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3. Per una valutazione della politica socio educativa

3.2. La formazione della politica

La comprensione dei risultati ottenuti dagli interventi delle politiche socio- educative, e pubbliche in generale, dipende anche da una piena chiarezza analitica su cosa si intenda per sviluppo di una politica pubblica a livello nazionale o territoriale.

In Italia, nel linguaggio corrente e nei documenti ufficiali, per ―politica regionale‖ si intende quella parte della politica per lo sviluppo rivolta alla coesione, al riequilibrio economico-sociale, alla competitività di specifici territori. In linea con le indicazioni del Trattato dell‘Unione europea e della Costituzione italiana, l‘enfasi è quindi, sull‘intenzionalità e sull‘aggiuntività finanziaria con cui la politica è rivolta a specifiche parti o del territorio299 oppure dei beneficiari. In altri paesi europei (Gran Bretagna, Austria, Francia, Germania, ecc.), dove simile è l‘impianto concettuale e operativo, nelle forme moderne che essa ha assunto, la politica regionale viene talora denominata ―politica territoriale‖300.

La politica regionale non coincide, quindi, né con il complesso della politica di sviluppo – una larga parte di quest‘ultima viene condotta avendo a riferimento obiettivi generali nazionali e non specifici territori – né con l‘insieme degli interventi per lo sviluppo realizzati dalle Regioni – le Regioni attuano nei loro territori anche interventi di natura ordinaria, non aggiuntiva, mentre, d‘altra parte, una parte della ―politica territoriale‖ può essere attuata dall‘Amministrazione centrale. Per la politica regionale qui si intende, invece, quella parte della politica di sviluppo che si

aggiunge all‘azione ordinaria condotta sia dalla Gestione Centrale, sia dalle

Regioni, sia dalle Provincie o Comuni.

Il complesso della politica di sviluppo si articola in due distinte componenti: la ―politica ordinaria‖ (riportata talvolta nei testi di politica economica come ―politica nazionale‖) e la ―politica territoriale‖. Entrambe richiedono, allo stesso tempo, sia attenzione all‘articolazione territoriale sia di essere gestite dall‘Amministrazione centrale o dagli Enti Locali; la differenza fra le due, quindi, risiede nella finalità e nell‘origine delle risorse finanziarie che le alimentano. Per quanto concerne la prima, la finalità riguarda l‘assicurazione del massimo benessere con le migliori condizioni di contesto possibili, trascurando le differenze nei livelli di sviluppo, come se tutti i territori interessati fossero caratterizzati da ―condizioni ordinarie‖; mentre la seconda riguarda invece le risorse finanziarie assegnate, che nel caso delle politiche territoriali devono essere distinte da quelle ordinarie - a garanzia della loro aggiuntività - anche se dirette verso comuni obiettivi di competitività e giustizia sociale.

299 Cfr ―Documento strategico preliminare nazionale 2007-2013-QSN‖

300 Il termine ―territoriale‖ è anche usato dall‘OCSE per indicare questo tipo di politica. Si noti, peraltro, che con i termini ―regionale‖ o ―territoriale‖ si intende talora, con un‘accezione più estesa, ogni politica di sviluppo orientata a specifici territori, anche priva del carattere di addizionalità.

Rispetto alla distinzione e diversificazione delle politiche, la valutazione deve perseguire molteplici finalità strettamente interconnesse, cioè quali la finalità:

 conoscitiva, in base alle quale si deve consentire di acquisire dati ed informazioni sugli effetti ed i risultati delle politiche;

 di sostegno delle decisioni, volta a fornire ai decisori elementi necessari per orientare le loro scelte;

 di trasparenza, per consentire di rendere conto di quanto ottenuto e finanziatori conseguito. Ciò vale soprattutto per i finanziamenti per interventi sociali devoluti dalla Commissione Europea301 allo Stato italiano, ma anche ai partner istituzionali (p.e., titolari di funzioni di tutela sulle questioni ambientali o di pari opportunità), ai partner sociali, ad altri portatori di interessi (stakeholder) ed alla cittadinanza.

In coerenza anche con quanto richiesto dalla Comunità Europea, occorre costruire una valutazione delle politiche incentrata sui risultati, ovvero sugli outcome, e in particolare valutare ―gli effetti congiunti di diverse azioni, anche afferenti a diversi

programmi, sullo stesso territorio e sugli effettivi servizi resi dall‘azione pubblica complessivamente considerata‖302, ponendo ai valutatori ―domande circoscritte su

argomenti controversi e rilevanti‖. Inoltre, è opportuno valutare anche le azioni

intraprese in precedenti periodi di programmazione, in modo da fornire indicazioni utili per le nuove attuazioni.

