vista come minaccia alla contaminazione della razza dominante rappresentata dai WASP.
All'inizio del XX secolo, l'assimilazionismo prende il nome di Melting Pot, dal titolo di una commedia di Israel Zangwill, rappresentata per la prima volta a New York nel 1908. Secondo l'idea del Melting
Pot, la società americana era composta da individui che, sebbene provenienti da diversi paesi, si
riconoscevano all'unisono nella cultura americana. La metafora del melting pot era usata per descrivere l'amalgama culturale tra i diversi gruppi di immigrati, enfatizzando il modello acculturativo americano, capace di ricondurre nazioni, razze e culture diverse in unica entità nazionale e etnica.
L'assimilazionismo e, quindi, la teoria del melting pot, risalgono alla lunga storia di immigrazione caratterizzante la società americana. L'immigrazione, infatti, è un elemento costitutivo la formazione
dell'identità nazionale e a tutti si richiedeva la condivisione dei valori democratici caratterizzanti la società americana. La scuola costituiva un momento essenziale per il processo di assimilazione e mentre gli immigrati imparavano gli ideali democratici posti alla base della costituzione americana, erano, allo stesso tempo, oggetto di situazioni di discriminazioni e di razzismo, sperimentando così le contraddizioni della società ospitante. Molti sociologi e antropologi cominciarono a studiare il processo attraverso il quale i nuovi emigrati venivano inseriti nella società americana e assorbivano la cultura del posto. Inizialmente, numerosi studi sono nati nell'ambito della Scuola di Chicago61 fondata nel 1892 al fine di capire e risolvere, in chiave sociologica-antropologica, i problemi che affliggevano la società americana tra cui quelli derivati dalla presenza di molteplici gruppi etnici. Le ricerche sugli immigrati erano tese a comprendere l'impatto dell'immigrazione e delle minoranze etniche sulla società americana. Robert Park, in particolare, dedica attenzione alla teoria del melting pot, analizzando cosa succede a persone con culture diverse quando entrano in contatto con altre. Egli elabora un modello di acculturazione composto da tre livelli: il contatto, l'accomodamento e, infine, l'assimilazione (come indicato dallo schema seguente).
CONTATTO
COMPETIZIONE (rapporto diseguale tra i gruppi)
ACCOMODAMENTO
(processo di aggiustamento temporaneo teso a prevenire e ridurre il conflitto tra i gruppi caratterizzati da interessi divergenti)
ASSIMILAZIONE
(processo secondo il quale la cultura della società ospitante viene trasmessa ai gruppi immigrati)
Come si vedrà meglio in seguito, la scuola di Chicago negli anni venti e trenta del '900 tenta di valorizzare l'apporto culturale dei diversi gruppi allo sviluppo della nazione. A questo proposito, è notevole il contributo del sociologo William Thomas (1921) che propone la riconciliazione delle differenze culturali degli immigrati all'interno della società americana, richiamando il valore della democrazia e della libertà, fondamento della nazione americana.62 Infatti, secondo il sociologo, i valori americani, tra cui l'ideologia egualitaria, erano uno dei principali fattori di attrazione dei flussi migratori. Pertanto, era fondamentale che gli Stati Uniti, in accordo con la loro costituzione democratica, abbracciassero percorsi orientati all'integrazione degli immigrati nella vita politica, sociale e culturale della nazione per evitare conflitti sociali e contraddizioni ideologiche.
Come prefigurato da Thomas e altri studiosi, la prospettiva assimilazionista che prometteva in cambio uguaglianza di diritti e benefici sociali ed economici, si rivelò presto fallimentare in quanto fenomeni di discriminazione e di razzismo continuavano a bloccare la possibilità dell'uguaglianza reale.
Questo provocò la mobilitazione dei gruppi ghettizzati quali, i neri, che protestavano per il miglioramento delle loro condizioni. La rivendicazione politica di questi gruppi presto scatenò anche quella di altri gruppi minoritari che si organizzarono in comunità etniche per ottenere benefici e maggiori opportunità. Gruppi di americani d'origine messicana, portoricana, asiatica espressero la loro frustrazione e le loro speranze, e, come i neri, si organizzarono per rivendicare la giustizia politica ed economica per le loro comunità, valorizzando orgogliosamente le origini etniche.
Questi gruppi, infatti, rivendicavano i loro diritti soprattutto attraverso obiettivi culturali, sostenendo il riconoscimento della lingua e della cultura di origine, sia nella società sia nella scuola. A questi gruppi si unirono anche altri gruppi di americani bianchi di origine europea (principalmente italiani, ebrei e polacchi) che sulla scia delle proteste dei gruppi minoritari dei neri e degli ispanici, formularono esigenze precise nei confronti delle istituzioni, ottenendo diversi benefici, tra cui l'Affermative Action.63
In ambito accademico, si parlò di revival etnico per indicare l'atteggiamento che, in risposta al crollo del melting pot, portava gli immigrati e le loro generazioni (in particolare, le seconde) a riapprezzare la propria cultura di origine. Molti studiosi, di diverse discipline (in particolare, sociologiche e antropologiche) prestarono più attenzione alla lotta degli immigrati per resistere all'assimilazione e per adattarsi alla vita americana senza rinunciare alla loro cultura. Tra questi studiosi, Glazer, Moyniahn64 62 Vedi capitolo terzo.
