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1.4.3 – IMMIGRATI DI OGGI: TRA PERCORSI DI ESCLUSIONE E STRATEGIE DI INTEGRAZIONE.

“Oggi si condannano senza alcun grado giudiziario degli esseri umani a scontare pena in un recinto di appestati.” Erri De Luca.

Oggi sono soprattutto le fasce deboli della popolazione mondiale ed in particolare gli immigrati dai poverissimi Paesi del Terzo Mondo a fare le spese della nuova situazione in cui la manodopera è ovunque in esubero e spesso va ad alimentare le fila della criminalità con una doppia stigmatizzazione come immigrato, clandestino e come criminale, stigma già evidente da subito attraverso il colore scuro della pelle.

Nuove forme di stigmatizzazione, dunque, cui si aggiunge una nuova forma di ghettizzazione: l‟internamento all‟interno di strutture denominate “Centri di Permanenza temporanea”.

Questi centri, chiamati CPT, sono stati istituiti nel 1998 dalla legge sull‟immigrazione “Turco - Napolitano” (art, 12 della legge 40/1998) e sono strutture a tutti gli effetti “detentive” in cui vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno.

Il trattenimento nei CPT viene disposto dal Questore per un tempo di 30 giorni, prorogabile di altri 30 quando “non è possibile eseguire con immediatezza l‟espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all‟acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l‟indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo”.

Nonostante i cittadini stranieri si trovino all‟interno dei CPT con lo status di trattenuti o ospiti, la loro permanenza nella struttura corrisponde di fatto ad una detenzione, in quanto sono privati della libertà personale e sono sottoposti ad un regime di coercizione che, tra le altre cose, impedisce loro di ricevere visite e di far valere il fondamentale diritto alla difesa legale.

La cosa da sottolineare è che i CPT rappresentano una detenzione amministrativa, cioè sottopongono ad un regime di privazione della libertà personale individui che hanno violato una disposizione amministrativa, il necessario permesso di soggiorno, violazione non equiparata ad un reato, ma soggetta ad una detenzione in luoghi che molto somigliano alle prigioni, alle istituzioni totali che tendono a spogliare i profughi detenuti della loro identità157 già messa a dura prova dall‟allontanamento dal loro ambiente di origine.

Il funzionamento dei CPT è di competenza del Prefetto che affida i servizi di gestione della struttura a soggetti privati, responsabili del rapporto con i detenuti e del funzionamento materiale del centro. Le forze dell‟ordine presidiano lo spazio esterno delle strutture e possono entrare nelle zone dove i detenuti vivono su richiesta degli enti gestori in casi eccezionali e di emergenza.

Ad amministratori di enti pubblici, giornalisti, operatori di organizzazioni per i diritti dell‟uomo e garanti per i diritti delle persone detenute è vietato l‟accesso ai CPT.

Le norme di funzionamento e di sicurezza assomigliano molto a quelle della prigione; una prigione in cui sono detenuti individui la cui unica colpa è quella di avere il colore della pelle diverso dal nostro, provenire da paesi poveri a volte anche molto lontani, non avere alcuna disponibilità economica, essere in cerca di una vita migliore.

Migranti, sottoposti a processi di stigmatizzazione e di ghettizzazione che molti nostri connazionali hanno subito ma di cui cerchiamo di dimenticarci: 17 aprile 1907, una data storica per l‟emigrazione italiana quando undicimila italiani sbarcarono ad Ellis Island, avamposto nel porto di New York dove venivano raccolti tutti coloro che sbarcavano sul suolo americano sfuggendo da stenti, fame e disoccupazione.

Qui venivano tenuti in quarantena coloro che chiedevano di entrare negli Stati Uniti come emigranti. Era l‟archetipo del non luogo: non era più il Paese di origine, non era più la nave, ma non era ancora la sognata America… era solo l‟antenato dei CPT.

Qui gli italiani trovavano ad aspettarli una dura selezione: i malati, i deboli erano, senza indugio, rispediti indietro vedendo così sfumare tutte le loro speranze.

Forse non c‟è un‟alternativa di prima accoglienza, un‟alternativa per fronteggiare gli sbarchi, inattesi, imprevisti e imprevedibili per numero e cadenza, dei disperati che oggi come ieri investono tutto quello che possiedono in un tragico viaggio della speranza; ma i CPT oggi, come Ellis Island ieri, nella loro funzione e nella loro struttura, incarnano la trasformazione che sta subendo la forma statuale dall‟America all‟Europa: il passaggio, in nome della sicurezza dei cittadini, da uno stato assistenziale ad uno stato penale, trasformazione di cui fanno le spese le categorie più povere e meno tutelate e protette ma sempre più colpevoli del maggiore senso di insicurezza che pervade tutti.

Per questo tutti i governi europei cercano ogni stratagemma per chiudere le frontiere a chi cerca lavoro e per cacciare chi riesce comunque ad entrare; in alternativa

il governo propone di confinarli in appositi campi costruiti in parti possibilmente remote e isolate del paese – trasformando in tal modo in una profezia che si auto avvera la convinzione che gli immigrati non vogliano o non possano essere assimilati nella vita economica del paese158.

In realtà non tutti i cittadini stranieri hanno difficoltà di inserimento, non tutti hanno difficoltà a trovare lavoro, in fondo un certo tipo di manodopera è ancora richiesto e questo non è in contraddizione con le alte percentuali di disoccupazione che affliggono tutte le società post fordiste.

Infatti, se in generale possiamo dire che la richiesta di manodopera maschile, operaia, è certamente diminuita, sta di pari passo aumentando la richiesta di manodopera femminile, assolutamente a basso costo, per lavori domestici ed attività di cura: badanti per persone anziane non autosufficienti, tate per bambini lasciati soli dai genitori che lavorano, colf per sopperire alla mancanza di una mano casalinga femminile che non può più permettersi di non lavorare o che desidera affermarsi in una carriera fino a poco tempo fa riservata agli uomini. Le cause sono diverse, ma la richiesta di questi tipi di lavori femminili è in continuo aumento.

Nelle società occidentali l‟indebolimento della famiglia e dell‟appartenenza ad una comunità ha creato un vuoto culturale in cui il mercato fa da padrone: è il mercato che determina l‟allungamento degli orari di lavoro o l‟impiego delle donne al di

fuori delle cure parentali trasformando le nostre abitudini familiari e riducendo il tempo, soprattutto il tempo libero, ad un‟anonima merce159

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Di fatto agli immigrati spettano “di diritto” tutti i lavori che gli autoctoni non vogliono più fare, ma, principalmente spetta loro la funzione di parafulmine, su di

loro vengono scaricate le ansie accumulate, esorcizzando così lo spettro dell’incertezza160

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