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2. Il quadro di riferimento

2.2. Le teorie del cambiamento

2.2.1. I modelli valore-aspettativa

Le teorie e i modelli principali che appartengono a questa prima sezione partono dal presupposto che le determinanti del comportamento, e le decisioni fra linee di azioni diverse, si fondano primariamente su due tipi di valutazioni cognitive: probabilità e percezione soggettiva che una data azione conduca a un‘insieme di risultati; valutazione dei risultati dell‘azione (con l'assunzione il soggetto decida di seguire tra le varie linee di azione possibili quella con maggiore probabilità di esito positivo).

Ad esempio, la teoria della motivazione a proteggersi109 evidenzia come i processi cognitivi ricoprano un ruolo decisivo per il cambiamento di atteggiamenti e comportamenti, e, nello stesso tempo, pone in risalto il ruolo centrale della

percezione di vulnerabilità. Infatti, le informazioni e la logica comunicativa che

sottendono gli interventi di politica sociale sostengono spesso una tipologia di messaggi che fanno leva sulla paura (scare approach), soprattutto nel caso di progetti legati alle tematiche degli stili di vita positivi e dei comportamenti propedeutici al miglioramento della salute. (ad esempio alcune campagne sull'abuso di droga, promosse dal Ministero della Salute, spesso trasmessi attraverso il mezzo televisivo).

108 Vedi Capitolo 4.

109 M

ADDUX J.E. - ROGERS R.W., Protection Motivation and Self efficacy: A revised theory of fear

appeals and attitude change in Journal of Experimental Social Psychology, Elsevier, 19(1983)5, 469-479.

della formazione della conoscenza come outcome delle politiche socio-educative.

In base a questa prospettiva, la motivazione ad adottare un qualunque comportamento salutare dipende da tre variabili:

- la percezione di gravità di un evento dannoso;

- la stima soggettiva circa l‘eventualità che l‘evento si verifichi (percezione

della suscettibilità);

- l‘efficacia della risposta consigliata per prevenire l‘evento dannoso.

La combinazione di queste tre variabili determina il verificarsi della motivazione a

proteggersi110, in base alla quale si stabilisce un'intenzione ad agire in modo adattivo o disadattavo; l'intensità di tale intenzione riflette il grado di motivazione a proteggere la propria salute.

In una revisione della teoria, Rogers111 include ulteriori determinanti a scapito delle tre inizialmente individuate e riduce l‘importanza della loro combinazione lineare. L'elemento più interessante introdotto da questa modifica è la nozione di ostacolo (costo della risposta), derivato dal modello delle credenze sulla salute (Health

Belief Model)112 e desunto dalla riflessione sugli incentivi legati alle risposte ―disadattive‖ (per un tossicodipendente sono ostacoli, ad esempio, l'interesse e il desiderio di continuare a frequentare determinati luoghi o persone che però possono indurre al consumo di droga, oppure il dispendio di tempo e fatica necessari per sottoporsi agli esami di controllo o alle cure mediche). Anche il concetto di autoefficacia (self-efficacy), che si riferisce alla convinzione che una persona ha di riuscire a portare a termine o meno una determinata azione113, è introdotto per legare la capacità di affrontare la situazione al sostegno delle azioni che l'individuo compie per proteggersi dal pericolo. Pertanto la motivazione a proteggersi si traduce in termini concreti come intenzione a mettere in atto comportamenti protettivi o evitare comportamenti dannosi per la salute.

Questa versione del modello che riunisce alcuni dei concetti chiave dell'approccio delle credenze sulla salute (vulnerabilità ed efficacia della risposta) e del concetto

110 S

TROEBE W. - STROEBE M.S., Psicologia sociale e salute [Social psychology and health,

Buckingham, Open University Press, 1997], Bertini M., Milano, McGraw-Hill, 2000.

111ROGERS R.V., Cognitive and physiological processes in fear appeals and attitude change: A revised theory of protection motivation. in Cacioppo J.T. - Petty R.E. (a cura di), Social psychophysiology: A source book, Guilford Press, New York, 1983, pp.153-76.

112 Questa teoria elaborata da Rosenstock (1966) e successivamente modificata da Becker si riduce in realtà ad un'associazione di variabili che si ritiene abbiano un'influenza sul comportamento; la mancanza di una descrizione del modo in cui queste variabili intervenienti si strutturano e delle relazioni intercorrenti tra loro riduce di molto la portata esplicativa del modello. Cfr ROSENSTOCK I.M., Historical origins of the health belief model, in Becker M.H. (a cura di) The

health belief model and personal health behaviour. Health Education Monographs, (1974)2, 328- 335.

