Seguendo le esperienze giuridiche precedenti, anche il Codice civile del 1942 fondò il sistema dell’incapacità sulla macrodistinzione fra incapacità legale e incapacità naturale, all’interno della quale trovò sistemazione la tutela dedicata al minore e al maggiorenne incapace199.
Per quest’ultimo, in particolare, il sistema di protezione si articolò nelle figure contigue dell’interdizione e dell’inabilitazione che, ereditate senza rilevanti modifiche dal Codice civile del 1865, si caratterizzarono per una rigida disciplina sia sul piano della pronuncia che su quello degli effetti.
Lo schema originario, delineato dagli artt. 414 e 415 c.c., subordinava l’accesso agli istituti protettivi alla pronuncia di interdizione o inabilitazione, che doveva obbligatoriamente seguire al sorgere di una causa incapacitante in grado di incidere sulla capacità del soggetto di attendere ai propri interessi.
L’impostazione che regolava l’intero sistema del Tit. XII rispondeva ad una rigida logica patrimoniale che, sulla base della ‹‹concezione dei rapporti tra persona e ordinamento espressa nella nozione del “soggetto di diritto”200
, era funzionale a salvaguardare la certezza e la stabilità dei traffici giuridici201
.
199
Cfr. S. Delle Monache, Dell‟amministrazione di sostegno, in Comm. c.c., a cura di L. Balestra, Milano, 2009;
200M. De Acutis, C. Ebene, P. Zatti, La cura degli interessi del malato. Strumenti di
intervento organizzato e occasionale, in F. D. Busnelli – U. Breccia (a cura di), Tutela della salute e diritto privato, Milano, 1978, p. 105;
201Ibidem: ‹‹Tale figura [quella del “soggetto di diritto”]esprime quindi il cardine del
diritto privato come diritto ‹‹dei beni e della loro circolazione››, in cui la disciplina e gli strumenti di intervento vanno oltre lo scopo di garantire la regolarità e l‟efficienza del traffico. Se dunque ‹‹soggetto›› è il protagonista dello scambio, si comprende come il giudizio di idoneità alla partecipazione al traffico economico abbia il primato nella valutazione generale della capacità, e si orienti a criteri di certezza più che concreta attenzione alla persona, risolvendosi infine in un giudizio di inidoneità all‟attività giuridica nel suo complesso. Il problema della sorte dell‟incapace si concentra così in quello della sorte dei suoi atti giuridici, secondo una prospettiva che sintetizza e riduce nell‟attività negoziale il ruolo del soggetto come protagonista attivo delle relazioni che a lui fanno capo››;
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Come sottolineato da autorevole dottrina, l’assenza nelle disposizioni in oggetto di una rilevanza al dato patologico in generale, confermava la volontà dell’ordinamento di predisporsi di strumenti atti ad escludere quanto prima il soggetto dalle attività giuridiche, piuttosto che creare un sistema volto a modellarsi sulle singole e mutevoli esigenze protettive202
.
Seguendo la prospettiva patrimoniale un ruolo rilevante giocò l’impostazione conferita al requisito dell’infermità mentale che restò, almeno secondo l’impostazione legislativa, priva di una specifica definizione nosologica.
Il vuoto normativo fu colmato dalla ricca prassi giurisprudenziale che, prodottasi all’indomani della pubblicazione del Libro I del Codice civile, giunse a darne una nozione dai confini molto ampi203.
Si ritenne, pertanto, che per integrare il requisito dell’infermità mentale non fosse necessaria l’esistenza di una tipica malattica mentale in grado di abolire l’effige umana ma, al contrario, si ritenne sufficiente che dall’alienazione ne derivasse un’alterazione delle facoltà mentali tali da offuscare l’intelletto del soggetto204.
L’aspetto rilevante, ai fini dell’applicazione o meno dell’interdizione o dell’inabilitazione, non era tanto la sussistenza di una qualche alterazione psichica quanto piuttosto l’incidenza della stessa sulle capacità gestionali del soggetto205.
