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L’evoluzione della scienza psichiatrica e la risposta del sistema normativo

Lo stato di interdizione con il quale si privarono le persone affette da patologie psichiche della capacità di agire, estromettendole, così, da qualsiasi dimensione del fare218, segnò il panorama giuridico italiano per oltre cinquant’anni.

I portati di matrice ottocentesca della l. n. 36 del 1904, rafforzati dalla teorizzazione socio-politica di matrice fascista e sorretti dalle disposizioni del Codice Rocco, restarono in vigore fino alla fine degli anni settanta, consolidando il trattamento carcerario in uso negli istituti manicomiali219.

L’attenzione che il legislatore rivolse al problema della salute fu, infatti, circoscritto quasi esclusivamente alla sfera della pubblica sicurezza verso la quale si concentrarono i maggior interventi normativi220, riserbando invece al singolo individuo quasi un assolto silenzio.

Neanche l’avvento della Costituzione riuscì, tramite la consacrazione dei principi fondamentali, a risollevare le arcaiche impostazioni normative.

La portata dell’ art. 32 1° comma Cost., con il quale si consacrò la salute come un diritto fondamentale dell’uomo, tardò a essere colta nella sua essenza tanto dalla dottrina che dalla giurisprudenza, che si

218

Cfr. S. Delle Monache, op.cit.; 219

Cfr. S. Rossi, La salute mentale tra libertà e dignità. Un dialogo costituzionale, Milano, 2015;

220In questa prospettiva il R.D. del 27 Luglio 1934, n. 1265 con il quale si approvò il T.U. delle leggi sanitarie; il T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, R.D. 18 giugno 1931, n. 773; il D.M. 23 aprile 1940, recante “Disposizioni sanitarie concernenti le malattie

infettive e diffusive” (abrogato con l’art. 4 del D.M. 5 luglio 1975); il D.M. 5 febbraio

1944 n.23, circa “L‟obbligo della spedalizzazione di ammalati affetti da malattie

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limitarono ad attribuirgli un mero valore programmatico con portata limitata alla sfera collettiva221.

Negli stessi anni in cui in Italia si consolidava lo stigma dell’esclusione e dell’abbandono, nel resto del mondo iniziò a diffondersi una diversa e nuova concezione della follia, i cui maggiori rappresentanti furono l’americano Thomas S. Szasz e l’inglese R. D. Laing, che diedero vita al movimento della c.d. antipsichiatria222

.

In Italia, verso l’umanizzazione dell’istituto manicomiale, si focalizzò l’attenzione di Franco Basaglia che, in occasione del Convegno Nazionale di psichiatria sociale tenutosi a Bologna nell’aprile del 1964, sferrò un duro attacco verso gli ospedali psichiatrici223.

Prese così avvio quella stagione di rinnovamento che travolse la psichiatria italiana e grazie alla quale si procedette, progressivamente, alla “deospedalizzazione” delle strutture e alla diffusione di un nuovo modello teorico - pratico terapeutico, volto a spostare l’attenzione dalla malattia alla persona e alla sua sofferenza224.

Con il diffondersi delle nuove impostazioni terapeutiche, anche sul piano giuridico si assistette all’inizio di una lunga stagione di riforme che interessò, in breve tempo, l’intero panorama europeo225.

A differenza degli altri paesi, ove la riforma investì quasi contestualmente tanto il settore pubblicistico che quello privatistico, l’ordinamento giuridico italiano attuò tale evoluzione solo in modo parziale.

221M. C. Cherubini, voce Diritto alla salute, Digesto online tratto dal sito: www.studiolegale.leggiditalia.it, 1990; Per un’analisi più dettagliata in merito alla lettura fornita dalla giurisprudenza dell’art. 32 Cost. si rimanda a G. Ceccherini – M.L. Loi – M. Santilli, L‟art. 32 nella giurisprudenza costituzionale, in F.D. Busnelli – U. Breccia (a cura di), Tutela della salute e diritto privato, Milano, 1978;

222

M. Recalcati, Introduzione alla psicoanalisi contemporanea. I problemi del dopo

Freud, Milano, 2003, p. 181: ‹‹Abbiamo parlato di “antipsichiatria” perché gli autori citati, in varia misura, negato tutti […] un senso alla definizione di “malattia mentale”, traducendola in termini di mito, di ribellione o di esperienza mistica››;

223

Cfr. R. Piccione, Il futuro dei servizi di salute mentale in Italia, Milano, 2009; 224Cfr. O. Pivetta, op.cit.;

225Cfr. R. Pescara, Tecniche privatistiche e istituti di salvaguardia dei disabili

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Se da un lato, infatti, il movimento riformatore condusse all’emanazione di leggi che capovolsero drasticamente l’impianto custodiale, dall’altro lasciò intatti gli istituti predisposti a protezione del maggiorenne incapace di matrice codicistica la cui disciplina segnò, ben presto, una profonda distanza con la nuova formulazione elaborata in merito alla malattia mentale226.