113 Cfr. B

ANDURA, A.. Self-efficacy: Toward a unifying theory of behavioral change. Psychological

Review, 84(1977)2, 191-215, in http://www.des.emory.edu/mfp/Bandura1977PR.pdf ultimo accesso 03-09-2009

di autoefficacia, viene a configurarsi come una funzione lineare positiva di quattro credenze, quali:

- la minaccia,

- la considerazione di essere vulnerabili,

- l‘essere in possesso di strategie di coping adeguate (inteso come l‘insieme delle risposte adattive);

- l‘essere in possesso di strategie di coping efficaci per la riduzione della minaccia.

La disponibilità di abilità di coping114 del soggetto corrisponde alla combinazione dell'efficacia della risposta e dell'autoefficacia sottratti gli eventuali ostacoli; ne consegue pertanto che la motivazione viene influenzata in modo negativo dai costi di tale risposta e dai vantaggi associati alle risposte disadattive.

Gli elementi appena descritti hanno un forte ruolo nella pianificazione degli interventi preventivi delle politiche sociali per la salute: se le persone dimostrano di avere un‘elevata autoefficacia verso un‘azione preventiva, infatti, l‘offerta di informazioni che accrescano la percezione di vulnerabilità personale o la valutazione della gravità della minaccia dovrebbe aumentare la motivazione a proteggersi, e di conseguenza l‘intenzione ad agire; viceversa per individui con scarsa autoefficacia, la maggiore percezione di vulnerabilità non incide sull‘adozione di comportamenti preventivi. Inoltre a livello empirico si è potuto osservare che il nesso tra il comportamento preventivo e la percezione di vulnerabilità (o di rischio) non è sempre presente115, soprattutto nei casi in cui i comportamenti preventivi sono complessi e le conseguenze negative gravi o molto gravi; nel caso dell‘AIDS e del contagio attraverso i rapporti sessuali, ad esempio, il processo cognitivo di valutazione del rischio (o di vulnerabilità) personale, sembra soggetto ad una serie di distorsioni o biases di giudizio. Rilevante appare, a questo proposito, il fenomeno dell‘ottimismo irrealistico116, in base al quale gli

individui ritengono se stessi meno a rischio degli altri, pur adottando il medesimo comportamento. Ulteriori criticità per questo modello sono costituite dal ruolo degli atteggiamenti nel distorcere l‘elaborazione delle informazioni a favore del materiale che tende a sostenerli, nello specifico: le informazioni provenienti dall'esterno possono essere filtrate attraverso l'interazione tra atteggiamento e il

114 Il concetto di coping, che verrà riaffrontato successivamente, deve essere inteso come una risposta efficace che viene attuata per affrontare un situazione di difficoltà di qualsiasi tipo e quindi come la capacità di risolvere i problemi gestendoli in modo valido.

115 PIERRO A. - MALAGOLI TOGLIATTI M. – ARDONE R.G, Il ruolo della self-efficacy nella prevenzione dell‘Aids: sperimentazione di un modello di intervento, in PSICOLOGIA CLINICA, Milano, Franco Angeli, 3(1997)2

116 Cfr WEINSTEIN N.D.,Unrealistic optimism about susceptibility in health problems,in Journal of Behavioral Medicine, (1982)5, 441-60.

della formazione della conoscenza come outcome delle politiche socio-educative.

set attitudinale individuale117 determinando differenti valutazioni del rischio; inoltre, le esperienze pregresse conservano un valore di segnale (signal value)118 per le

valutazioni sul rischio attuale, cioè esercitano un'influenza sulla concezione di

situazioni potenziali che vengono considerate similari in base alla presenza di

segnali conosciuti (che possono variare rispetto ai contesti di riferimento). Due ulteriori bisogni individuali, quello della conoscenza accurata circa le proprie credenze e della necessità di coerenza interiore tra tali convinzioni e comportamenti soggettivi, possono creare una interpretazione distorta della realtà e dei messaggi relativi ad alcuni rischi, perché spesso spingono il soggetto in due direzioni opposte. Nel caso in cui l'individuo ritenga che i comportamenti passati possano averlo esposto ad un rischio, gli atteggiamenti relativi a tale pericolo tendono a modificarsi allo scopo di minimizzare la dissonanza cognitiva generata dalla discordanza tra atteggiamento e comportamento119. Dalla frattura che si crea tra azioni e convinzioni nasce il disagio psicologico, individuato da Festinger nel sul finire degli anni cinquanta, che può essere lenito soltanto riallineando e riportando coerenza tra atteggiamento e comportamento. Nella gran parte dei casi l'individuo per evitare questa problematica tende a sottovalutare o a non considerare le informazioni a favore di atteggiamenti in contrasto con i propri comportamenti, ad esempio circa la dannosità del fumo. Ulteriori criticità di questo modello sono costituite sia dalla necessità di approntare studi di tipo longitudinale nei gruppi a rischio, impegnando risorse per lunghi periodi di tempo, sia dagli aspetti dinamici della valutazione del rischio che può essere soggetta a variazioni dipendenti da fattori esterni all'individuo.

