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4. Emigrazione e letteratura: il caso del Molise

4.2 La tragedia di Monongah

Il 6 dicembre 1907 avviene una terribile esplosione nella miniera di carbone della Fairmont Coal

Company, di proprietà della Consolidated Coal Mine of Baltimore. L'incidente provoca parecchie

vittime prevalentemente d'origine italiana, ungherese e polacca. Tra gli italiani ci sono moltissimi molisani.

La commissione nominata dal Coroner titolare dell’inchiesta giudiziaria con il compito di identificare i morti parla di circa “350 scomparsi”. Il Monongah Mines Relief Committee, costituito per distribuire gli aiuti ai familiari degli scomparsi nel disastro, dopo complessi contatti con le autorità dei paesi di provenienza delle vittime ed elaborate ricerche, proporrà nel novembre del 2008 la cifra di 358, che resterà quella “ufficiale”. Ad essa aggiungeva l’indicazione di 250 vedove e di circa 1000 orfani, rimasti senza sostegno. La maggior parte degli scomparsi – 171 – risulterà essere di origine italiana, provenienti in grande maggioranza da regioni meridionali come il Molise (87), la Calabria (44), l’Abruzzo (14), la Campania (14), la Basilicata (6), la Puglia (1), ma anche da altri comuni del Piemonte (1), del Veneto (1), del Lazio (1). Tra le località di provenienza dei minatori, due comunità sono drammaticamente colpite: Duronia, in Molise, che nel disastro perde 36 dei suoi concittadini, e San Giovanni in Fiore, in Calabria, che ne vede scomparire 30.

Gli altri comuni molisani coinvolti sono: Frosolone (con 20 morti), Fossalto (8), Torella del Sannio (12), Bagnoli del Trigno (3), Vastogirardi (1), Pietracatella (7). Per quanto riguardo il paese di Torella del Sannio, un'emigrato di prima generazione, intervistato durante la ricerca sul campo, racconta che suo nonno è morto durante l'esplosione. Dalla sua storia di vita si evince come la terribile sciagura che ha coinvolto i suoi predecessori abbia avuto delle ripercussioni anche sulla sua vita. La nonna, rimasta vedova, è tornata in Molise e questo ha reso difficile il ritorno dell'intervistato negli Stati Uniti. Si riporta un passaggio estrapolato dall'intervista.

D.: Mi puoi raccontare la tua storia?

R.N.: La mia storia è lunga. Noi eravamo in Italia e non facevamo quasi niente avevamo la terra, vigna, uliva, facevamo assai di quella roba mio padre l'aveva. E noi se vuoi sapere, mia madre è nata qua in America per questo io e mia sorella ci troviamo qua perché il padre di mia mamma è immigrato in West Virginia. Lui stava qua e mia nonna sarebbe stata e andata dopo con mia zia, una bambina che è nata in Italia se le portata qua. Poi è diventata incinta era mia madre che è nata in West Virginia e è scoppiata la miniera nel 1908 in West Virginia e ci sono stati 280 morti.

paese e a mio cognato qua, tramite il computer, per la miniera perché erano 12 o 13 che sono morti e hanno fatto una lapide al paese con i nomi di questi che sono morti questo lo hanno fatto 7 o 8 anni fa. Mio nonno è morto in questo incidente a 24 anni. Io conoscevo le famiglie degli altri.

So, allora, mia madre è nata qua in West Virginia è tornata in Italia aveva due anni e non è mai più venuta qua ed è morta in Italia. Tre sorelle e mia nonna sono tornate al paese ci avevano la terra e la campagna perché allora a quei tempi non c'era benefici qua, anzi si è svelato che hanno dato qualcosa per l'incidente ma roba di poco, forse la compagnia della Miniera per l'incidente ha dato qualcosa alle famiglie, hanno pagato il biglietto. Mia nonna, dunque, è tornata in Italia vedova e si cresceva le tre figlie poi è diventata malata pure essa, non so esattamente quando e le tre figlie sono rimaste da un fratello di mia nonna e sarebbe stato poi mio zio e questi qua, lui e la moglie, l'hanno cresciute alle figlie e poi sono cresciute e si sono sposate.