63 Questo termine si riferisce alle politiche che prendono in considerazione i fattori etnici-culturali (la razza, il colore della
pelle, l'orientamento sessuale, le origini nazionali etc...) al fine di fornire specifici benefici.
64 Glazer N., Moyniahn D. P., (1963), Beyond the Melting Pot, The Negroes, Puerto Ricans, Jews Italians, Irish of New York, MIT. Press, Cambridge, MA.
studiano i fenomeni migratori, mettendo in luce la sopravvivenza delle comunità come gruppi di interesse economici e politici, luogo di costruzione di sistemi di valore alternativi, che costituiscono la base per la formazione dell’identità personale e sociale.
Tale situazione, come ha messo in evidenza Gans65 ha prodotto fenomeni di invenzione dell'etnia come identità simbolica oppositiva nei confronti dell'esclusione e della non integrazione. Durante il processo
di costruzione e mantenimento della propria identità una serie di simboli comuni, che appartengono alla storia del gruppo di appartenenza sono individuati, condivisi e passati attraverso gli individui e le generazioni. Queste utlime per affermare pubblicamente la propria identità utilizzano determinati simboli socialmente riconoscibili e identificabili con il gruppo di origine (per esempio, specifici indumenti, ornamenti, bandiere, cibo lingua, feste etc...) che veicolano messaggi particolari al fine di ottenere privilegi speciali.
Waters nella sua opera Ethnic Options66 analizzando il concetto dell'identità simbolica scrive: “Herbert Gans (1979) addresses this central issue of what the continued identification of whites with an etnicity , seemingly in isolation from a wider ethnic group, can mean. He suggests that later generation white-ethnics may have merely a «symbolic identification» with their ancestry. He views this symbolic identification as more or less a leisure-time activity. Individuals identfy as Irish, for example, on occasions such as Saint Patrick's day, on famliy holidays, or for vacations. In other words, for later- generation white ethnics, ethnicity is not something that influencing their lives unless they want it to. In the world of woork and school and neighborhood, individuals do not have to admit to being ethinic unless they choose to. Ethnicity has become a subjectivity and voluntary character lead to fundmental questions about its future viability, given increasing intermarriage and the resulting mixed ancestries in people's background”.67
Il punto centrale dell'analisi di Waters consiste nel sottolineare le differenze tra i vari gruppi presenti negli Stati Uniti, richiamando il concetto tra culture egemoniche e culture subalterne. Secondo l'autrice, infatti, per i gruppi di bianchi americani discendenti degli europei affermare la propria identità non ha lo stesso valore che per i neri americani, non condividendo con questi la stessa esperienza di discriminazione e stigmatizzazione. Dire oggi di essere Irish-American, Polish-American, Italian-
American o German-American non implica nessun “costo sociale”, ma, fornisce piacere in quanto la
65 Gans, H. J. (1979), Symbolic ethnicity: The future of ethnic groups and cultures in America, Ethnic and Racial Studies,
2, 1-20.
66 Waters M.C., (1990), Ethnic options: choosing identities in America, Univerity of California Press, Berkeley.
loro identità è frutto di una scelta volontaria, fatta dopo aver vagliato le varie opportunità offerte dal proprio gruppo in termini di desiderabilità e distinzione sociale.
In questa prospettiva, Waters mette in evidenza la disparità tra l'idea e la realtà dell'identità etnica così come si manifesta tra i bianchi appartenenti alla middle-class americana, giungendo alla conclusione che la loro identità è più flessibile, simbolica, contestuale e volontaria poiché essi hanno margini di scelta più ampi nel processo di autopercezione e eteropercezione. La situazione, invece, appare diversa per i gruppi minoritari di neri o di ispanici, le cui vite sono molto più influenzate dalla nazionalità e dalla razza, quindi, essi cercano di non identificarsi troppo in termini razziali e etnici.68
Alba, nel libro Ethnic Identity: The Transformation of White America69, afferma che i confini etnici si allentano progressivamente, portando alla nascita di un nuovo gruppo etnico che egli definisce, “European-Americans,” che distingue se stesso dagli altri gruppi di immigrati e di minoranze etniche quali, gli asiatici, i latino-americani etc..