3.2.2. La governance della politica

Il coordinamento delle politiche pubbliche nella società della conoscenza e dell‘informazione, caratterizzata da rapidi cambiamenti, richiede che le organizzazioni politiche istituzionali apprendano rapidamente dai risultati delle politiche attuate, laddove apprendere non significa ―accumulare nozioni‖ o informazioni, ma utilizzare l‘elaborazione della conoscenza per ridefinire obiettivi, problemi e strategie303. Ciò a sua volta richiede che tutti i soggetti partecipino ai processi di apprendimento organizzativo ―distribuendo‖ gli elementi di

301 Recentemente il tema degli effetti delle politiche e della sua valutazione si è accompagnato a quello più ampio della governance pubblica. Testimone qualificato di questa tendenza è il Libro Bianco dedicato dall‘Unione Europea proprio a questo argomento. In tale documento l‘efficacia delle politiche viene citata tra i cinque principi ispiratori di una buona governance (assieme ad apertura, partecipazione, responsabilità e coerenza). Lo stesso documento contiene anche un riferimento esplicito all‘importanza della valutazione. Il Libro Bianco sottolinea infatti come ―le politiche dell‘Unione Europea devono essere efficaci e tempestive, producendo i risultati richiesti in base a obiettivi chiari, alla valutazione del loro impatto futuro e, ove possibile, delle esperienze acquisite in passato‖. Comunicazione della Commissione, del 25 luglio 2001, « Governance europea - Un libro bianco » [COM(2001) 428 def. - Gazzetta ufficiale C 287 del 12.10.2001]. 302 Comunicazione della Commissione, Governance europea, op. cit. p.266

303Cfr. FADDA S., Governace territoriale e progettazione integrata, in DEIDDA D. (a cura di), Governance e sviluppo territoriale, Roma, Formez, 2003, p. 58.

della formazione della conoscenza come outcome delle politiche socio-educative.

147 ―conoscenza‖ in loro possesso. Questa necessità è il risultato, da un lato, del fatto che la conoscenza non è più concentrata su alcuni attori sociali privilegiati ma è distribuita nella molteplicità degli attori sociali stessi che compongono il sistema; dall‘altro lato sussiste la consapevolezza che gli elementi di conoscenza non sono tutti producibili, codificabili e trasmissibili come merci in un sistema di mercato. La possibilità della diffusione può essere peraltro ammessa solo per quegli elementi classificabili come know-what o know-why (sapere astratto, tecnico), mentre tutto ciò che è know-how e know-who (sapere pratico, ―saper fare‖), avendo un carattere tacito ed incorporato nelle relazioni interpersonali, è riproducibile e distribuibile soltanto attraverso reti comunicative e relazionali basate sulla coesione sociale e sulla partecipazione.

La distribuzione delle informazioni allora si caratterizza con le proprietà di trasversalità, imprevedibilità, ed evoluzione essenziali alle dinamiche della conoscenza e dei processi di apprendimento nei moderni sistemi complessi304. Il conoscere e l‘apprendere, che si sviluppano in sistemi organizzativi locali, sono da considerarsi pertanto come sistemi viventi, complessi ed evolutivi; in quanto tali, non sono trattabili né con i modelli lineari – ossia attraverso relazioni di proporzionalità tra le variabili indipendenti e quelle dipendenti - né con i modelli di equilibrio, dove vengono solamente definite coerenza e compatibilità dei singoli elementi con le grandezze aggregate; inoltre, i processi che si instaurano tra questi due poli non sono formati da sequenze di eventi concatenati da nessi causali di tipo deterministico, ma piuttosto di tipo evolutivo. Questa interpretazione della configurazione dei sistemi sociali ed economici concorda con le tesi sostenute nelle indagini più attuali, nelle quali viene sorpassata la sterile ricerca della definizione di una specie di fisica della società basata su consumati modelli di equilibrio, perché prospetta il sociale e l‘economia come sistemi al margine del

caos, nei quali gli individui si trovano continuamente assorbiti in manovre di

adattamento reciproco in corrispondenza di un continuo fluire degli eventi305.

Nel quadro di tale orientamento il focus dell'attenzione si concentra sull'affermazione di una forma di coordinamento di tipo reticolare che si esplicita sia mediante azioni collettive strutturate, negoziate e gestite in maniera interattiva a diversi livelli istituzionali (deliberative associations)306, sia mediante comportamenti indipendenti dal punto di vista procedurale ma sostanzialmente interattivi, configurati su patterns relazionali corrispondenti ai requisiti di conformità e alle regole sociali; una caratterizzazione di coordinamento reticolare è rappresentata dalla governance interattiva, intesa come attivazione

304 Per un approccio a questi processi basato sulle reti neurali, si veda: NOHRIA N., ECCLES R., Networks and organizations, Harvard, Harvard Business School, 1992 e ZIMAN,J.(1992).A neural net model of innovation, Science and Public Policy, n.18, pp.65-67.

305 Cfr. A

NDERSON P.W.-ARROW K.J.-PINES D., The economy as an evolving complex system,

Redwood City, Addison-Wesley Publishing Company,1988.

