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EVOLUZIONE DELLO STATO TRA PROTEZIONISMO E LIBERTA’ ECONOMICA.

GLI EFFETTI POLITICI DELLA GLOBALIZZAZIONE E I CAMBIAMENTI DELLE ISTITUZIONI STATALI.

2.1.2 – DELLA LIBERTA’ DEGLI ANTICHI E DELLA LIBERTA’ DEI MODERNI, OVVERO IL PROBLEMA DELLA DEMOCRAZIA E

2.1.3 EVOLUZIONE DELLO STATO TRA PROTEZIONISMO E LIBERTA’ ECONOMICA.

“Se lasciamo che le cose seguano il loro corso senza immischiarci nelle azioni umane, accadranno cose terribili; se invece ci mettiamo all’opera con giudizio e sottoponiamo la gente a un trattamento adeguato,

possiamo creare un mondo eccellente, come la storia non ne ha mai conosciuti.”

Denis Diderot

Come il binomio Stato/società è diventato indissolubile, in un rapporto dialettico in cui la società tende a travalicare lo Stato, allo stesso modo appare indissolubile il binomio Stato/mercato, in cui per mercato si intende “economia di mercato”.

Stato e mercato sono istituzioni coeve, legate da un nesso funzionale, già a partire dalla fase mercantilistica dello Stato assolutista. Tale nesso si approfondisce nelle fasi storiche successive e, seppur lo Stato e l’economia necessitino l’uno dell’altra anche nella fase del laissez-faire, esse convivono nello stesso territorio nazionale, con logiche proprie e antitetiche. Il rapporto dialettico è evidente per quel che riguarda il territorio: ove l’uno tende a monopolizzarlo, l’altra, guidata dalla propria logica espansiva, tende a valicarlo226.

Oggi l‟autosufficienza economica è messa in crisi da quella globalizzazione veicolata proprio dall‟economia globale e globalista, e determina l‟accentuarsi della crisi cui lo Stato è andato incontro, nella quale si trova immerso e dalla quale potrà forse

224 Z. BAUMAN – Homo consumens – Edizioni Erickson, Gardolo (TN), 2007, pag 65. 225 Ibidem.

uscire solo ricercando un nuovo ruolo e una nuova importanza e funzionalità all‟interno del panorama mondiale così cambiato nel corso di poco meno di un secolo.

In particolare, per quello che riguarda il nesso tra Stato nazionale ed economia, possiamo dire che i pubblici poteri si sono sempre occupati di fatti economici tentandone la regolazione in ogni fase della storia, d‟altronde è anche vero che l‟affrancamento dall‟Ancien Régime e l‟evoluzione verso forme democratiche di governo sono state volute a gran voce da quella che fin dagli albori della storia moderna si è posta come la nuova classe sociale emergente, la nuova borghesia mercantile e capitalistica.

Nell‟Europa dell‟XI secolo, dopo un periodo di grande sottosviluppo seguito al crollo dell‟Impero romano, nasce un grande centro economico e mercantile che rende necessaria l‟emanazione di norme per la disciplina delle attività economiche.

Queste norme giuridiche, che vanno sotto il nome di “Lex mercatoria”, sono emanate nel momento di passaggio dall‟economia feudale e curtense all‟economia di scambio allorché si forma una classe mercantile borghese e cittadina che assume un rilievo economico e politico tale da riuscire a creare questo insieme di leggi senza l‟intervento della società politica.

Queste norme regolano il diritto dei mercanti e dei loro scambi, mentre l‟azione dei controlli pubblici si concentra sulla qualità dei prodotti, (…) la purezza del

vino, gli ingredienti del pane, la composizione delle candele per l’illuminazione, la modalità di cottura delle tegole e dei mattoni, ecc.227così come al controllo dei prezzi e alla disciplina dell‟accumulo delle scorte indotti dallo spettro delle carestie che sempre aleggiava in quel momento storico.

Nel periodo a cavallo fra il XVI e il XVIII secolo, con la formazione degli Stati nazionali le classi mercantili vedono accrescere il loro ruolo, in particolare si viene a creare un nesso biunivoco fra autorità statale e interessi dei mercanti: questi ultimi,

essendo assai influenti nel governo dello Stato, ottengono un intervento pubblico molto intenso e a loro favorevole228e che nel corso dei secoli si estende progressivamente con il moltiplicarsi di autorizzazioni, licenze, patenti, concessioni. L‟espansione delle misure pubbliche di regolazione dell‟economia è derivata in gran parte dalle

227 M. D‟ALBERTI – Poteri pubblici, mercati e globalizzazione – Il Mulino, Bologna, 2008, pag. 16. 228 Ivi, pag. 18.

sollecitazioni che le classi mercantili hanno rivolto ai governi nei vari Stati nazionali in un contesto che non poneva limiti a tale intervento almeno fino al Settecento, quando inizia ad affermarsi l‟etica individualista e viene posta in primo piano la libertà delle persone.