Ciò che emerge dice Alba è un cambiamento dell'equilibrio relativo tra i tipi di etnicità coesistenti piuttosto che la scomparsa di vecchie forme di etnicità sostituite da un nuovo modello, Nelle sue parole, l'etnicità “is in the midst of a fundamental transformation, whose basic outlines are not always perceived clearly, even by knowledgeable observes, and whose long-run consequences call for investigation. This transformation does not imply that ethnicity is less embedded in the structure of American society but rather that the ethnic distinctions that matter are undergoing a radical shift. Ethnic distinctions based on European ancestry, once quite prominent in the social landscape, are fading into background; other ethnic distinctions appear more highlighted as a result. In a sense, a new ethnic group is forming – one based on ancestry from anywhere on the European continent.”70 Inoltre, egli ipotizza che la continuità dell'etnicità riscontrata tra le nuove generazioni possa essere parte del Capitale Culturale, insito in ogni gruppo etnico, in maniera diversa.
E opportuno, tuttavia, prima di analizzare lo studio di Alba, fare un breve execursus sull'origine del concetto in questione, identificando gli approcci teorici particolarmente utili alla sviluppo della presente analisi.
In ambito sociologico Bourdieu71 per la prima volta definisce il Capitale Culturale come una forma di
68 Ibidem.
69 Alba R., (1990), Ethnic Identity: The Transformation of White America, United States: Yale University Press. 70 Ibidem, .cit p. 3.
71 Bourdieu P., (1979), La distinction. Critique sociale du Jugement, Minuit, Paris; Bourdieu P., Passaron J.C.,(1990), Reproduction in Education, Society and Culture.Sage Pubblications Inc,London.
relazione sociale che avviene all'interno di un sistema di scambio ed include l'accumulazione di conoscenza che conferisce un elevato status sociale. Il primo agente che fornisce capitale culturale è la famiglia che trasmette ai propri figli quelle attitudini e conoscenze necessarie per avere successo in società. A proposito, si distinguono tre forme di capitale culturale:
- l'insieme composto dal linguaggio, dai modi di pensare, dalle credenze, dai valori, dalle tradizioni, dalle abitudini ereditate dalla famiglia e dall'ambiente socioculturale di riferimento attraverso la socializzazione;
- gli oggetti materiali, acquisiti con scambi economici e, in questo caso, è possibile sia possedere capitale culturale (per esempio, acquistare un'opera d'arte) sia consumarlo (per esempio, visitare una mostra, ascoltare un'opera etc... );
- le certificazioni e i documenti burocratici che istituzionalizzano il capitale culturale attraverso procedure standard atte a rilasciare titoli vari (per esempio, accademici). In questo caso, il capitale culturale è personale, ossia non può essere condiviso socialmente ma è posseduto a livello individuale (per esempio, il certificato di laurea o una specializzazione particolare).
Già Weber, facendo un passo indietro, nella teoria sulla stratificazione sociale analizza il concetto di
status, insito nella definizione di Capitale Cultuale, distinguendolo dalla classe. Mentre quest'ultima è
espressa dalla posizione che ciascun individuo occupa sul mercato in un determinato momento storico, lo status, invece, si basa sulla partecipazione di un individuo ad un gruppo sociale e al suo “stile di vita” che è imposto a tutti coloro che ambiscono ad appartenere a quel determinato gruppo.
La classe è quindi formata da fattori casuali che dipendono dal mercato e dalle condizioni economiche; ne consegue che essa può cambiare durante la vita di un individuo in quanto dipende da fattori esterni e non previdibili. Lo status, invece, è caratterizzato dallo stile di vita del gruppo di riferimento e il ruolo principale dello stile di vita è propriamente quello di mostrare che tutti i membri sono portatori delle opportunità, dei vantaggi e delle convenzioni attribuite al gruppo.
In aggiunta, la classe non rappresenta un gruppo di per se stesso ed è separata dalla cultura dell'individuo e dal suo gruppo sociale. Ciò significa che la posizione di classe occupata non è in riferimento alla persona né al gruppo sociale poichè, come afferma Weber, il mercato ha le sue dinamiche e non prende in considerazine distinzioni personali. Lo status, al contrario della classe, è sia
personale sia collettivo, vale a dire che non può essere separato dall'individuo e dalla cultura del gruppo di appartenenza. In quest'ottica, lo status gioca un ruolo determinante nelle interazioni interpersonali e nella creazione della stima e del prestigiso sociale. Esso permette al gruppo di mantenere la coesione interna, di preservare i suoi attributi e di distinguersi dagli altri.
Chiaramente, Weber sviluppa un concetto idealtipico dello status di gruppo, che tende a creare la chiusura verso l'esterno e il monopolio delle opportunità materiali e culturali regolate da diversi tipi di proprietà quale, il lavoro, la casa, e altri specifici vantaggi appartenenti ai portatori di quello status. Ma, poichè sia il mercato, da cui dipende la classe, sia lo status, sono forme organizzative competitive, storicamente determinate, in presenza di determinati cambiamenti economici e tecnologici tendono a modifcare i propri confini confini. Sotto particolari condizioni di cambiamenti economici e tecnologici, dunque, lo status opera in modo diverso da quello che il suo idealtipo prevede, portando a maggiori scambi tra individui e gruppi diversi.