202Ibidem;
203Cfr. G. Lisella, op. cit.; 204Ivi, p. 45;
205
Cfr. Cass. civ., 19 giugno 1962, n. 1573, in Massima redazionale, 2010: ‹‹Per
legittimare il provvedimento di inabilitazione è sufficiente che sia stabilita la esistenza di un pericolo attuale, desumibile da manifestazioni morbose di atti pregiudizievoli al patrimonio dell'inabilitando››; Cass. civ., 8 luglio 1976, n. 2553, in Mass. Giur. It.,
1976: ‹‹Presupposto necessario per l'inabilitazione e l'interdizione di un infermo di
mente non è l'esistenza di una tipica malattia mentale, con caratteristiche patologiche ben definite, bensì la presenza di un'alterazione delle facoltà mentali, tale da dar luogo ad una incapacità parziale o totale di provvedere ai propri interessi››;
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Fra incapacità intellettiva e interdizione/inabilitazione non vigeva, quindi, alcun automatismo se non se ne ravvisava un nocumento per il patrimonio del soggetto interessato206.
All’abituale infermità mentale, intesa come la condizione costituente ‹‹normalmente lo stato patologico psichico di quella persona››207, derivava la necessaria interdizione giudiziale208 che calava sul soggetto uno stato di assoluta incapacità legale al pari del minore.
Giurisprudenza e dottrina accolsero, infatti, un significato molto ampio del termine “interessi” ricomprendendovi non solo gli atti di natura eminentemente patrimoniale, ma in generale tutti gli atti della vita civile209.
All’interdetto fu quindi preclusa la possibilità di concludere negozi giuridici, eventualmente posti in essere nel suo nome e nel suo interesse dal tutore, nonché contrarre matrimonio (art. 85 c.c.), stare in giudizio (art. 75 c.p.c.) o rispondere del danno cagionato a terzi.
In presenza di una stato di infermità mentale meno grave210, di prodigalità211, o in caso di abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti tali
206
Cfr. A. Venchiarutti, La protezione civilistica dell‟incapace, Milano, 1995; Cfr. Cass. civ., 7 aprile 1972, n. 1037, in Foro It., 1972, 1, p. 2467: ‹‹Per farsi luogo a
pronuncia di inabilitazione, occorre che sia assodata l'esistenza di un pericolo di atti pregiudizievoli al patrimonio dell'inabilitando e, pertanto, deve essere accertata la sussistenza di interessi economici da curare››;
207Cfr. A. Venchiarutti, op.cit., p. 36;
208All’interdizione giudiziale, alla quale sono sottoposti i maggiori di età o i minori emancipati per dichiarazione del tribunale a causa della loro abituale infermità mentale, va distinta la c.d. interdizione legale che colpisce, invece, le persone condannate irrevocabilmente alla pena dell’ergastolo o per delitto non colpo, alla reclusione per un tempo non inferiore ai cinque anni.
209Cfr. Cass. civ., 8 luglio 1976, n. 2553, in Mass. Giur. It., 1976: ‹‹[…]
l'accertamento, in concreto, dell'esistenza e della misura della suddetta alterazione è riservato al giudice del merito, il quale deve aver riguardo non solo agli affari di indole patrimoniale, ma anche a tutti gli atti della vita civile, nelle sue espressioni giuridicamente rilevanti (cura della persona, adempimento di doveri familiari e pubblici, ecc.)››;
210Cfr. Cass. civ., 2 marzo 1971, n. 522, in Foro It., 1971, 1, p. 1606: ‹‹Il grado e
l'intensità della malattia mentale necessaria per la pronunzia di inabilitazione sono inferiori a quelli richiesti per l'accertamento dell'incapacità naturale, la quale, pur non dovendo essere totale, deve tuttavia presentare un particolare carattere di gravità, pari a quello necessario per la pronuncia di interdizione››;
211Cass. civ., 13 marzo 1980, n. 1680, in Giur. It., 1980, I, 1, p. 966, secondo cui lo stato di prodigalità poteva condurre ad una pronuncia di inabilitazione ‹‹qualora il
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da recare a sé e alla loro famiglia gravi pregiudizi economici (art. 415, 2°c. del c.c.) derivava invece la necessità di inabilitare il soggetto, che era così legalmente equiparato alla condizione del minore emancipato, e a cui era affiancato la figura di un curatore.
La portata meno ingerente dell’inabilitazione portò la dottrina a considerarla come una sorte di interdizione limitata sia nell’estensione, che nell’intensità212
.
Il diffondersi e il perfezionarsi di nuove pratiche terapeutiche e mezzi tecnici, permisero al legislatore del 1942 di porsi in una prospettiva nuova e diversa verso i sordomuti e ciechi dalla nascita, intervenendo sull’abolita disciplina codicistica.
