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ordinamenti di common law: la joint venture - 3.3 Le associazioni temporanei nei Paesi di civil law: l’association

momentanée - 3.4 Le associazioni temporanee per l’affidamento di contratti pubblici - 3.5 Segue: i

raggruppamenti temporanei di imprese (RTI) nel Codice dei contratti pubblici - 3.6 L’associazione in partecipazione - 4 La collaborazione e le forme di tutela degli aderenti - 4.1 La tutela del contraente debole nelle catene produttive e distributive - 4.2 La distribuzione senza ingerenza del produttore - 4.3 Il decentramento produttivo - 4.4 Il collegamento negoziale - 5 La collaborazione territoriale - 5.1 Reti di imprese e distretti: analogie e differenze - 5.2 Il distretto industriale - 5.3 I cluster nella politica dell’Unione Europea - 5.4 Distretti e territorio nella disciplina nazionale - 5.5 Dai distretti industriali ai distretti produttivi - 5.6 I distretti turistici nei territori costieri - 6 La collaborazione ed il contratto di rete - 6.1 La mancata attuazione della disciplina dei

distretti produttivi e l’introduzione del contratto di rete - 6.2 Segue: dal riconoscimento normativo dei distretti al

contratto (di rete) - 6.3 Il contratto di rete: una schizofrenica evoluzione legislativa - 6.4 Segue: la necessaria previsione di un fondo e di un organo comuni - 6.5 Segue: la “virata contrattualistica” - 6.6 Segue: la soggettività giuridica (opzionale) - 6.7 I tratti caratteristici del contratto di rete: collaborazione interimprenditoriale, innovazione e competitività - 6.8 Il contratto di rete nella prassi

1 La collaborazione tra imprese: un fenomeno tra “mercato” e “gerarchia”

1.1 Le origini della collaborazione interimprenditoriale

La collaborazione tra imprese ha assunto un ruolo centrale e predominante nelle economie moderne, specie in seguito all’intensificarsi degli scambi commerciali, all’ingresso di nuovi prodotti e di nuovi operatori sul mercato, all’affermarsi di nuove tecnologie e all’ampliamento dei mercati reso possibile dalla progressiva integrazione economica e politica tra gli Stati.

Tutti fattori, questi, che hanno posto le imprese, specie quelle di media o piccola dimensione (PMI), di fronte alla necessità di raggiungere una dimensione ottimale per meglio fronteggiare le sfide poste da una concorrenza sempre più agguerrita, soprattutto quando operante a livello transnazionale1.

1La dottrina è quanto mai ampia sul punto. L’efficace sintesi qui riproposta è tratta da BERNARDINI, Le joint

ventures: profili e problemi, in Draetta-Vaccà (a cura di), Le Joint-ventures. Profili giuridici e modelli contrattuali, Milano, 1997, p. IX, al quale si rimanda per ulteriori approfondimenti bibliografici.

Tesi di dottorato di Marco Baldacci, discussa presso l’Università LUISS Guido Carli nella sessione prevista per l’anno accademico 2013/2014. Liberamente riproducibile, in tutto o in parte,

Le imprese, quindi, decidono di collaborare tra loro, coordinando le proprie attività, in modo tale da creare sinergie capaci di assicurare loro una maggiore competitività ed un sufficiente grado di dinamismo, senza che questo comporti la definitiva rinuncia alla loro autonomia.

Il fenomeno, a ben vedere, ha radici antiche, in quanto forme di cooperazione tra imprese indipendenti e concorrenti potevano riscontrarsi anche anteriormente alla rivoluzione industriale2, già nell’organizzazione degli scambi di materie prime, semilavorati e prodotti finiti che avevano luogo nel periodo medioevale, sia in Europa che tra l’Europa ed il continente asiatico3.

Tale fenomeno si è largamente diffuso ed ha acquisito una particolare rilevanza economica soprattutto negli ultimi decenni, nel corso dei quali ha trovato cittadinanza in quasi tutti i settori. Esso è visto quale espressione significativa della moderna organizzazione economica, che consente alle imprese di accrescere la propria competitività e la propria efficienza produttiva, in alternativa al modello basato sulla impresa di grandi dimensioni4.