306 Cfr. STARK D.-BRUSZT L., Postsocialist Pathways. Transforming politics and property in East Central Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1997. In particolare pp. 111-136.

organizzazione e gestione di un network di coordinamento e di cooperazione307 con l'obiettivo di raggiungere finalità condivise. Quest'ultima può anche essere assimilata, per gli argomenti appena richiamati, ad un social communication

network, definito come reticolo di relazioni e comunicazioni sociali interattive,

all‘interno del quale la numerosità delle relazioni è consistentemente più elevata in confronto a quella realizzabile nello schema gerarchico; la rappresentazione esemplare di questa proprietà (figura 3.2.2), implica che il numero di relazioni instaurabili in un sistema gerarchico composto da quattro elementi, con A corrispondente al vertice, il numero delle relazioni possibili è tre (n – 1), mentre uno schema reticolare composto da un numero equivalente di elementi veicola un numero di relazioni pari a sei (n (n-1) / 2).

Figura 3.2.2. Composizione delle relazioni in schemi reticolari diversi.

307 Il paradigma reticolare (network) fonda i sistemi sociali ed economici come sistemi: a) complessi; b) viventi; c) evolutivi, in cui la trasmissione dell‘informazione avviene attraverso processi interattivi e relazionali e la accumulazione di conoscenza avviene attraverso processi di apprendimento continui ed evolutivi. In tali sistemi, le sequenze decisionali degli agenti non sono basate su un principio di razionalità sostantiva, ma su un principio di razionalità procedurale che conduce a scelte ―soddisfacenti‖ maturate in un percorso evolutivo. In altre parole, i comportamenti degli agenti sono il risultato di una sequenza di scelte che non possono considerarsi basate sull‘applicazione di un algoritmo di ―massimizzazione dell‘utilità‖. Tale algoritmo presupporrebbe la definizione chiara di una funzione obiettivo da massimizzare, il possesso di un‘informazione completa e una capacità computazionale del cervello umano praticamente illimitata per poter elaborare l‘intera massa delle informazioni. Se esistessero tali condizioni si potrebbe parlare di razionalità ―sostantiva‖ e di scelte ottimizzanti; ma poiché tali condizioni non esistono, gli agenti economici fanno uso nel compiere le loro scelte, come Simon ha messo in luce, di una razionalità ―procedurale‖; ossia, i consumatori e le imprese decidono sulla base degli elementi di conoscenza posseduti (conoscenza non completa) in modo da raggiungere risultati ―soddisfacenti‖. Le scelte sono quindi satisficing e non maximising. In più, tali scelte maturano in un percorso evolutivo, il che significa che non esiste una sequenza di scelte definita nella sua interezza in un momento che lasci allo scorrere del tempo il solo compito di implementazione o di esecuzione. Al contrario, ogni scelta comportamentale degli agenti modifica lo scenario complessivo e la scelta successiva va compiuta sulla base sia delle nuove conoscenze relative ad uno scenario modificato sia di nuove ipotesi strategiche, quindi in una maniera che si può definire ―evolutiva‖.

della formazione della conoscenza come outcome delle politiche socio-educative. 149 B D A A B D C C

In un siffatto sistema di reticoli, il coordinamento tra i soggetti si concretizza in massima parte per mezzo di dinamiche relazionali che convergono verso una sorta di tavole di coordinamento autopoietiche, come in realtà possiamo definire le ―istituzioni economiche‖ che regolano gli scambi tra gli agenti308. Questo significa che il coordinamento si produce non soltanto mediante l‘adesione a regole formali imposte ai singoli soggetti, ma anche attraverso l‘assimilazione di modelli di comportamento non formalizzati, determinati dall'incremento delle interazioni tra i soggetti e condivisi mediante un processo di apprendimento collettivo.

La tabella successiva riassume gli elementi essenziali che si evidenziano dal confronto tra le dimensioni del coordinamento e i diversi meccanismi tipologici di

governance:

Tabella 3.2.2 Dimensioni del coordinamento e meccanismi di governance309

308 Si parla qui di ―istituzioni economiche‖ intese come modelli che effettivamente regolano il comportamento degli agenti, e non come ―istituzioni amministrative‖. Cfr. FADDA S., Does the Change of Economic Institutions Require a Change in Values?, Università Roma Tre, Dipartimento di Economia, W.P. n. 28 2002. È utile richiamare a questo proposito la nozione di ―regimi istituzionali‖ avanzata da Krasner: ―regimes can be defined as sets of implicit and explicit principles, norms, rules and decision making procedures around which actors‘ expectations converge… Principles are beliefs of fact, causation and rectitude. Norms are standards of behaviours defined in terms of rights or obligations. Rules are specific prescriptions or prospcriptions for action. Decision-making procedures are prevailing practices for making and implementing collective choices‖ (KRASNER S., Structural causes and regime consequences: regimes as intervening variables, in KRASNER S., International Regimes, Ithaca, Cornell University

Press, 1983, p. 2).

309 FADDA S., Governance territoriale e progetti integrati, Roma, Formez, Documento di lavoro, 2005

3.3. I caratteri della valutazione della politica socioeducativa