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L’ESPORTAZIONE DELLA DEMOCRAZIA.

COSMOPOLITISMO E GLOBAL GOVERNANCE: LE NUOVE FRONTIERE DELLA POLITICA GLOBALE.

3.1. SOVRANITA’ E DEMOCRAZIA: I CONFINI MODERNI DELLO STATO

3.1.2 L’ESPORTAZIONE DELLA DEMOCRAZIA.

“Non ricordo che a qualcuno sia mai stato dato il diritto di giudicare quali culture siano superiori ad altre.

Soprattutto quando coloro che giudicano lo fanno con un fucile in mano” Andy Tennant.

La globalizzazione economica che secondo Giddens costituisce il risultato dell‟evoluzione del capitalismo, tende ad assorbire la sfera politica facendo scomparire la polis; il mercato diviene unico luogo di socializzazione e il cittadino diviene consumatore. Il rischio è quello del lento quanto inesorabile svuotamento di significato del modello democratico innalzato, apparentemente, a vessillo e a modello per la società futura.

Perché se oggi, come annota giustamente Daniele Archibugi, la democrazia

emerge come modello vincente fino al punto di essere diventata la sola forma di governo legittima 361, il rischio che la società occidentale mondializzata sta correndo è proprio quello di arroccarsi sulle proprie conoscenze e sulle proprie conquiste democratiche al punto da costruire attorno a sé una fortezza ed escludere tutti coloro che non accettano tale visione del mondo o che ne propongono una alternativa, inoltre non possiamo dimenticare che esportare la democrazia è inscritto da sempre nelle priorità

della politica estera americana362

Appare chiaro che se anche tutti gli stati dovessero applicare lo stesso sistema democratico che qui definiamo “occidentale”, ognuno di loro sarebbe comunque caratterizzato da specificità proprie e da stadi differenti di applicazione.

360 Ivi, pag. 256.

361 D. ARCHIBUGI – Cittadini del mondo – op. cit. - pag. 9. 362 Ivi, pag. 205.

Quindi l’idea di una democrazia estesa ovunque deve essere basata sull’accettazione di

una molteplicità di modelli e stadi363.

Quali sono i metodi più efficaci per esportare la democrazia? L’azione delle

organizzazioni internazionali, fondata sul dialogo e sulla cooperazione, risulta essere stata molto più efficace della coercizione 364; ma ancora di più, è possibile e lecito esportare la democrazia occidentale elevandola a modello universale? È legittimo esportare la democrazia? In fondo se un sistema democratico è “imposto” dall’esterno,

come avvenuto in molti paesi africani alla fine delle dominazioni coloniali, le condizioni strutturali dello stato spesso sono troppo fragili per garantirne la sopravvivenza, tanto da provocare la sostituzione, spesso violenta, di governi eletti con regimi autoritari365.

Non solo, generalmente, indipendentemente da quanto viene asserito, le

ragioni più comuni che spingono una comunità politica a investire le proprie risorse per cambiare un regime altrove sono il proprio tornaconto e la speranza di estorcere risorse da altre società366e questo non fa certo onore ai principi democratici né a coloro che si propongono, almeno a parole, di esportare benessere e miglioramento sociale.

I mezzi attraverso i quali si sono estrinsecati i tentativi di esportazione della democrazia, almeno fino ad oggi, si riducono essenzialmente alla guerra, ritenuta giusta e inderogabile ma che certamente è il mezzo meno indicato per convincere la

popolazione che l’intervento esterno intende promuovere effettivamente un regime fondato sulla nonviolenza e a protezione dei loro interessi367; quanto accaduto in

Europa nel 1945 non appare replicabile, tenendo conto del fatto che in Germania, Italia e Giappone, l‟intervento militare americano fu fortemente richiesto proprio dalla popolazione stremata da anni di guerra fratricida.

D‟altronde, la finalità del tutto pragmatica che viene perseguita (…) è quella

dell’intervento diplomatico o militare una volta che sia emersa una controversia o sia esploso un conflitto. Vengono così trascurati gli elementi di una possibile strategia generale di prevenzione della guerra368.

363 Ivi, pag. 38. 364 Ivi, pag. 26. 365 Ivi, pag. 46. 366 Ivi, pag. 207. 367 Ivi, pag. 213.

Nulla si previene e poco si cura da parte di comunità internazionale che viene spinta all‟intervento postumo da fattori esterni quali la convenienza economica degli stati coinvolti, almeno di quelli più potenti, o, al limite, dalla spinta dell‟opinione pubblica.

Altro mezzo di esportazione della democrazia consiste in incentivi economici, sociali, politici e culturali da parte di una società, quella occidentale, che predomina nel mondo e che, a causa del predominio, può far scambiare tali incentivi come forme di imposizione verso culture ritenute inferiori, addirittura come nuove forme di colonialismo e imperialismo.