Invero, proprio in risposta alla crisi del modello cd. “fordista”, nella seconda metà del secolo scorso si è diffuso il ricorso a forme di collaborazione interimprenditoriale in cui più imprese collaborano mantenendo una certa autonomia e indipendenza.

Tale nuovo modello organizzativo si è realizzato, in primo luogo, mediante lo “snellimento” di grandi organizzazioni integrate, al fine di ridurre i costi e i rischi che la rigidità comporta. Si è fatto così ricorso all’outsourcing delle lavorazioni, dei servizi e delle competenze, mediante il coinvolgimento di imprese e professionisti esterni.

La collaborazione interimprenditoriale, tuttavia, non costituisce solo il frutto della riorganizzazione della grande impresa.

Grazie alle nuove tecnologie e alla maggiore mobilità delle persone e delle idee, imprese precedentemente divise da barriere geografiche o tecniche si possono ora incontrare, scoprendo i vantaggi della cooperazione, consistenti nelle economie di scala e nella specializzazione che ciascuna di esse non potrebbe raggiungere qualora continuasse ad operare separatamente.

A ciò si aggiunga che la collaborazione può talora risultare l’unica via percorribile per il compimento di un determinato affare. Accade, infatti, che gli investimenti richiesti, in particolare quelli tecnologici, siano enormi e il loro risultato utile sia percepibile solo dopo un certo numero di anni. Di qui l’esigenza di stabilire forme di cooperazione con altre imprese

2

Si veda per tutti ZEITLIN, Industrial Districts and regional Clusters, in Jones-Zeitlin (a cura di), Oxford

Handbook of business History, Oxford, 2008.

3CAFAGGI, Introduzione, in Cafaggi (a cura di), Il contratto di rete. Commentario, Bologna, 2009, p. 9, il quale richiama lo studio di DEAKIN, The return of the guild? Network relations in historical perspective, in Amtuz-Teubner (a cura di), Networks. Legal issues of multilateral co-operation, Oxford, 2009, p. 53. Sullo sviluppo storico della collaborazione tra imprese v. VACCÀ, Joint venture (aspetti contrattuali), in Nss. dig. it., VIII, Torino, 1992, p. 50; VACCÀ, Origini e lineamenti dei contratti di joint-venture, in Draetta-Vaccà (a cura di), Le joint-ventures. Profili giuridici e modelli contrattuali, Milano, 1997, p. 101; CIPOLLA, Commercio e

compagnie commerciali nella rinascita europea dal 1100 al 1400, in AA.VV., Le compagnie commerciali nel mondo moderno, Atti del convegno di Venezia 11 e 12 ottobre 1979, Milano, 1984, p. 26; CORAPI, Le

associazioni temporanee di imprese, Milano, 1983; ASTOLFI, Il contratto di joint venture. La disciplina giuridica

dei raggruppamenti temporanei di imprese, Milano, 1981, p. 85. 4

VERCELLINO, Associazione Temporanea d’impresa, in Dig. disc. priv., sez. comm., agg., Torino, 2003, p. 52.

Tesi di dottorato di Marco Baldacci, discussa presso l’Università LUISS Guido Carli nella sessione prevista per l’anno accademico 2013/2014. Liberamente riproducibile, in tutto o in parte,

operanti orizzontalmente sullo stesso mercato o verticalmente nella stessa linea di produzione5.

Queste forme di collaborazione si distinguono, quindi, dalle forme di concentrazione che si realizzano mediante la fusione di più imprese in un’entità giuridica unica ovvero attraverso la creazione di un gruppo societario, in cui il compito di dirigere il gruppo viene affidato ad una di esse. In questi casi le imprese danno vita ad un modello organizzativo tendenzialmente permanente, in cui i legami interni non si basano su accordi contrattuali, ma sono realizzati mediante subordinazione delle aderenti nei confronti di un unico soggetto il quale dirige unitariamente il gruppo, con conseguente perdita di indipendenza delle imprese aderenti6.

