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1.3.1 – IL LAVORO FEMMINILE TRA NUOVE OPPORTUNITA’ E VECCHIE CATENE.

"L'uomo è il capo della famiglia,

ma la donna è il collo e muove il capo dove essa vuole."

Proverbio Cinese.

La storia del rapporto fra donne e lavoro produttivo è una storia antica di una dicotomia mai sciolta, la cui persistenza nel tempo sembra voler esprimere, a livello di senso comune, un'inconciliabilità sostanziale delle donne rispetto alla sfera lavorativa che rivelerebbe, a sua volta, una difficoltà culturale a promuovere un'identità femminile oltre la dimensione materna e della cura.93

La presenza delle donne nel mondo del lavoro oggi può definirsi “massiccia”, infatti, come nota giustamente Manuel Castells nella sua ricerca sul lavoro delle donne94, nel mondo ed anche in Europa, almeno negli ultimi trent'anni, l'occupazione femminile è cresciuta notevolmente. Ma quello che appare importante non è il numero di donne effettivamente occupate fuori casa, lo sono soprattutto le motivazioni dell'incremento del lavoro femminile in un'epoca in cui anche il lavoro maschile sta diminuendo e, soprattutto sono importanti le caratteristiche peculiari che contraddistinguono il lavoro femminile da quello maschile.

Infatti, se la domanda di lavoro, in termini puramente quantitativi, non è in

grado di spiegare il crescente impiego delle donne, la preferenza a esse attribuita dai datori di lavoro deve dipendere da altri fattori.95

Sono proprio questi “altri fattori” ad essere importanti; appare infatti evidente che l‟ingresso delle donne nel mondo del lavoro non avviene soltanto in risposta alla domanda di lavoro, ma sono proprio le caratteristiche di genere tipiche del

93

C. SATTA – Lavoro flessibile e dimensione di genere - in Homo Instabilis, a cura di M. A. Toscano – Editoriale Jaka Book, Milano, 2007, pag. 497.

94M. CASTELLS - Il potere delle identità - Edizioni EGEA SpA, Milano, 2004, pag. 240. 95Ivi, pag. 243.

lavoro femminile a renderlo particolarmente appetibile96; caratteristiche che non sono biologiche, bensì sociali.

Nonostante quello che afferma M. Castells, e cioè che le donne hanno

dimostrato di essere in grado di fare il vigile del fuoco e, perfino, lo scaricatore di porto, per non parlare del fatto che il loro duro lavoro ha contrassegnato l’industrializzazione sin dalle origini97

, quella che permane è indubbiamente una

visione sessista dei generi e dei lavori adatti ad ogni genere.

In tutto il mondo persiste una differenza di salario tra donne e uomini nonostante, soprattutto nei Paesi industrializzati, il grado di preparazione culturale e manuale sia ormai pari per entrambi i sessi; anzi, sempre secondo M. Castells, l‟autonomia, la capacità di adattamento e riprogrammazione dei propri compiti, le capacità relazionali, l‟abilità, lo spirito di iniziativa e l‟istruzione che contraddistinguono sempre di più le donne è la seconda ragione della assunzione di

donne a prezzo di convenienza (…). In questo senso, c’è un’estensione della divisione del lavoro su linee di genere, osservata nell’ambito del patriarcato fra occupazioni tradizionalmente maschili e lavoro domestico e sociale femminile. (…). La nuova economia esprime una crescente domanda di abilità che erano in precedenza confinate nella sfera privata del lavoro relazionale e che sono ora fondamentali nella gestione e nel trattamento di persone e informazioni98.

Il modello patriarcale della famiglia si estende dunque al mondo del lavoro: prima in Europa e poi nel resto del mondo, le donne sono ancora una volta subordinate ad un‟autorità, non più quella paterna ma quella del datore di lavoro che le relega, ancora una volta, in una situazione di subalternità socialmente accettata.

Infatti, l’assimilazione tra il modo femminile di lavorare e quello

postfordista si basa proprio sulla crescente importanza occupata dalla soggettività del lavoratore – definita la “messa in produzione” del soggetto – comune a quella tradizionalmente richiesta alle donne nel lavoro domestico, di cui l’attività di cura della casa, come spazio fisico, e delle relazioni, in termini di tempo dato all’ascolto e all’attenzione verso l’altro, risulta essere la componente principale99

. 96 Ibidem. 97 Ibidem. 98 Ivi, pag. 244.

Appare evidente che il nuovo mondo lavorativo si sta “femminilizzando”, termine che assume significati diversi a seconda del punto di vista preso in considerazione: se infatti il numero delle donne impiegate nel mondo del lavoro aumenta e le capacità delle donne vengono sempre maggiormente riconosciute, di contro si incancrenisce una visione maschilista e patriarcale del mondo femminile e cioè una netta divisione di ruoli e di competenze fra generi che vede ancora e sempre la donna adatta solamente a determinate tipologie lavorative che le si confanno e di fatto le vengono riservate.