La fine dell’indifferenza legislativa verso la malattia psichica si consacrò con l’emanazione della l. n. 431 del 18 marzo 1968, in materia di “Provvidenze per l‟assistenza psichiatrica”.

Pur non realizzando una riorganizzazione generale del settore, la l. n. 431 del 1968 incise in modo rivoluzionario sui meccanismi di ammissione dei malati introducendo, all’art. 4, il ricovero volontario.

Non più concepito come uno strumento punitivo di segregazione ma, al contrario, solo come un mezzo con il quale neutralizzare l’esteriorizzazione della malattia, la legge rappresentò il passaggio normativo dalla fase custodiale a quella più propriamente terapeutica227.

In questa direzione si collocò anche l’abrogazione dell’art. 604 del vecchio c.p.p. ad opera dell’art. 11 della l. 431/1968, con il quale venne meno l’obbligo di annotazione dei provvedimenti di ricovero/dimissioni dall’ospedale psichiatrico nel casellario giudiziario, nonché l’istituzione dei centri di igiene mentale (C.I.M.) ad opera dell’art. 3, con i quali si consentì agli operatori di uscire nel territorio e sperimentare nuove tecniche228.

226Ivi, p. 758;

227

L. Bruscuglia, op.cit., p. 12, in particolare in nota 15 si evidenzia come: ‹‹La l. in

questione non costituisce che uno stralcio di un ampio disegno di legge (n.2422) sulla ‹‹Assistenza psichiatrica e sanità mentale›› articolato in 59 disposizioni ricomprese in otto titoli (principi generali, igiene e profilassi mentale, assistenza ospedaliera, ammissioni e dimissioni, trasferimenti, programmazione ospedaliera psichiatrica); Sul

punto anche S. Rossi, op.cit., p.198, in cui si sottolinea, in questa prospettiva, il mutamento lessicale introdotto dalla legge in esame: ‹‹[…] all‟art. 1 non ci si riferiva

più ai manicomi, adottando la diversa dizione “ospedali psichiatrici”, così l‟oggetto della cura erano i “disturbi psichici e le malattie mentali”(art.4) e non le forme di alienazione, infime, si aboliva il riferimento alla “custodia in manicomio”, lasciando spazio alle diverse forme di “assistenza sanitaria, specializzata e sociale” (art. 2)››;

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Nella direzione tracciata dalla l. n. 431 del 1968, dieci anni più tardi il legislatore compì il passo decisivo con l’emanazione della legge n.180 del 13 maggio 1978, detta anche l. Basaglia, recante “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”.

L’approvazione della legge produsse un forte squilibrio normativo soprattutto ad opera dell’art. 11 che con l’abolizione dell’art. 420 c.c. (divenuto ormai obsoleta con il venir meno dell’istituzione manicomiale) se da un lato eliminò l’automatismo incapacità/infermità, consentendo così la cura del malato nelle trame delle relazioni sociali, dall’altro consacrò la discrepanza fra gli istituti privatistici rispetto agli interventi pubblicistici229.

Intorno alla metà degli anni ottanta, con il progressivo consolidarsi dei nuovi paradigmi psichiatrici anche in campo normativo, nell’ambito della cultura dei civilisti italiani andò sempre più crescendo il disagio verso l’impostazione codicistica dedicata agli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione.

La tutela del malato non poteva che essere affrontata nella sua globalità ricomprendendovi, ora, anche il bene salute quale aspetto inseparabile della stesa230.

La riscoperta dell’art. 32 Cost., alla luce del suo rinnovato collegamento con il portato degli altri principi fondamentali consacrati nella Carta Costituzionale e suggellato anche a livello giurisprudenziale231, estese la sua portata oltre il mero ambito sanitario

229Cfr. R. Pescara, op.cit.; 230

Cfr. P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Vol.II, Roma- Napoli, 2006;

231G. Ceccherini - M.L. Loi - M. Santilli, op.cit., pp. 61-62: ‹‹Con la decisione n.247

del 23 Luglio 1974 la Corte sembra operare un recupero del significato polivalente dell‟art. 32 attraverso l‟opportuno collegamento della norma stessa con gli altri principi costituzionali […]; Cass. civ. Sez. Unite, 6 ottobre 1979, n. 5172, in CED Cassazione, 1979: ‹‹La domanda con la quale il privato chieda la sospensione di un'opera intrapresa dalla pubblica amministrazione, assumendo che questa, per effetto di esalazioni e rumori, pregiudica la salubrità dell'ambiente in cui abita o lavora, recando così nocumento al proprio benessere biologico e psichico, si ricollega ad una posizione soggettiva inquadrabile nell'ambito del diritto alla salute, che la costituzione riconosce e tutela in via primaria, assoluta, non condizionata ad eventuali interessi di

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abbracciando l’esistenza dell’individuo nel complesso dei rapporti intersoggettivi, sociali e ambientali232 .

La consacrazione del principio ivi enunciato all’interno dell’art. 1 della l. 23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, suggellò il rinnovamento interpretativo anche sul piano legislativo233.

