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1.2.4 NUOVO CAPITALISMO, NUOVI LAVORI, NUOVO WELFARE: COME LA GLOBALIZZAZIONE CAMBIA LE VITE E LE ASPETTATIVE

DEGLI UOMINI.

“ La grande maggioranza della persone lavora soltanto per necessità, e da questa naturale avversione umana al lavoro nascono i più difficili problemi sociali”. Sigmund Freud, Il disagio della civiltà.

Nel vento del cambiamento portato dalla globalizzazione economica, non solamente le aziende, ma anche gli Stati si concentrano sulle nuove problematiche dell'economia mondiale e, nell'ottica della competitività, tentano di subordinare la politica sociale alle esigenze di flessibilità: quella macchina burocratica nella quale contava di più l'integrazione sociale che non l'efficienza, comincia ad essere posta in discussione soprattutto da chi pensava che la crescita economica fosse possibile solo

perché i controlli istituzionali sul flusso di beni, servizi e manodopera si erano ridotti87.

Secondo B. Jessop, quello che sta gradualmente emergendo è un processo di trasformazione strutturale e un fondamentale riordinamento strategico dello Stato capitalista. Lo Stato, cioè, è pronto a tagliare la piena occupazione nazionale, così importante nell'età moderna per garantire la pace sociale, a favore della competitività internazionale e produttivista. In quest'ottica il riordino della politica sociale viene prima di ogni diritto di redistribuzione di benessere e ricchezza.

La vera sfida sta non nel ridurre la spesa sociale, ma nel disegnare la protezione sociale in termini qualitativamente innovativi in modo da minimizzare le perdite di efficienza e da far sì che, invece del trade-off, vi siano sinergie tra welfare, competitività e crescita88, ma per ora quello che si intravvede nelle politiche dei diversi

Stati, tutte nell‟ottica della maggiore efficienza, sono tagli alle istituzioni del welfare ritenute troppo onerose e poco produttive.

La riorganizzazione di istituzioni e di imprese ha pesanti ricadute non soltanto sulla vita materiale e sociale dei singoli lavoratori e cittadini, ma anche in quelle che sono le aspettative private di ognuno di noi.

87Ivi, pag. 23.

La ragione che spingeva Bismarck ad ingrassare le istituzioni era la pacificazione della società: evitare conflitti dando a tutti un posto. L'obiettivo sociale e politico della burocrazia ingrassata è dunque l'integrazione sociale che non l'efficienza89. Oggi si ha un ribaltamento totale delle aspirazioni bismarckiane mettendo l'efficienza proprio al primo posto nella scale valoriale dell'economia, forse solo dopo il raggiungimento dei massimi profitti... e, in nome dell'efficienza, decadono la sicurezza del posto di lavoro e dello stipendio fisso e con essi la fiducia e la speranza nel futuro; il

lavoro appare come un vicolo cieco, anche quando effettivamente apre delle prospettive90.

La parola flessibilità si accompagna alla parola incertezza, cioè l'incapacità

di comprendere ciò che accadeva e il non sapere come continuare91. Incertezza che

determina paura; la paura dell'ignoto si era diffusa liberamente non appena le strette

maglie della rete di protezione erano state strappate92.

Il grande contratto fordista che legava produttività, salario e consumo, si è rotto; al suo posto fa un rapido ingresso un nuovo modello: produttività flessibile e salario flessibile, disuguaglianza economica fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.

Secondo Bauman la privatizzazione che accompagna la deistituzionalizzazione, porta gli individui all'incertezza, ma li sprona anche, o dovrebbe spronarli, anziché a rifugiarsi di nuovo nella culla dello statalismo paternalista, ad autoaffermarsi dando il meglio di sé anche se rimane, nell'ombra, lo spettro del fallimento per il quale non ci sarà alcun rimedio.

Situazione complessa in cui ognuno dovrà mettere, quotidianamente, alla prova sé stesso, vedendo poco lontani i rischi che ne conseguono, come se, improvvisamente, fosse stata tolta la rete che protegge i trapezisti dalle cadute.

89

R. SENNET - La cultura del nuovo capitalismo - op. cit. - pag. 27.

90Ivi, pag. 57.

91Z. BAUMAN - La società dell'incertezza - Il Mulino, Bologna, 1999, pag. 101. 92Ibidem.

1.3 – LA FAMIGLIA.

"Riceviamo dalla nostra famiglia così le idee di cui viviamo come la malattia di cui moriremo."

Marcel Proust.