Secondo quanto statuito dal nuovo art. 415 c.c. 3°comma, costoro potevano essere inabilitati nelle ipotesi in cui non avessero ricevuto un’educazione sufficiente, o essere interdetti se incapaci di provvedere ai propri interessi.
In merito al requisito dell’educazione è intervenuta la giurisprudenza che, nelle rare pronunce in cui si occupò della questione, affermò che tale elemento doveva intendersi come l’acquisto di un minimo di notizie tali da fornire ai soggetti una sufficiente facoltà di autogoverno213.
ripetersi di spese disordinate nonché sproporzionate alla consistenza patrimoniale della persona medesima, sia riconducibile non a una mera cattiva amministrazione, ovvero incapacità di impostare e trattare vantaggiosamente i propri affari, bensì ad una alterazione mentale, che escluda o riduca notevolmente la capacità di valutare il denaro, di risolvere problemi anche semplice di amministrazione, di cogliere il pregiudizio conseguente allo sperpero delle proprie sostanze››; Cass. civ. sez. I, 3
dicembre 1988, n. 6549, in Dir. Fam. e pers., 1989, II, p. 58: ‹‹La prodigalità
contemplata dall'art. 415, 2° comma, c. c. quale causa di inabilitazione (ove concorra un'esposizione dell'inabilitando o della sua famiglia a gravi pregiudizi economici) esprime una tendenza allo sperpero, per incapacità di apprezzare il valore del denaro, per frivolezza, vanità od ostentazione; la prodigalità non è pertanto ravvisabile, agli effetti di cui alla norma predetta, in caso di inettitudine agli affari, la quale indica solo spirito lucrativo e ricerca di guadagno non sorretti da adeguate attitudini››;
212Cfr. A. Venchiarutti, op.cit.; 213
Cass. civ., 15 maggio 1959, n. 1432, in Giust. Civ., 1959, I, p. 976: ‹‹La
"educazione sufficiente", alla cui mancanza l'art. 415 c.c. fa riferimento per consentire l'inabilitazione dei ciechi fin dalla nascita, deve essere intesa nel senso di acquisizione di quelle notizie e di quei concetti del mondo esteriore che avviene in maniera naturale
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Molta incertezza ruotava, invece, intorno ai lucidi intervalli: nel silenzio del codice maggior interesse fu mostrato dalla giurisprudenza, propensa comunque a non impedire la pronuncia di interdizione durante i momenti di lucidità.
La corrente dominante riteneva, infatti, che il responso attestante uno stato di infermità mentale non poteva subire successive alterazioni e modifiche in seguito all’accertamento di pause di benessere214
.
Lo schema originario secondo cui erano impostati gli istituti di protezione si fondava, quindi, sulla presunzione di incapacità del soggetto, da cui conseguiva l’invalidità di tutti gli atti dell’interdetto/inabilitato al di fuori dello schema di sostituzione/assistenza del tutore/curatore.
Sul piano operativo della tutela, l’intento di ricostruire i compiti affidati al tutore in merito alla cura personale dell’interdetto incontra l’ostilità del panorama normativo, al riguardo non lineare e lacunoso.
La ricostruzione per relationem offerta alla tutela dell’interdetto dal dettato codicistico non era in grado, infatti, di offrire una disciplina completa e soddisfacente.
Per quanto l’equiparazione operata dall’art. 424 c.c. consentisse di estendere a quest’ultimo le disposizione regolanti la gestione
e spontanea per tutte le persone di normali condizioni fisiologiche e che non è dato ai ciechi dalla nascita di apprendere in via diretta ed immediata a causa della loro minorazione sensoria, e non nel senso di una particolare educazione, che sia tale da poter supplire alla deficienza del senso della vista››; App. Ancona, 14 marzo 1957, in Massima redazionale, 2010: ‹‹Per la sufficiente educazione, alla quale l'art. 415 c.c. subordina la presunzione di piena capacità per i ciechi dalla nascita, si deve intendere quella che è possibile conseguire anche senza l'ausilio della vista nel normale svolgimento della vita familiare e sociale, mediante lo scambio di idee con i propri simili, in maggiore o minore misura avvantaggiato dall'ambiente che lo circonda; di conseguenza il concetto di educazione è diverso da quello di istruzione, per cui è del tutto irrilevante ai fini dello stesso che al cieco non sia stato insegnato il sistema di scrittura››;
214Cfr. A. Venchiarutti, op.cit.; In questa prospettiva anche: Cass. civ., 20 novembre 1985, n. 5709, in Mass. Giur. It., 1985: ‹‹L'interdizione e l'inabilitazione, ai sensi
degli art. 414 e 415 c. c., postulano un'infermità di mente che presenti carattere di abitualità, cioè di durata nel tempo tale da qualificarla come habitus normale del soggetto (ancorché in presenza di lucidi intervalli), e che inoltre incida sulla capacità del soggetto medesimo di provvedere alla cura dei propri interessi […]››;
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amministrativa/patrimoniale sancite per il tutore minorile, un vuoto normativo accompagnava la persona dell’interdetto.