In questo generale contesto di rinascita, suffragato dalla riscoperta dei valori costituzionali, ad essere duramente messo in discussione fu proprio il modello dell’incapacità legale.

In primo luogo si rilevò l’eccessiva risposta messa in atto dal rimedio ablatorio della capacità.

Volta a immunizzare il patrimonio dell’incapace a favore dei familiari, l’interdizione finiva per privare l’individuo dei diritti fondamentali della persona234.

Sul piano degli effetti, si avvertì l’esigenza di limitare l’operatività delle norme ablatorie all’ambito dei soli negozi a contenuto patrimoniale.

Le situazioni esistenziali infatti, se da un lato non ammettono la loro rappresentanza legale, dall’altro si caratterizzano proprio per la loro identificazione con l’essenza stessa del valore235.

‹‹Attribuire ad un soggetto l‟astratta titolarità senza concedergli la possibilità di esercitarle, significa non soltanto non riconoscergli la capacità, ma negargli la stessa soggettività […]236››.

ordine collettivo o generale, e, quindi, anche nei confronti dell'amministrazione medesima[…]››; Corte cost., 26 luglio 1979, n. 88, in CED Cassazione, 1979: ‹‹Il bene della salute è direttamente tutelato dalla Costituzione (art. 32), non solo come interesse fondamentale della collettività ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo, pienamente operante nei rapporti fra privati e risarcibile indipendentemente da qualsiasi riflesso sull'attitudine del danneggiato a produrre reddito››;

232

Cfr. P. Perlingieri, op.cit..;

233Statuisce infatti l’art. 1, 1 comma della l. n.833 del 1978: ‹‹La Repubblica tutela la

salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana››;

234Cfr. R. Pescara, op.cit.; 235Cfr. G. Lisella, op.cit.; 236Ivi, p. 80;

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In secondo luogo il requisito dell’abituale infermità mentale, nella sua rigida formulazione, non permetteva di restituire una fotografia esauriente delle molteplici forme entro le quali il disturbo psichico può palesarsi237.

Come sottolineato da autorevole dottrina, la lentezza e la macchinosità che caratterizzava i procedimenti di interdizione e di inabilitazione avevano reso tali istituti sostanzialmente irrevocabili, risultando del tutto inadatti per quelle ipotesi in cui, invece, le necessità del soggetto richiedevano solo un intervento temporaneo238

.

Sempre sul piano procedimentale si ravvisò, inoltre, l’ingiustificata assenza in capo al giudice di qualsiasi margine di discrezionalità in merito alla gradualità dell’istituto da adottare239.

L’insoddisfazione verso gli istituti privatistici contenuti nel Tit. XII del Libro Primo del c.c. generò, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, una serie di proposte di riforma fra le quali spiccò quella formulata da un gruppo di studiosi coordinati dal prof. Paolo Cendon240, la c.d. bozza Cendon.

Tale proposta delineava un impianto normativo completamente nuovo, in grado non solo si prestare sostegno e assistenza ai soggetti maggiorenni in difficoltà ma anche, e soprattutto, di attuare tale forma di protezione limitando al minimo la capacità d’agire dell’interessato241.

Si propose così non solo l’inserimento di una nuova misura di protezione, l’amministratore di sostegno, ma anche la rivisitazione globale dell’intero impianto del Titolo XII.

In questa linea si ipotizzò di riformare anche la disciplina dettata in tema di validità degli atti ed, in particolare, l’operatività dell’istituto dell’inabilitazione, ritenuto insufficiente ad assicurare adeguata

237Cfr. P. Baccarani, L‟amministratore di sostegno, Milano, 2006; 238Cfr. M. De Acutis, C. Ebene, P. Zatti, op.cit.;

239

Ivi, p. 133;

240Cfr. P. Cendon, La follia non si addice ai convegni, G. Ferrando – G. Visitini (a cura di), Follia e Diritto, Torino, 2003;

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protezione alla persona disabile in quelle ipotesi che prevedevano il compimento di atti verso i quali l’individuo non voleva o non poteva porre in essere242.

Letto dalla giurisprudenza prevalentemente come strumento volto a tutelare in larga parte l’affidamento del terzo, l’art. 428 c.c. mostrava ‹‹un‟intonazione del tutto passiva e meramente reattiva243››.

Si propose, inoltre, di apportare alcune modifiche circa la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale dell’incapace, di rivedere le norme dettate in materia di matrimonio, si ipotizzò un diverso impianto procedimentale, nonché una diversa applicazione soggettiva dell’istituto244.

Iniziò cosi la lunga strada legislativa della nuova figura dell’amministratore di sostegno, da tempo atteso e destinato a segnare profondamente il panorama giuridico dedicato alle persone bisognose di sostegno.

Dedicato ai più deboli.

242Cfr. G. Ferrando, Le finalità della legge. Il nuovo istituto nel quadro delle misure

di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, in G. Ferrando – L.

Lenti (a cura di) Soggetti Deboli e misure di protezione. Amministrazione di sostegno e

interdizione, Torino, 2006;

243Ibidem, p.11; 244Ibidem;

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CAPITOLO SECONDO