Nel gruppo di società, in altri termini, il collegamento fra le varie imprese si realizza attraverso la dipendenza, diretta o indiretta, da una società capogruppo in una costruzione piramidale, radiale, circolare o di altro genere, me che, comunque, fa sempre capo al criterio della subordinazione e che si realizza attraverso le partecipazioni al capitale sociale7.

Del resto, la contrapposizione tra collaborazione (coopération) e fusione in società o creazione di gruppi (concentration) è da tempo evidenziata dalla dottrina francese8, la quale distingue fra groupement d’entreprises e groupes de sociétés, indicando con il primo termine le molteplici forme di collaborazione tra imprese che non pregiudicano l’autonomia delle singole partecipanti e con il secondo la sola concentrazione di società realizzata mediante la partecipazione al capitale sociale.

1.2 Le esigenze della collaborazione

Le ragioni che spingono le imprese a collaborare sono numerose e variano da caso a caso, ma possono talora combinarsi e coesistere. In questo variegato quadro possono tuttavia individuarsi alcune esigenze che, in modo ricorrente, spingono le imprese a coordinare i propri sforzi, nel rispetto dell’autonomia giuridica di ciascuna9.

Primeggiano tra queste le esigenze di carattere tecnico-operativo: in un contesto nel quale il progresso tecnologico si è orientato verso il decentramento produttivo e la specializzazione, le imprese sono chiamate a raggiungere elevatissimi livelli di competenza in specifici campi o in determinate fasi del ciclo produttivo.

È la conseguenza della crescente competizione sul piano dell’economia globale, della cruciale rilevanza degli investimenti in innovazione tecnologica, della complessità e della complementarità dei saperi necessari al compimento di tali investimenti e, infine, della crescente rilevanza, anche e soprattutto in virtù di vincoli normativi, dell’adeguamento a standard tecnici nell’ambito della produzione, la cui non ottemperanza espone l’intera filiera

5BERNARDINI, Le joint ventures, cit., p. IX. È interessante notare al riguardo un certo parallelismo con il fenomeno dell’associazionismo fra comuni e l’esigenza di flessibilità e di riduzione dei costi che lo caratterizza. Per un approfondimento si veda DEL FEDERICO-ROBOTTI (a cura di), Le associazioni fra comuni. Forme

organizzative, finanziamento e regime tributario, Milano, 2008, e, in particolare, per quanto attiene al profilo

fiscale, i contributi di MARINI-VERRIGNI, Il finanziamento delle associazioni fra comuni. Quadro costituzionale e

principi generali, p. 93; ID., Il finanziamento delle associazioni fra comuni. Quadro costituzionale e principi

generali, in Finanza Locale, 2007, n. 6, p. 9 e BASILAVECCHIA-LOVECCHIO, Il regime tributario delle

associazioni fra comuni, in Del Federico-Robotti (a cura di), Le associazioni fra comuni. Forme organizzative, finanziamento e regime tributario, Milano, 2008, p. 213.

6DUBISSON, Les groupements d’entreprises pour les marchés internationaux, Paris, 1979, p. 6.

7LOVISOLO,Gruppo di imprese e imposizione tributaria, Padova, 1985, p. 2.

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Si veda per tutti DUBISSON, Les groupements d’entreprises, cit., e la dottrina ivi richiamata.

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e, singolarmente, quanti ne fanno parte, alla responsabilità verso il consumatore finale e verso gli altri operatori in sede di regresso10.

Tale specializzazione, tuttavia, comporta per le singole imprese carenze nelle aree operative a monte e a valle della propria fase produttiva, e impone la ricerca di appoggio e collaborazione in altre imprese a loro volta specializzate nelle aree scoperte. In una produzione sempre più specializzata, la collaborazione tra imprese diviene necessaria nell’esecuzione quotidiana di un’attività produttiva qualificata.

