1.2 Il panorama delle dinastie orientali coeve
1.2.3 Fortuna di un modello: il caso della Commagene
Se sinora si sono cercate tracce difficilmente leggibili, provenienti da fonti esterne ai diversi regni e la cui pertinenza all’orizzonte cronologico delle guerre mitridatiche risultava spesso complessa da accertare, occorre ora considerare un caso che presenta caratteristiche opposte a quelle sinora emerse, pur in una certa consonanza di temi e di toni, ovvero quello della casa regnante di Commagene.
Circa l’origine di questa dinastia infatti disponiamo di informazioni dall’interno67 e databili con
certezza ad anni molto vicini a quelli qui presi in esame68, quelle che provengono cioè dallo hierothesion di
Antioco I a Nemrud Dagh, successivo con ogni probabilità alle guerre mitridatiche, ma che nella sua concezione porta tracce evidenti di eventi ascrivibili al I secolo a.C.
Con una chiarezza e un’articolazione che non si può rintracciare nelle parole del Mitridate Eupatore di Giustino69, Antioco I infatti illustra, sfruttando decisamente la lingua greca, anche se non un
linguaggio esclusivamente greco nella rappresentazione complessiva, la propria galleria di antenati da parte paterna, iniziando con Dario I, e da parte materna, da Alessandro e Seleuco.
Pur nell’impossibilità di ricostruire l’identità di tutti i personaggi rappresentati e proposti al culto dinastico da Antioco, è evidente il ruolo chiave di legame con la dinastia achemenide svolto tra gli avi paterni da Oronte, di cui si ricorda il matrimonio con la figlia di Artaserse II70, mentre è ormai molto
dubbia la presenza di qualche antenato che possa essere identificato con uno dei Sette Persiani71.
64 Neusner 1963, 45-47 elenca correttamente i sovrani che portarono questo titolo, il primo dei quali fu Mitridate II, ma nell’analisi seguente considera significativo solo il secondo nucleo, cronologicamente più omogeneo, di sovrani di fine I secolo. Valorizza anche il periodo di Mitridate II invece Wolski 1966, 73-74.
65 Ampel. 30, sul quale vd. supra 1.1.3.
66 L’efficacia dell’adozione del modello achemenide è stata individuata soprattutto nel suo valore anti-macedone ed anti- seleucide (Wolski 1966, 70-71), capace poi di conoscere declinazioni anti-romane, prima dei Sassanidi (Wolski 1966, 72), oppure potrebbe al contrario essere stata impiegata per legittimare la propria posizione nel regno seleucide, a sua volta erede di quello achemenide (così Tarn 1929, 138-40, per il quale sarebbe assodato che i Seleucidi avanzarono pretese di discendenza achemenide. In senso genealogico le evidenze sono piuttosto fragili, ma vd. infra).
67 Si allude naturalmente al monumento di Nemrud Dagh, su cui brevemente infra. Il monumento è promosso dal regnante Antioco I, mentre l’eco nelle fonti letterarie circa rivendicazioni dinastiche di Commagene rimane molto debole, tanto che a lungo si è discusso per inquadrare cronologicamente il regno di Antioco I, proprio per il silenzio circa il monumento in fonti come Strabone (che alla Commagene dedica spazio in Strabo 16, 2).
68 La realizzazione è rivendicata da Antioco I (69- 36 a.C.), ma ha come cuore l’unione di due linee dinastiche che si realizza con il matrimonio del padre Mitridate I Callinico (109- 62) con la seleucide Laodice, che deve essere avvenuto in età ‘mitridatica’.
69 Iust. 38, 7, 1, su cui vd. supra.
Nonostante la preminenza assegnata alla linea paterna, non manca una sottolineatura chiara dell’importanza del convergere delle due linee nel genos del sovrano, nel quale si realizza, per la prima volta nella sua dinastia, l’unione delle due stirpi persiana e greca attraverso il matrimonio tra il padre di Antioco, Mitradate Callinico, e la seleucide Laodice Thea (con la parole di Antioco, ἐμοῦ γένους εὐτυχεστάτη ῥίζα)72.
Pur a prezzo di una drastica semplificazione si può affermare che il monumento celebrava una linea dinastica che, almeno dal lato paterno, doveva essere frutto di una costruzione maturata nel tempo73,
che non sarebbe assolutamente arbitrario proiettare all’indietro almeno agli anni del padre di Antioco e quindi del conflitto mitridatico74, ma che può essere stata anche più antica.