La questione centrale del rapporto tra atteggiamento e comportamento diviene un punto nodale all'interno della teoria dell‘azione ragionata120 (Theory of reasoned action). Secondo questo modello l‘adozione di un particolare comportamento

scaturisce in primo luogo da una valutazione ragionata che tiene conto di tutte le informazioni disponibili; inoltre viene introdotto un ulteriore elemento di mediazione tra le credenze/atteggiamenti e l‘effettivo comportamento: l‘intenzione

comportamentale che si definisce come combinazione tra atteggiamento

personale rispetto all‘esecuzione di un comportamento e le norme soggettive. Queste ultime rappresentano le convinzioni dell‘individuo rispetto a ciò che le altre persone si aspettano dall'individuo stesso, unitamente alle motivazioni a comportarsi secondo tali aspettative121. Allo stesso tempo, gli atteggiamenti sono influenzati dalle credenze dei soggetti riguardo alle conseguenze del

117 P

ETRILLO G., Psicologia sociale della salute: salute e malattia come costruzioni sociali, Liguori,

Napoli, 1996. Attitudine in questo caso viene intesa come la credenza individuale e il valore soggettivo associato a tale convinzione.

118 Cfr. S

LOVIC P., Perception of risk, in Science, 236(1987) 4799, 280-285.

119 Cfr, F

ESTINGER L. La teoria della dissonanza cognitiva, [A theory of cognitive dissonance,

Stanford, CA, Stanford University Press, 1957] Milano, Franco Angeli, 1973.

120 FISHBEIN M.- AJZEN I., Belief, attitude, intention, and behavior: An introduction to theory and research, Reading, Boston (MA) Addison-Wesley, 1975.

121 AJZEN I.- FISHBEIN M. Understanding Attitude and Predicting Social Behavior, Englewood Cliff (NJ), Prentice Hall, 1980.

comportamento e alla valutazione di tali implicazioni; un esempio chiarificatore di questo assunto, riferito una situazione concreta, è rappresentato dall'intenzione di smettere di fumare che dipenderà dall‘atteggiamento soggettivo nei confronti del fumo, mentre lo stesso atteggiamento sarà la risultante dalle credenze inerenti le conseguenze connesse allo smettere di fumare. Le percezioni, (che nel caso appena riportato possono corrispondere alle informazioni relative alle conseguenze del fumo) incidono sull‘intenzione di smettere o estinguere un determinato comportamento, solo se gli individui ritengono che le conseguenze negative li interessino personalmente122; in altri termini, se il soggetto è convinto che, nonostante il fumo sia dannoso per la salute, la propria probabilità di correre dei rischi sia bassa, le convinzioni generali non influenzeranno l‘atteggiamento e quindi la messa in atto del comportamento.

Una prima problematicità legata a questo modello è determinata dall'assunto, spesso non confermato, che il soggetto abbia disponibilità di risorse, abilità ed opportunità per intraprendere il comportamento. Inoltre il modello dell‘azione ragionata, nonostante abbia registrato alcune applicazione di successo, ha ricevuto diverse critiche rispetto alla mancanza di considerazione di alcuni fattori, come ad esempio le esperienze pregresse, che influenzano le intenzioni comportamentali e il comportamento. Le intenzioni comportamentali infatti riflettono solo la motivazione ad agire, che equivale a confidare di poter compiere un'azione, mentre l‘esecuzione concreta di un‘azione non dipende soltanto da questa spinta interna, ma anche dalla maggiore o minore controllabilità del comportamento. Soltanto laddove il soggetto abbia acquistato il pieno controllo su una data situazione è messo nella condizione di decidere se compiere o meno un‘azione.

Nel campo dell'educazione e della promozione della salute vi sono numerosi casi esemplificativi di comportamenti che solo in parte sono sotto il controllo volontario dell‘individuo; ne sono un esempio i soggetti che non riescono a mutare le proprie abitudini alimentari o coloro che riferiscono il proprio fallimento di fronte al primo tentativo di smettere di fumare. Questa difficoltà è strettamente collegata alla fiducia del soggetto nella propria capacità di esercitare un controllo sul comportamento che può essere effettivamente connessa all'importanza delle esperienze pregresse come fonte di miglioramento della previsione dell'agire futuro.