Peraltro, considerata la forte interdipendenza che in tali ipotesi si viene a creare tra le imprese, le forme collaborative tendono ad avere maggiore duratura e stabilità nel tempo.

L’esigenza di cooperare potrebbe tuttavia essere temporanea e conseguire all’assunzione di un’obbligazione complessa, assunta nei confronti di uno specifico soggetto (i.e. un committente), avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività la cui esecuzione richiede rilevanti investimenti iniziali.

La sempre più elevata dimensione delle iniziative economiche da intraprendere si traduce in complessità non solo tecniche e organizzative ma anche finanziarie e richiede una ingente disponibilità di risorse economiche che una singola impresa, specie se di media o piccola dimensione, non è in grado di soddisfare. In questi casi la ricerca di imprese con cui collaborare deriva, quindi, da motivazioni di stampo economico-finanziario.

Del resto l’imponenza delle operazioni e l’elevato coinvolgimento di risorse economiche, rendono comunque opportuna una ripartizione dei rischi connessi all’operazione, ripartizione che si rende possibile tramite il coinvolgimento diretto di altre imprese interessate ad ottenere lo stesso risultato11.

La ricerca di imprese disposte a collaborare viene effettuata anche per accedere a nuovi mercati locali. Nel contesto della globalizzazione, gli operatori economici possono organizzarsi e cooperare per gestire piattaforme di relazione sempre più complesse ed articolate, che consentono alle imprese aderenti di operare su nuovi mercati prima irraggiungibili12. Peraltro, in questi casi, una maggiore sinergia con le imprese radicate nel territorio consente di sfruttare la loro presenza e notorietà e di limitare la loro concorrenza.

In casi più particolari, poi, la collaborazione con imprese locali può dipendere da motivazioni di carattere politico-legali, specie nei rapporti internazionali con taluni Paesi in cui la creazione e lo sviluppo di intensi rapporti commerciali di carattere continuativo è consentita soltanto attraverso specifiche forme di cooperazione con attività interne. In certe aree del pianeta, infatti, vi potrebbe essere una chiusura di principio o, comunque la scelta giustificata dalla debolezza economica degli operatori nazionali rispetto ai soggetti stranieri -di privilegiare imprese -di carattere locale, al fine -di mantenere all’interno dei confini nazionali una elevata percentuale della ricchezza prodotta. In questo quadro la cooperazione delle imprese locali con soggetti esteri diventa uno strumento di regolamentazione giuridica degli investimenti provenienti dall’estero13. L’accordo di cooperazione internazionale viene a

10

IAMICELI, Dalle reti di imprese al contatto di rete: un percorso (in)compiuto, in Iamiceli (a cura di), Le

reti di imprese e i contratti di rete, Torino, 2009, p. 6. 11VERCELLINO, Associazione Temporanea, cit.,p. 52.

12Osservazioni tratte da BARTEZZAGHI-RULLANI, Forme di reti: un insieme diversificato, in AIP (a cura di),

Reti d’imprese oltre i distretti, Milano, 2008, p. 35.

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costituire la forma giuridica che legittima l’impiego di investimenti di capitale e risorse produttive provenienti da un Paese straniero14.

Alle esigenze di ordine generale sopra brevemente richiamate si somma la crisi economica di questi ultimi anni, la quale ha sollecitato la ricerca di sinergie capaci di consentire l’accesso a conoscenze e opportunità produttive e commerciali spesso precluse alla singola impresa, specie se di piccole dimensioni.

Infine, anche le scelte di politica economica possono rendere opportuna una collaborazione tra imprese, specie quando si traducono in incentivi fiscali per le imprese che si aggregano. Come si avrà modo di approfondire nel terzo capitolo, tale favore politico per la collaborazione interimprenditoriale trova giustificazione nel convincimento che tale forma produttiva sia uno strumento capace di favorire la capacità competitiva e innovativa delle imprese e che, in ultima analisi, favorisca la crescita economica dell’intero Paese, a beneficio di tutti i suoi cittadini15.