In linea con Weber, è possibile affermare che nella società contemporanea, caratterizzata dalla crescente immigrazione e da frequenti spostamenti (di lavoro, personali, famigliari etc...) i gruppi tendono a diventare amorfi, ossia ad aprire e non chiudere i loro confini, portando ad uno scambio tra differenti status. In questo modo, i gruppi si allargano, diventano multi-dimensionali e più propensi a scambiarsi risorse e interessi. Inoltre, in seguito all'erosione delle comunità, dove lo status era ereditato dalla posizione della famiglia, le relazioni interpersonali nella società odierna sono sempre più regolate dalla capacità di gestire le proprie impressioni (Goffman, 1959) richiedendo qualità straordinarie e un maggior autocontrollo nel mostrare la propria identità sociale. Lo status diventa, allora, un processo culturale attivato all'interno delle relazioni sociali nei differenti gruppi. Esso è una risorsa che permette agli attori di gestire le impressioni, di sviluppare reputazioni sociali positive, di impressionare i “guardiani di confine” di altri gruppi, al fine di espandere connessioni che possono risultare utili in diverse situazioni (nel mercato del lavoro, nella vita personale, amicale etc...).
Tornando allo studio di Alba, il concetto di Capitale Culturale da lui utilizzato è particolarmente interessante perchè richiama una prospettiva interculturale che risulta adeguata allo sviluppo della presente ricerca. La definizione offerta dal sociologo americano è, in realtà, mutuata dallo di DiMaggio e Mohr72(1985) sulle dinamiche sociali che ruotano intorno agli interessi e gusti artistici. In questo studio, il concetto originario di Capitale Culturale di Bourdieu73 (1979) viene ampliato e definito come 72 DiMaggio P., Mohr J., (1985) Cultural Capital, Educational Attainement, and Marital Selection, American Journal of
Sociology. (90): 1231-61.
“The repertoire of cultural codes that highly educated persons acquire in order to be able to establish prompt and effective communication in diversified social worlds not strongly bounded by kinship and locality”. Quando, nella sua ricerca, Alba rileva che tra i giovani bianchi americani discendenti degli
europei persistono ancora i legami etnici di origine, nonostante il mescolamento e l'avanzamento generazionale, ritiene che tale persistenza debba essere intesa come parte del Capitale Culturale così come delineato nello studio di DiMaggio e Mohr. Il sociologo americano, dunque, suggerisce che la continuità etnica non è legata al revival etnico, come pure non è il risultato di forti legami famigliari e di vincoli affettivi con il paese di origine, ma, essa è piuttosto il frutto dell'educazione, ossia della mobilità sociale e economica che connota i bianchi americani europei.
Ciò significa che ogni cultura, come ogni paese, possiede una certa riserva di fattori attrattivi74, che offrono a quanti con essa si identificano (o che con essa sono associati) determinati benefici materiali e immateriali come, il riconoscimento, il prestigio e la stima sociale. Da questo punto di vista, la ricerca in oggetto ha identificato i fattori attrattivi del patrimonio culturale italiano a New York che sono in grado di offrire interesse nel mantenimento delle proprie origini tra le nuove generazioni di italo- americani.75
Per sintetizzare, gli studi sopracitati mettono in rilievo come fin dall'inzio del fenomeno dell'immigrazione, il dibattito sull'etnicità, tema cruciale negli Stati Uniti, dominato dalla teoria del
melting pot, basata sull'approccio assimilazionista, cambia quando nel 1960 e 1970 le differenze
etniche riemergono per vari motivi (siano essi politici e di potere, siano essi legati ad esigenze identitarie più profonde) e in modi differenti, dall'organizzazione dei festivals etnici, al cibo, alle associazioni, alla circolazione di simboli, alla lingua, occupando un posto sempre più rilevante all'interno delle dinamiche sociali e nelle vite degli immigrati e dei loro discendenti che solo apparentemente sembravano aver rifiutato ogni legame con le origini etniche di appartenenza per diventare veri “Americani”.
Di fronte a queste circostanze, che mostravano chiaramente gli effetti opposti dell'assimilazione, molti studiosi formularono ipotesi interpretative diverse. Così, alcuni parlavano di revival etnico, altri, invece, di pluralismo culturale, ritenendo che le differenze culturali avrebbero costituito una substruttura della società americana, essendo queste sempre più importanti tra le generazione future e tra i vari gruppi di immigrati, che intanto continuavano ad affluire numerosi negli Stati Uniti.