Proprio le critiche avanzate nei confronti della teoria dell‘azione ragionata hanno condotto ad una sua modificazione significativa che prende in considerazione il problema della controllabilità dei comportamenti: la Teoria del comportamento pianificato123 propone come ulteriore elemento di previsione la percezione di

controllo sul comportamento. Tale fattore può essere sintetizzato come l‘insieme

delle convinzioni o credenze personali circa il grado di facilità/difficoltà nel

122 Cfr S

TROEBE -STROEBE, Psicologia sociale, 2000.

123 AJZEN I., The theory of planned behavior, Organizational Behavior and Human Decision Processes, 50(1991)2, 179-211.

della formazione della conoscenza come outcome delle politiche socio-educative.

compiere una data azione, ovvero come il controllo volitivo sulla pianificazione di una serie di atti da realizzare per raggiungere un obiettivo comportamentale. Gli individui difficilmente sviluppano una forte intenzione di perseguire un comportamento se credono di non essere in possesso delle risorse o delle opportunità per avere successo, anche in presenza di attitudini personali e norme

soggettive (opinione di altri soggetti importanti circa il comportamento) a favore di

tale comportamento.

In questa prospettiva l‘elemento di percezione di controllo è molto prossimo al costrutto di autoefficacia (o self-efficacy), che, come già detto, riguarda il grado di fiducia del soggetto circa le proprie capacità di organizzare e gestire le proprie azioni con successo perseguendo degli obiettivi e facendo fronte alle richieste provenienti dall‘ambiente esterno124.

All'interno di questo modello, il controllo percepito è determinante per la variazione del comportamento; tuttavia nel caso in cui la percezione di controllo risulti ad un livello molto basso, ad esempio, la probabilità che l'individuo adotti un‘azione di tipo preventivo risulta decisamente scarsa, nonostante la persona sia consapevole e convenga sull‘importanza di assumere quel comportamento in base alla una valutazione positiva delle conseguenze derivanti da a tale azione.

Sulla base di queste caratteristiche predittive125, la percezione di controllo si dimostra utile nelle previsioni, in quanto può essere connessa al comportamento sia per via indiretta, attraverso l‘intenzione comportamentale, sia per via diretta, cioè senza la mediazione intenzionale. Una connessione diretta emerge quando vi è un accordo tra percezione di controllo e il controllo individuale concreto sul comportamento. E‘ però opportuno sottolineare che la percezione di controllo non è scevra dall‘influenza di fattori interni ed esterni; nello specifico, i fattori interni sono riconducibili alla conoscenza, alle abilità, alle competenze ed ai forti desideri126, mentre i fattori esterni possono invece essere rintracciati nel verificarsi di opportunità, di eventi concomitanti, di dipendenza o interazione con altri individui127. Una rappresentazione concreta dei vari elementi chiave di questa

revisione teorica potrebbe essere: 1) attitudine verso il comportamento: "Penso che il fumo sia pericoloso per la mia salute"; 2) norme soggettive: "Mi chiedo se mia moglie apprezzerebbe se smettessi di fumare"; 3) percezione di controllo del comportamento: "Posso smettere di fumare, anche se sono assuefatto al consumo di sigarette; 4) intenzione "Voglio smettere di fumare in questo momento"; 5) comportamento: "Come vedete ho smesso di fumare. Ora quando ne sento il bisogno stringo una pallina antistress".

124B

ANDURA A., Social foundations of thought and action : a social cognitive theory, Englewood

Cliffs N.J., Prentice-Hall, 1986.

125 GODIN G. - GERJO K, The theory of planned behavior: a review of its applications to health- related behaviors, American Journal of Health Promotion, 11(1996)2, 87-98.

126 Il controllo comportamentale rilevante per la salute viene spesso ―minacciato‖ da fattori interni ai quali ci si riferisce con l‘espressione ―forza di volontà‖

Le limitazioni di questo modello,anche se risulta essere in ogni caso molto utilizzato nel campo dell'educazione alla salute, sono legate principalmente da un lato all'assunto che gli esseri umani sono essenzialmente razionali ed effettuano decisioni sistematiche senza essere influenzati da motivazioni inconsce, e dall‘altro all'ambiguità che spesso permea la definizione della percezione del controllo del comportamento.

Come per i modelli precedenti sono ignorate, quindi, le condizioni che derivano dalle emozioni e dai processi sociali e culturali; non si prende in considerazione, infatti, l‘assunto che il rischio per un individuo segue la sua esperienza di vita. Infine, per quanto attiene alla valutazione del rischio, non vengono considerati gli aspetti dinamici della valutazione stessa; quest‘ultima infatti può variare da un istante all‘altro, in funzione di fattori dipendenti dal contesto sociale e culturale.