Basandosi dunque sull’evidenza di Nemrud Dagh75, si osserva come per celebrare la linea degli
antenati paterni venisse rappresentato con grande chiarezza -per chi accedeva ad un monumento ben conservato, ovviamente, perché le oscurità con cui i moderni si scontrano non sono certo dovute a un difetto di linearità nella presentazione di Antioco I- un percorso dinastico che sceglieva come primo antenato Dario I e segnava lo snodo con la dinastia locale attraverso un personaggio, Oronte, che si legava alla stirpe achemenide per matrimonio, al tempo di Artaserse II. Altrettanto leggibile appare dal lato materno l’individuazione di Alessandro Magno come primo antenato immediatamente seguito dal fondatore della dinastia seleucide76. La relazione tra le due figure non è leggibile, ed è possibile che essa
non fosse stata esplicitata in alcun modo, dal che si deve dedurre forse che non fosse necessaria alcuna spiegazione ulteriore per l’accostamento di queste due figure. Alla luce dei criteri che uniformano tutto il resto della galleria degli antenati sembra perciò che tale relazione sia implicitamente da riconoscersi in
15, 90, 3, in cui è definito ‘satrapo di Misia’, ma per un quadro sulle discussioni suscitate da tale designazione vd. di recente Facella 2006, 107-108 e n. 49. Precedentemente però aveva governato sull’Armenia, dove lo incontò Senofonte (Xen. Anab. 4, 4, 4). Sulle possibili ricostruzioni della carriera del personaggio vd. ancora Facella 2006, 95-135. Sul ruolo di costui nella galleria degli antenati di Commagene vd. Facella 2006, 84 e 91-94. Meno evidenti sono i passaggi nodali di emancipazione del territorio dal dominio achemenide: la posizione della Commagene nel regno persiano è però stata diversamente interpretata, attribuendola ora alla Cappadocia ora alla Cilicia ora, con maggior fondamento, all’Armenia, vd Facella 2006, 84-87) sebbene proprio negli anni mitridatici vi fu una sottomissione –temporanea- a Tigrane, risolta grazie a Lucullo, (Facella 2006, 105-106, dove spiega l’assunzione della tiara armena da parte di Antioco I non come segno di sudditanza al regno armeno, ma all’opposto come segno di indipendenza).
71 Degli avi ‘achemenidi’ il solo identificato senza dubbi è il primo, Dario I, vd. di recente Facella 2006, 87-94. Si era tuttavia ipotizzata la presenza di Idarne (il figlio di Dario, possibile nipote dell’Idarne dei Sette), anche poggiando sulla ricostruzione della dinastia armena (vd. per un riepilogo delle posizioni Facella 2006, 88), ma con poco riscontro epigrafico.
72 IGL Syr 1, 1, ll. 30-31. L’espressione dà il titolo anche al contributo di Fowler 2005, 125-155, che pure è dedicato al tema delle legittimazione del regno partico.
73 Occorre però sottolineare che il culto dinastico promosso –con risultati difficili da valutare- da Antioco I non è aragonabile ai casi di Ponto e Cappadocia, per i quali è arduo parlare di culti rivolti agli antenati (ma così ipotizzava Panitschek 1987/1988, 76-77).
74 Il regno di Commagene risulta coinvolto nei conflitti mitridatici attraverso Tigrane di Armenia, vd. Facella 2006, 217-220 per un quadro degli eventi di questi anni.
75 Anche nel monumento di Arsameia, destinato a custodire le spoglie di Mitradate Callinico, che Antioco dichiara di aver costruito a partire da un progetto paterno (vd. OGIS 396, ll. 28-35, l’iscrizione dedicatoria di Antioco I) potrebbe aver trovato spazio una celebrazione degli antenati della dinastia di Commagene, in assenza di basi certe per sostenere questa ipotesi. Per un aggiornamento bibliografico vd. Facella 2006, 254-261.
76 Sebbene il nome di Seleuco I Nicatore sia pochissimo leggibile nella seconda stele, l’integrazione non è dubbia grazie anche alla stele sucessiva, dedicata al suo figlio e successore Antioco I Soter, e in cui il Nicator compare nel patronimico dell’onorato, cfr. Dörner, Young 1996, 326-328.
un legame di sangue, che doveva essere di facile decodificazione per chiunque, greco e forse anche romano, negli anni di Antioco I di Commagene -e quindi con alta probabilità già in quelli delle guerre mitridatiche-, e che potrebbe collocarsi sulla stessa linea della rivendicazione pontica espressa dal Mitridate di Giustino77. Il peso dell’eredità seleucide potrebbe essere particolarmente longevo nella
dinastia orontide di Commagene, se si considera che nella tomba ad Atene di C. Giulio Antioco Epifane Filopappo, nipote dell’ultimo re di Commagene Antioco IV, egli si fece rappresentare accanto al nonno Antioco IV e a Seleuco I Nicatore78. Tuttavia, alla luce del matrimonio dinastico contratto
dalla casa regnante di Commagene, quello con i Seleucidi è anche il legame più scontato, se lo si paragona almeno al richiamo ad Alessandro.