La forma che oggi può apparire più convincente per far conoscere e condividere un governo, ma soprattutto uno stile di vita democratici, è quella di cercare canali diretti per instaurare contatti fra i cittadini dei paesi democratici e di quelli autoritari in modo da far conoscere l‟esistenza di società politiche che esprimono loro solidarietà trattandoli, però, da pari a pari. Certamente questi sono processi estremamente lunghi e che solo in alcuni casi, come quello di Nelson Mandela e dell‟Apartheid sudafricano hanno dato risultati concreti nel lungo periodo riuscendo a cambiare radicalmente le opinioni comuni della società civile ancor prima delle opinioni politiche dei governanti.

Le risposte ancora non ci sono e certamente non potranno essere a senso unico.

Se per alcuni il rimedio per eccellenza è la concentrazione del potere in un

organo nuovo e supremo, e cioè l’istituzione di un superstato o stato mondiale che sia il detentore del monopolio legittimo della forza internazionale369, un potere che deve

tendere ad abbattere conflitti, violazioni, diversità mantenute finora intatte o addirittura ampliate da istituzioni internazionali che mantengono un approccio basato sul potere degli stati sovrani e che tendono a essere dominate da una minoranza di paesi ricchi e

potenti che le usano per promuovere i propri interessi, incuranti di qualsiasi aspetto normativo e che sono sempre proti a ricorrere, a loro assoluta discrezione, all’uso della forza militare370, il cambiamento si impone.

La direzione del cambiamento, però, è ancora tutta da stabilire pensando, soprattutto a quanto appaia difficile creare, di comune accordo, uno stato mondiale che

369 Ivi, pag. 50. 370 Ivi, pag. 55.

sia veramente democratico, che dia luogo ad una vera Cosmopolis nella quale tutti, siano essi cittadini o istituzioni, siano allo stesso livello, possano interagire da pari a pari.

In questo conteso si inserisce la definizione della cosiddetta “guerra globale”, termine usato per la prima volta durante la prima guerra del golfo, termine che ha sostituito quello di “guerra mondiale” dalla quale si differenzia non tanto nella portata planetaria di un conflitto che coinvolge tutte le nazioni, siano esse ricche o povere, ma nel diverso ruolo che ogni nazione svolge proprio nell‟organizzazione, nello svolgimento e nei risultati di tale guerra.

Guerre globali sono le guerre combattute per decidere chi svolgerà il ruolo della leadership entro il sistema, chi imporrà le regole sistemiche, chi avrà il potere di modellare politicamente i processi di allocazione delle risorse e chi potrà far prevalere il proprio senso o la propria visione dell’ordine371. In altre parole, chi potrà, a guerra finita, decidere le sorti del mondo, senza altra investitura che quella del potere conquistato e dimostrato attraverso l‟uso della forza, come in un duello medievale fra cavalieri per la conquista della dama o dell‟ambito trofeo.

Certamente il benessere e un elevato livello di istruzione facilitano

l’introduzione e il consolidamento di sistemi democratici372

, ma altrettanto importante è il contesto economico sociale al fine di poter estendere, finalmente, la democrazia a livello globale dato che l’assunto fondamentale è che lo sviluppo della democrazia sia

collegato a filo doppio a un ordine internazionale pacifico e fondato sulla legalità373 e in questo appare fondamentale l‟apporto delle organizzazioni internazionali che possono e devono diventare punti di riferimento e di stabilità nei processi di transizione alla democrazia attraverso la proiezione delle regole democratiche e l‟integrazione economica.

Con questo il cerchio si chiude: può esserci vera democrazia in ogni singolo stato solamente se esiste un sistema internazionale democratico al di sopra degli stati nazionali che siano però vincolati a questo sistema da un legame inscindibile, pari al legame che hanno democraticamente stabilito con i propri cittadini, che non si sentono più solamente abitanti di un territorio limitato ma, nella condivisione delle stesse regole

371 Ivi, pag. 69.

372 D. ARCHIBUGI – Cittadini del mondo – op. cit. - pag. 39. 373 Ivi, pag. 74.

e degli stessi diritti di tutti gli abitanti del globo, diventino veramente cittadini del mondo forse attraverso un ordine mondiale più giusto e più pacifico che potrà risultare

solo dal superamento dell’anarchia “statista” e dalla attribuzione di efficaci poteri di intervento ad una autorità centrale di carattere sovranazionale374.

In altre parole, il processo di democratizzazione resterà incompiuto finché

all’interno delle organizzazioni internazionali convivranno il vecchio principio della sovranità degli stati (e il loro precario equilibrio) e la nuova tendenza a dar vita a “un forte potere comune”375

che possa, al di là e al di sopra dei singoli interessi, regolare coattivamente le controversie garantendo una vera e duratura pace fra le nazioni.

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