Nell'epoca della globalizzazione tutte le istituzioni subiscono dei cambiamenti definibili come epocali; cambiamenti che non risparmiano nemmeno la famiglia, istituzione base della vita, privata ma non solo, di ogni individuo, che con il tempo assume forme diverse, adattandosi a nuove esigenze o forse subendole essa stessa.

Istituzione più conservatrice fra le istituzioni, punto fermo di ogni persona, ambiente nel quale si nasce e si cresce, in cui si impara, bene o male, la difficile arte del vivere con l'insegnamento e con l'esempio, la famiglia non viene scelta dall'individuo ma è data a ognuno di noi, forse da Dio, forse dal caso, ma dentro la quale rimaniamo per un numero indeterminato di anni; dalla quale talvolta non si vorrebbe mai andarsene, oppure si vorrebbe scappare appena possibile, ma comunque esperienza unica e primordiale che accompagna ogni bambino fino all'adolescenza e all'età adulta, nella formazione della propria identità e della propria personalità.

Anche l'età in cui si lascia la famiglia di origine per costruirsene una nuova, cambia nel tempo: quella che sembra caratterizzare l'epoca attuale è la cosiddetta “famiglia del giovane adulto” che ritarda, fino ad un'età piuttosto avanzata (si stima circa 35 anni), l'allontanamento dalla famiglia di origine per costituire una propria famiglia indipendente.

Fenomeno che dapprima contraddistingueva il caso italiano e visto come una tradizione tipica del nostro Paese dove, per antonomasia, i figli sono molto legati alla figura materna, ma che ormai sta diventando una consuetudine in molti dei Paesi capitalistici avanzati a causa principalmente dei cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo del lavoro, in particolare a causa di flessibilizzazione e precarizzazione della garanzia propriamente fordista di un lavoro stabile e a tempo indeterminato.

Tutto questo determina una profonda insicurezza, soprattutto dal punto di vista economico, che non permette la costituzione di una vita e di una famiglia autonome, staccate dal seno materno che rappresenta non più un attaccamento edipico

dei giovani adulti, ma un attaccamento o meglio un sostentamento economico in un mondo che non sostenta più quasi nessun lavoratore.

Questa situazione precaria, in un primo tempo riguardava quasi esclusivamente le lavoratrici donne: le parole precarizzazione, flessibilizzazione avevano come sinonimo quello di “femminilizzazione” del lavoro. In epoca fordista, infatti, era considerato lavoratore il “male breadwinner”, il maschio capofamiglia procacciatore di reddito, mentre alla donna erano lasciate le “attività domestiche e di cura”.

Ma per quelle donne che decidevano di svolgere anche una professione fuori casa, magari per incrementare il reddito familiare, erano concessi dei lavori part- time, flessibili; erano le prime ad essere licenziate in caso di riduzione del personale ed erano sempre e comunque figure secondarie nel mondo del lavoro come nella vita familiare.

Tutti questi diversi tipi di lavori che per la loro caratteristica di poter essere interrotti in qualsiasi momento e che possiamo chiamare precari, cominciano ormai ad essere allargati anche agli uomini, prima ai giovani i quali, come le donne in fondo rischiano meno e hanno meno da perdere se lasciati a casa e poi a tutti i lavoratori, anzi, soprattutto ai lavoratori di mezza età, anche se maschi e capifamiglia, perché ritenuti ormai quelli meno produttivi.

Certamente questa nuova situazione è figlia del cambiamento epocale introdotto nella nuova società post-fordista dall'imperante globalizzazione, è figlia di nuove scelte di mercato finalizzate alla massima produzione con il minimo dei costi, ma è dovuta anche all'evoluzione ed al cambiamento che nel corso del tempo ha subito la famiglia nel passaggio da famiglia patriarcale, con una netta e rigida divisione dei ruoli fra uomo e donna, ad una nuova tipologia di famiglia, anzi di famiglie, che oggi, sempre di più, caratterizzano questa istituzione.

Ma i cambiamenti avvenuti all'interno della famiglia tradizionale sono stati causati, spinti, ampliati, dai cambiamenti sociali che sono sfociati in questa nuova società così fluida, dato che nei fenomeni sociali non esistono percorsi a senso unico, ma, intersecandosi fra loro, le diverse componenti della società si stimolano e si legano a vicenda in quella che Giddens definisce “doppia ermeneutica”.

Quello che è certo è che oggi l'individuo ha sempre meno appigli sicuri, siano essi sentimentali, sociali, economici, a cui appoggiarsi o a cui fare riferimento, è sempre più isolato: è un individuo in una società di individui...

1.3.1 – IL LAVORO FEMMINILE TRA NUOVE OPPORTUNITA’ E VECCHIE

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