Visione che per secoli ha determinato la sudditanza delle donne, ma che ora sembra, almeno apparentemente, offrire nuove prospettive di occupazione e di carriera:

il femminile diventa modello di comunicazione, di relazione con il pubblico, di disponibilità al lavoro e ai suoi flussi intermittenti, fatti di continue entrate e uscite dal mercato del lavoro100.

Se il lavoro femminile veniva prima considerato improduttivo, da svolgere essenzialmente entro le mura domestiche o, comunque poco qualificato e scarsamente retribuito proprio perché inferiore a quello svolto dall‟uomo, oggi viene apparentemente riabilitato in quanto associato essenzialmente ad un altro aggettivo, “flessibile”:

l’espressione “femminilizzazione” del lavoro, presentata come un modo per definire le caratteristiche di una lavoro flessibile e per affermare delle modalità lavorative “più adatte” alle donne, mostra insieme ai suoi aspetti più creativi anche gli strascichi di una realtà poco tutelata, soprattutto per i lavoratori101.

La presa di coscienza della nuova condizione femminile di fronte alla condizione privilegiata dei maschi, ha dato l‟avvio, secondo le intuizioni di M. Castells102, alla nascita del movimento femminista e alla conseguente ridefinizione

dell’identità della donna mediante l’affermazione dell’uguaglianza fra uomini e donne, (…) e la negazione dell’identità della donna nelle forme definite dagli uomini e custodite dalla famiglia patriarcale103.

Ma l‟effetto perverso di questo ripensamento positivo delle donne è stato che il loro massiccio ingresso nel mondo del lavoro non le ha liberate dal fardello delle

100

Ivi, pag. 501.

101 Ivi, pag. 502.

102 M. CASTELLS – op. cit. – pag. 250 103 Ivi, pag. 251

attività domestiche e di cura che rimangono principalmente sulle loro spalle ed anzi, si aggravano in quella che viene definita “doppia presenza” della donna che si deve dividere tra lavoro, famiglia e figli.

Questa ridefinizione di identità ha certamente portato ad una generale presa di coscienza delle donne di essere depositarie di diritti né più né meno come gli uomini e di poter decidere liberamente della propria vita, sia privata che lavorativa ed è certamente servito da stimolo alle pressanti richieste di riconoscimento della condizione di donna lavoratrice, ma questa condizione è resa ancora più pesante da istituzioni di welfare ormai obsolete e non più adatte alla realtà sociale contemporanea, così diversa rispetto a quella per la quale erano nate.

Le forme di protezione sociale sono ancora rivolte essenzialmente a garantire la perdita di lavoro del maschio capofamiglia, considerato l‟unico percettore di reddito; queste istituzioni si devono adattare invece a tipologie di famiglie diverse da quella patriarcale e molto diverse tra loro, che vedono la donna impegnata in compiti diversi da quelli domestici. Non è più soltanto la tutela della maternità ad essere richiesta, ma tutta una serie di strutture e di politiche di conciliazione che possano supportare le donne nella loro nuova condizione che le vede divise fra tempo lavorativo e tempo domestico.

Il fattore principale dell‟aumento dell‟occupazione femminile fra il XX e il XXI secolo è quindi e senza ombra di dubbio la flessibilità. Le donne, in effetti,

rappresentano la stragrande maggioranza del lavoro part-time e temporaneo, mentre la percentuale di lavoratrici autonome, per quanto ancora limitata, è in rapida crescita104.

Sicuramente queste caratteristiche del lavoro femminile incarnano appieno quelle che sono le necessità della nuova economia internazionale e quindi aiutano, anzi accelerano l‟ingresso delle donne nel mondo del lavoro ma piegano anche il mondo del lavoro (maschile) alle stesse prerogative.

Anche in questo senso vi è una doppia connessione fra i due fattori: se infatti la condizione femminile nella famiglia tradizionale, complementare a quello del maschio e diretto principalmente alle attività domestiche e di cura si riversa nel mondo del lavoro fuori casa, questo stesso mondo del lavoro si adatta ad esigenze puramente

femminili come ad esempio la richiesta del part-time per occuparsi dei figli, allargandolo a tutti i lavoratori senza distinzione di genere.

Il tipo di lavoratore richiesto dall’economia informazionale e connessa in rete corrisponde agli interessi di sopravvivenza delle donne che, nelle condizioni determinate dal patriarcato, cercano di rendere compatibili lavoro e famiglia, ben poco aiutate, in questo, dai loro mariti105, ma corrisponde, soprattutto, agli interessi dei nuovi

imprenditori che vedono nella flessibilizzazione e nell‟individualizzazione del mercato del lavoro una nuova e sicura fonte di guadagni al netto di tutta una serie di costi dovuti alle garanzie e alle sicurezze che i lavoratori, rappresentati da organizzazioni collettive, pretendono, o pretendevano, in cambio delle loro prestazioni d‟opera.

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