La condizione soggettiva dell’interdetto non poteva essere paragonata in alcun modo a quella del minore.
Mentre per quest’ultimo, infatti, sono solite presentarsi esigenze di carattere educativo, volte a conferire al fanciullo le idonee basi conoscitive funzionali al suo inserimento nel mondo sociale e lavorativo, per il soggetto interdetto il panorama muta radicalmente.
Le esigenze che circondano il soggetto affetto da infermità mentale ruotano, fondamentalmente, sulla necessità di approntare un’assistenza idonea ad allievarlo dalla condizione che lo affligge215.
I criteri quindi applicabili per la gestione patrimoniale e, tanto più, per la cura personale dell’infermo necessitavano di ricevere una loro specifica disciplina.
Sul punto, invece, il legislatore mancò di dare una risposta normativa esauriente.
Per quanto il ruolo di tutore fosse, quasi sempre, ricoperto dai parenti o dalle persone più vicine all’interdetto, non mutando quindi radicalmente da questo punto di vista la sua situazione prima e dopo la nomina tutelare, a costoro fu concessa la possibilità di operare in un sistema privo di controlli stringenti.
Il tutore provvisorio, che nella pratica finiva spesso per essere l’unico organo di protezione per il soggetto infermo, di fatto non entrava quasi mai a contatto con il suo protetto216.
L’intero sistema normativo rispondeva, del resto, a quella logica manicomiale che affondava le sue radici nella l. n. 36 del 1904 e che non aveva subito alcun mutamento con l’entrata in vigore del codice civile del 1942.
215Cfr. U. Bisegna, Tutela e curatela, in Noviss. dig. it., XVII, Torino, 1957; 216Cfr. M. De Acutis, C. Ebene, P. Zatti, op.cit.;
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Il manicomio era diventato il simbolo di una istituzione totalizzante, entro il quale la persona perdeva ogni contatto con il mondo esterno, ogni diritto e ogni percezione della stessa essenza umana217.
217D. Iannotta – G. Martini, Strade del narrare. La costruzione dell‟identità, Torino, 2012, pp. 192 e ss.: ‹‹Cosa accadeva ai pazienti subito dopo le prime prassi
burocratiche? Il nulla, una stanza prova di oggetti e riempita solo da tavoli, panche e sedie, dove avrebbero trascorso l‟intera giornata aspettando il pranzo e la cena. […] nello stretto corridoio in cui si penetra non c‟è traccia di tecnologie audiovisive; il corridoio offre semmai una sorta di ritorno al passato […] percorrendolo si scorgono due vetrine che ospitano installazioni composte di oggetti e mobili […] nella prima vetrina abbiamo una rappresentazione della “fagotteria”, lo spazio in cui, una volta entrati, i pazienti abbandonavano i loro abiti civili per indossare la divisa istituzionale. Il nome di questo spazio traeva origine dai “fagotti” di carta da pacco, nei quali venivano chiusi gli abiti e gli effetti personali del paziente. Aveva cosi inizio un vero e proprio “rito di passaggio” che imponeva all‟individuo di abbandonare la propria identità per acquistarne una nuova. La seconda vetrina […] si tratta della stanza del medico, posta in un ordine sequenziale con la fagotteria, poiché il momento dell‟ammissione non poteva che essere formalizzato dalla diagnosi psichiatrica che il medico assegnava. […] compare ora una porta di legno con uno spioncino rotondo […] il vissuto di sofferenza esplode in tutta la sua drammaticità: si tratta, infatti, di una camera di contenzione. Appare un letto, alle cui sbarre sono legate le fasce con cui il paziente veniva bloccato; e troviamo qui anche la camicia di forza››;
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5. L’evoluzione della scienza psichiatrica e la risposta del