Poi la storia mia è che la legge americana se eri nato in mezzo a questi numeri di anni pigliavi la cittadinanza dei tuoi genitori ma se sei nato prima o dopo a quella cifra che avevano non potevi venire. C'erano due sorelle, la legge era dal '37 al '42 una sorella essa era del '38 e ci coglieva dentro però aveva finito i 21 anni di età e ha perso il diritto e la legge finiva nel '42 io sono nato nel '43 e per un anno ho perso il diritto di pigliare la cittadinanza di mia madre. So, a me mi hanno punito perché sono nato un anno più tardi (ride) hai capito! So mia sorella che era più piccola ha pigliato la cittadinanza e essa è venuta qua (…) 190

Dopo una lunga pausa di silenzio, a metà degli anni Cinquanta, sarà il reverendo Everett Francis Briggs, in servizio fino alla sua morte, avvenuta nel 2006, nell’area del West Virginia dove era avvenuto l’incidente minerario, a riaprire il caso adoperandosi per assistere, sia pure a distanza di mezzo secolo, i parenti degli scomparsi e costituendo una commissione avente il compito di erigere una statua commemorativa. Egli dirà che la presenza di lavoranti non registrati rende poco attendibili le stime ufficiali e che, in ogni caso, si deve realisticamente pensare a una cifra di scomparsi superiore alle 500 unità. Qualche anno fa il periodico italo-americano “Gente d’Italia” è tornato sulla questione e ha condotto una vera e propria campagna volta a contrastare la secolare rimozione della vicenda e a sensibilizzare le autorità nazionali e locali, in Italia e negli Stati Uniti, sulla più grave tragedia mineraria accaduta negli USA e sul sacrificio che gli emigrati italiani hanno subito.

La questione delle responsabilità dell’incidente, evocata fin dalle prime ore dai parenti delle vittime e dagli altri minatori che vivono nella zona, viene ripresa ed enfatizzata dagli organi di stampa americani e da quelli italiani pubblicati negli USA. La voce più diffusa è che, essendosi succeduti alcuni giorni di festa per la ricorrenza di Santa Barbara, patrona dei minatori, e per quella di San Nicola, lo stesso giorno dell’incidente, i ventilatori siano stati fermati dalla ditta per risparmiare energia. I gas, in questo

modo, si sarebbero accumulati nelle gallerie, con la conseguenza di favorire le esplosioni non appena ripresi i lavori di scavo.

La Compagnia rigetta le accuse e ritiene che la vera causa delle esplosioni deve essere fatta risalire a disattenzione di qualcuno degli stessi minatori, che non avrebbe osservato le regole di sicurezza previste per lo scavo del minerale. Restano in campo, dunque, solo congetture, come quella che fa risalire l’incidente all’imprudenza di qualcuno dei “raccoglitori d’ardesia”, i giovani aiutanti dei minatori, o quella che collega l’innesco dell’esplosione al trancio di un cavo elettrico da parte di un carrello fuori controllo. Sul piano tecnico, anche se le formali conclusioni delle inchieste parlano di uno scoppio o di casuale incendio della polvere di carbone, l’ipotesi più compatibile con le gravi devastazioni verificatesi sembra quella di un’esplosione di grisou, che avrebbe provocato l’incendio degli strati di polvere sottile di carbone.

La sciagura ha un'enorme eco nell'opinione pubblica del Paese. All'epoca della tragedia di Monongah la legislazione sulla sicurezza nelle miniere degli Stati Uniti è assai carente, e tale rimane per lungo tempo. Nel 1910, sulla spinta del dramma di Monongah, il Congresso statunitense istituì il Bureau of

Mines (Ufficio delle Miniere), ente del Department of the Interior (Ministero dell'Interno), allo scopo

di condurre ricerche per ridurre il numero degli incidenti. A quel tempo gli Statunitensi considerano gli Italiani - e in particolare i meridionali - più simili ai neri che ai bianchi.

Nel 2007 è stata eretto - per la prima volta negli Stati Uniti - un monumento dedicato alle vedove e agli orfani di tutti i minatori morti in incidenti sul lavoro. La statua, All'Eroina di Monongah - per la quale il Comune di Falerna (CZ) ha erogato un contributo di 150,00 euro - in marmo di Carrara, è stata collocata presso il municipio della cittadina. Recentemente alcune testate giornalistiche destinate agli Italiani all'estero - fra cui il quotidiano La Gente d'Italia e il settimanale Oggi7 - hanno meritoriamente contribuito a riportare alla luce questa triste pagina di storia italiana e a diffondere i risultati delle ricerche sulla catastrofe di Monongah. Recentemente è stato realizzato un film-documentario che ha attinto immagini storiche fornite dal Museo dell'Immigrazione di Ellis Island di New York, e da materiale fornito dal Museo dell'Emigrazione di Gualdo Tadino, dall'Istituto storico Ferruccio Parri di Bologna e dal Museo etnografico di Bomba. A Frosolone (Isernia), in piazza Municipio, un'epigrafe ricorda il sacrificio dei quattordici frosolonesi scomparsi nell'incidente. In Calabria la tragedia ebbe un tale effetto sulla comunità che ancor oggi, quando si vuole indicare un avvenimento particolarmente drammatico, si usa dire che è una minonga; a San Giovanni in Fiore tuttora si utilizza l'espressione non

traccia. Il 1 maggio 2009 il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha conferito la Stella al merito del lavoro alla memoria dei lavoratori deceduti il 6 dicembre 1907 nella miniera di carbone di Monongah.