1.3 Un fenomeno multiforme

L’integrazione economica che si realizza fra le imprese può assumere forme e dimensioni estremamente variegate e può strutturarsi secondo differenti gradi di complementazione.

Una struttura “ottimale”, infatti, non esiste in quanto essa dipende strettamente dalle ragioni che hanno spinto all’accordo e dagli obiettivi che con tale collaborazione si intendono raggiungere, nonché dalle caratteristiche tecniche, organizzative, dimensionali ed economiche delle singole imprese partecipanti.

La prassi mostra l’esistenza di forme di integrazione tra imprese che si collocano nel ciclo produttivo in modo orizzontale, in quanto aggregano operatori economici, anche concorrenti tra loro, che svolgono la stessa attività o che, comunque, si inseriscono nella stessa fase produttiva, solitamente in posizione paritaria sul piano giuridico-formale, e forme di integrazione aventi estensione verticale, che comprendono forze operative appartenenti a settori o a fasi diverse e tra loro complementari nel raggiungimento di un certo obiettivo16.

La collaborazione tra imprese, in altri termini, è verticale quando l’oggetto della prestazione è tale da non poter essere perseguito senza il coordinamento di attività diverse, non omogenee, se pur funzionalmente collegate mentre la si definisce orizzontale quando l’operare in modo congiunto non è condizionato dalle particolarità tecniche dell’opera ma, piuttosto, dal suo aspetto dimensionale, eccedente le capacità o disponibilità di imprese operanti in modo autonomo17.

14

Così GIACCARDIMARMO, I contratti di cooperazione tra imprese, in Bigiavi (fondata da) Alpa-Bessone (diretta da), Giur. sist. dir. civ. e comm., II, Tomo I, Torino, 1991, p. 26. Per un approfondimento sulla rilevanza che la collaborazione può assumere nei rapporti internazionali v. CARBONE-D’ANGELO, Cooperazione tra

imprese e appalto internazionale. Joint venture o consortium agreements, Milano, 1991. 15

CAFAGGI-IAMICELI-MOSCO, Prefazione, in Cafaggi-Iamiceli-Mosco (a cura di), Ilcontratto di rete per la

crescita delle imprese, Milano,2012, p. IX.

16Sull’integrazione orizzontale e verticale v., tra gli altri, DIROSA, L’associazione temporanea di imprese. Il

contratto di joint venture, Milano, 1998, p. 14 e ID., Autonomia contrattuale e attività di impresa, Torino, 2010, p. 62; CARBONE, Associazioni temporanee di imprese e consorzi nell’appalto di opere pubbliche, in Giur. it., 1988, IV, p. 78; MAZZONE, L’associazione temporanea di imprese, in Rescigno (diretto da),Trattato di diritto

privato, XVII, Torino, 1985, p. 564; BIANCA, La gestione in comune di un appalto pubblico: associazione

temporanea, consorzio, società di fatto o contratto associativo innominato?, in Riv. dir. civ., 1983, II, p. 647;

FERRETTI, Le “Associazioni temporanee di imprese”, in Riv. dir. comm., 1975, I, p. 350.

Tesi di dottorato di Marco Baldacci, discussa presso l’Università LUISS Guido Carli nella sessione prevista per l’anno accademico 2013/2014. Liberamente riproducibile, in tutto o in parte, Un’altra possibile distinzione si fonda sulla diversa rilevanza dell’accordo nei confronti dei terzi: in alcuni casi la convenzione tra i soggetti può assumere rilievo solo all’interno, nei rapporti tra partecipanti, senza che l’intesa venga esternata, ma spesso l’accordo acquista valore anche nei confronti di terzi, creando due piani distinti eppure strettamente connessi di relazioni.

Non tutte le forme di collaborazione tra imprese, poi, presentano la medesima stabilità nel tempo. Possono esistere infiniti livelli intermedi di complementazione che, con un’intensità crescente di rapporti, comprendono fattispecie che partono dalle semplici collaborazioni contrattuali di effimera durata e semplicità, passando a collaborazioni tendenzialmente stabili.