Anche allora però, pur nel riconoscimento che il commercio è espressione

di “legittima libertà”(…), la più compiuta affermazione giuridica della libertà economica non osta ad una regolazione pubblica estesa e intensa, (…). Per libertà di commercio non si deve intendere quella di esser permesso ai negozianti il trafficare senza regola alcuna di misura229. Dunque la legittima libertà economica può e deve

essere in equilibrio e in armonia con l‟interesse pubblico; non solo tollera, ma richiede la regolazione delle autorità pubbliche.

Solo nell‟Ottocento Benjamin Constant leverà la voce contro l‟intervento dell‟autorità in nome dell‟indipendenza individuale, sottolineando che i progressi della

civiltà, i cambiamenti introdotti dal passare dei secoli impongono all’autorità un maggiore rispetto per l’indipendenza degli individui che deve portare ad una mano più prudente e leggera230, anche se la regolazione pubblica continuerà ad essere importante fino all‟epoca attuale.

Solo gli Stati Uniti, all‟indomani della guerra d‟indipendenza, hanno seguito la strada della forte astensione dei pubblici poteri in materia economica facendo della proprietà privata uno dei pilastri del loro nuovo sistema economico e giuridico.

Sarà soltanto nel XIX secolo che nella Vecchia Europa si faranno largo le idee liberali e liberiste sebbene contraddette da idee favorevoli al collettivismo e al socialismo; contrapposizione che porterà, all‟indomani della Seconda guerra mondiale, alla divisione del mondo in due blocchi contrapposti e ostili che porterà, comunque ad un ampliamento della pianificazione economica generale.

Alla fine del XX secolo si apre una nuova fase, tutt‟ora in corso, che vede, a fianco della crisi dell‟istituzione statale, la crisi dell‟idea stessa di intervento pubblico nell‟economia. Ma su tutto impera, ancora una volta, l‟ombra della globalizzazione che rimette in discussione sia lo Stato come istituzione, sia l‟economia nazionale o

229

A. GENOVESI – Lezioni di commercio o sia d’economia civile (1768) – Bassano, Tipografia Remondiniana, 1803.

230 B. CONSTANT – La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni (1819) - Einaudi, Torino,

nazionalizzata, sia l‟economia di mercato, sia le reciproche interazioni fra Stato ed economia. Solo il Capitale mantiene un indiscutibile potere di piegare ogni altra cosa al suo servizio: in nome del capitale lo Stato si perde nell‟identificazioni di quelli che erano i suoi confini che il capitale stesso non rispetta più; l‟economia nazionale non ha più alcun significato né serve all‟accrescimento del potere statale; il capitale rappresenta ormai soltanto una minaccia mortale ad ogni tentativo dello Stato di proteggere i mercati nazionali proprio a causa della sua infallibile arma, la possibilità cioè di

trasferirsi da un giorno all’altro là dove le autorità locali non si illudono di governare la vita economica e non sono tanto presuntuose da dettarne le condizioni231.

La globalizzazione dunque porta con sé una profonda crisi dello Stato, crisi dovuta, come si è visto, a motivi interni quanto esterni ma comunque ugualmente importanti. La corsa dello Stato sembra proiettata verso la fine di un‟istituzione nella sua accezione storica rimanendo padrone di funzioni residuali: di pari passo alla

riduzione delle spese per l’assistenza sociale pubblica e privata, crescono fatalmente i costi di polizia, prigioni, servizi privati di sicurezza, guardie armate a difesa di cose e persone, sistemi d’allarme per case, uffici e automobili232

; tutto questo ripropone il cinismo della prima era moderna e la spietatezza verso coloro che non hanno nulla in una sempre più profonda divisione tra ricchi e poveri senza che alcuna istituzione possa fare nulla dall‟alto.

L‟ampliamento della libertà personale va di pari passo con la riduzione delle forme istituzionali di libertà, senza tener conto però del fatto che la restrizione di

libertà degli esclusi non aumenta la libertà dei rimanenti, mentre toglie loro gran parte della sensazione di sentirsi liberi e della capacità di godere la vita233.

231 Z. BAUMAN – Il disagio della postmodernità – op. cit. - pag. 246. 232 Ivi, pag. 263.

2.1.4 LA CRISI ECONOMICA ED IL RUOLO DELLO STATO NAZIONALE

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