Occorre domandarsi però se la presenza di Alessandro come irrinunciabile capostipite della linea dei Seleucidi nel monumento di Commagene possa essere intesa come frutto di una peculiare interpretazione della casa degli Orontidi (e forse anche di poche altre dinastie dell’epoca, come quella pontica), o se non si debba pensare piuttosto che essa rispecchiasse un uso ben presente anche nella dinastia seleucide almeno di quegli anni, e quindi un dato acquisito per tutto l’orizzonte dei regni ellenistici. Se così fosse la testimonianza da Nemrud Dagh fornirebbe la prova di una pretesa linea diretta da Alessandro ai Seleucidi, la cui formulazione non si dovrebbe probabilmente ai primi sovrani della dinastia79, ma ad un successivo ridisegnarsi e ridefinirsi della memoria di Alessandro all’interno
della casa regnante, che da sempre marcava una forte sottolineatura di continuità politica ed ‘etnica’ dell’impero del grande Macedone da parte dei discendenti del suo maggior generale.
Nel monumento di Nemrud Dagh del resto si incontrano molti dettagli che ne accreditano l’immagine di testimone attento delle rivendicazioni dinastiche del suo tempo, specialmente di quelle dei regni d’Oriente, ed in questo senso si possono leggere anche le titolature dei sovrani achemenidi, che sembrano essere riprodotte in piena consonanza con quelle partiche di quegli anni80.
Oggetto della celebrazione del sovrano orontide dunque è quella doppia linea dinastica, achemenide e seleucide, raggiunta tramite un matrimonio, evento che in altre dinastie potrebbe aver persino segnato la data d’inizio per le ere locali, e che iscrive pienamente anche questo regno, almeno nelle intenzioni
77 Iust. 38, 5, 3.
78 La sottolineatura si rintraccia in Dörner, Young 1996, 325-326, con riferimenti bibliografici.
79 Le tracce in questo senso nella tradizione antica sono piuttosto evanescenti, e si ricostruisce una formulazione tarda per eventuali pretese di discendenza diretta, dal momento che ai contemporanei non poteva sfuggire il fatto che Seleuco e Alessandro furono più o meno coetanei. Per la possibilità che i Seleucidi individuassero, con un processo simile a quello -più leggibile- dei Tolemei, nel matrimonio tra la (forse) achemenide Apama e Seleuco I un possibile vettore non solo per accreditare pretese di eredità achemenide, ma anche di discendenza da Alessandro (di cui Apama sarebbe diventata nella tradizione la figlia) vd. Tarn 1929, 141, e per una più recente riflessione sulla questione alla luce del monumento di Nemrud Dagh vd. Dörner, Young 1996, 324-325.
80 Così Dario è basileus basileon megas, come Mitridate II nel monumento ‘mitridatico’ di Delo (con riscontro nelle coniazioni del sovrano), e come forse Mitridate stesso in quello di Ninfeo. Altrettanto significativi sono i titoli conferiti ad Alessandro (basileus megas, interessante formulazione) e ai Seleucidi, vd. Dörner, Young 1996, 323-324. Sulla questione più ampiamente infra cap. 1.3.
del suo sovrano, tra quelli che promossero senza ambiguità un’immagine fortemente ellenizzata e allo stesso pienamente compatibile con una orgogliosa sottolineatura di una discendenza achemenide.
Nel caso della Commagene poi risulta evidente come questa rivendicazione di doppia discendenza non comporti in sé stessa alcuna pretesa di espansioni territoriali. Né Antioco I né suo padre Mitradate Callinico possono aver concepito la celebrazione delle proprie origini come funzionale ad un progetto politico di ‘unificazione’ territoriale, né di ricostituzione di uno stato achemenide (o di un impero seleucide). Simili progetti per gli anni in questione sono plausibili piuttosto per i Parti, o, per una stagione almeno, per l’armeno Tigrane.
Tuttavia, nonostante per noi siano difficilmente leggibili gli scopi che Antioco I si prefiggeva di raggiungere con la magniloquente celebrazione di Nemrud Dagh -anche perché essi non si realizzarono, e il monumento non conobbe la sorte che per esso aveva disposto il suo creatore-, rimane chiaro però che questo re volle parlare al suo regno in greco e presentare come massima credenziale la doppia natura achemenide e macedone, senza per questo immaginarsi in conflitto potenziale con gli altri regni vicini o con Roma81 per il controllo dei territori dell’Oriente ellenistico. E’ vero che, come dimostrano
le parole di Cicerone, le più straordinarie pretese dinastiche poco impressionano se avanzate da personaggi di secondo piano82, ma forse non si dovette soltanto alla scarsa statura del sovrano di
Commagene il fatto che questa doppia rivendicazione non suonasse, nemmeno ad orecchie romane, necessariamente ostile o foriera di progetti di espansione.