Tale distinzione, peraltro, si riflette sul piano giuridico, in quanto una cooperazione stabile può richiedere la creazione di una struttura autonoma con lo scopo di sostenere l’attività oggetto dell’accordo18. Generalmente, quando l’esigenza a cui rispondere è quella di realizzare, in via continuativa, un’attività comune in cui i partecipanti intendono far confluire le risorse tecniche, organizzative ed economiche necessarie, le imprese costituiscono organismi giuridicamente autonomi i quali si aggiungono, e non si sostituiscono, alle aderenti. Per contro, le forme di collaborazione temporanea risultano di norma prive di organismi giuridicamente autonomi e si fondano su accordi che si limitano a prevedere una stretta ingerenza o, comunque, interdipendenza tra le varie imprese.

Per definire questo variegato quadro di accordi di collaborazione, le scienze economiche utilizzano il termine “rete di imprese” proprio per evidenziare l’esistenza di un intreccio di pattuizioni di natura convenzionale che legano tra loro imprese che rimangono comunque autonome, ancorché interdipendenti.

La “rete di imprese”, quindi, individua tutte le forme di collaborazione «che stanno nella vasta zona grigia compresa tra i due estremi della massima indipendenza (mercato) e della massima dipendenza (gerarchia)»19e con le quali le imprese bilanciano le opposte esigenze di stabilità e flessibilità20.

La rete, infatti, si distingue tanto dal rapporto di mercato (qual è quello tra il fornitore ed il cliente, in cui la relazione commerciale si limita allo scambio di un certo prodotto con un certo prezzo e che mantiene la piena indipendenza ed autonomia delle parti contraenti) quanto dal rapporto gerarchico (nel quale si dà vita ad un rapporto di dipendenza in cui una parte viene ad assumere una posizione gerarchicamente sovraordinata).

Del resto, la “convivenza” di mercato e gerarchia ben si riscontra proprio nell’interesse perseguito dalla rete. Se nel mercato ogni parte persegue un interesse contrastante con quella della controparte e nel gruppo l’interesse collettivo coincide, di norma, con quello della controllante, nella rete l’interesse collettivo si aggiunge e, talora, si contrappone, a quello dei singoli partecipanti: vengono a coesistere cooperazione e competizione, scopo comune e

18

Vedi sul punto VERCELLINO, Associazione Temporanea, cit.,p. 53.

19BARTEZZAGHI-RULLANI, Forme di reti, cit., p. 36. Per ulteriori approfondimenti si vedano POWEL, Neither

market nor hierarchy: network forms of organization, in Cummings-Staw (a cura di), Research in Organizational behavior, Greenwich, 1990, p. 295 e WILLIAMSON, The economics of governance, in Am. Ec.

Rev., 2, 1996, p. 1. Tra i contributi meno recenti v. WILLIAMSON, The economic institution of capitalism: firms,

markets, relational contracts, New York, 1985; BECATTINI, Dal settore industriale al distretto industriale.

Alcune considerazioni sull’unità di indagine dell’economia industriale, in Riv. ec. pol. ind., 5, 1979, p. 7 e

COASE, The nature of the firm, in Economica, 4, 1937, p. 386.

20

IAMICELI, Le reti di imprese: modelli contrattuali di coordinamento, in Cafaggi (a cura di), Reti di imprese

Tesi di dottorato di Marco Baldacci, discussa presso l’Università LUISS Guido Carli nella sessione prevista per l’anno accademico 2013/2014. Liberamente riproducibile, in tutto o in parte,

divergenza di interessi, dal momento che le stesse imprese cooperano su alcuni mercati ma possono competere su altri.

Il ricorso ad accordi reticolari da parte delle imprese deriva, del resto, dalla circostanza per cui le relazioni di mercato si rivelano inadeguate ad organizzare le complementarità tipiche