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Longevità della linea achemenide: il caso del Bosforo

1.2 Il panorama delle dinastie orientali coeve

1.2.5 Longevità della linea achemenide: il caso del Bosforo

Se si guarda poi alle dinastie che nacquero nella dissoluzione della vicenda personale e politica di Mitridate Eupatore, non si può tralasciare il caso del Bosforo. Direttamente governato prima dal non troppo fedele Machares, figlio dell’Eupatore87, e poi da un altro figlio, Farnace (II)88, il territorio

conobbe una sorte diversa dal resto del regno pontico, ma tuttavia ebbe, e rivendicò, legami stretti con la linea dinastica di Mitridate.

Se si prescinde infatti dalla visibilità ottenuta da Farnace II nelle vicende che portarono alla morte del sovrano pontico89 e alla creazione di relazioni stabili con Pompeo, anche negli anni delicati –e in

parte oscuri90-in cui fu al potere la regina Dynamis è leggibile una sottolineatura della parentela con

l’Eupatore91, che viene anzi ricordato con il titolo di ‘Re dei Re’92, anch’esso potenzialmente indicativo

di un richiamo all’impero achemenide. In questo caso però si tratterebbe di un rivendicazione non tanto di una discendenza di sangue, quanto piuttosto di un’eredità politica.

E’ d’altro canto complesso valutare la percezione di continuità o di rottura che si ebbe nei primi anni del regno bosforano rispetto al regno pontico, glorioso ma sconfitto. In anni difficili, in cui il rapporto

86 Per un quadro che dalle origini lambisce il II sec. d.C. circa sovrani e vicende della dinastia di Emesa, vd. Sullivan 1977b, 198-219.

87 Sulla vicenda di Machares più leggibile è il racconto in App. Mithr. 83, 375; 102, 474-476 per le fasi finali della vicenda. Cfr. Liv. per. 98; Plut. Luc. 24, 1; Memn. FGrHist 434 F 37, 4. Cfr. McGing 1986, 152. Sullo status del Bosforo all’interno del regno di Mitridate VI vd. di recente Molev 2009, 321-328.

88 Cfr. App. Mithr. 110-111, 522-540. Sul personaggio e sulle ultime vicende di Mitridate cfr. Liv. per. 101; Eutr. 6, 12; De Vir. Ill. 76; Oros. 6, 5, 4.

89 App. Mithr. 110-111, 522-540, mentre molto diversa la presentazione del personaggio (e la rappresentazione dei suoi moventi nella congiura che sarà fatale al re pontico) in Cass. Dio 37, 12, in cui le uccisioni indiscriminate dei propri figli da parte del vecchio sovrano motivano l’azione di Farnace.

90 Per una ricostruzione delle possibili fasi di regno di Dynamis, accanto ai diversi sposi oppure anche da sola vd. Rostovzeff 1919, 88-109; Funck 1986, 27-35; Nawotka 1989, 326-338; Frolova, Karyškovskij, Delfs 1993, 63-81; Parfenov 1996, 95-103. Di recente anche il punto (con riepilogo di bibliografia in russo) in Gabelko 2009, 48-50.

91 Il nome dell’antenato compare in un’iscrizione da Panticapeo, una dedica ad Afrodite Urania per la regina Dynamis di una coppia di privati (CIRB 31): ὑπὲρ βασιλίσσης Δυνάμεως φιλορωμαίου, /τῆς ἐκ βασιλέως μεγάλου Φαρνάκου, τοῦ /ἐκ βασιλέως Μιθραδάτου Εὐπάτορος /Διονύσου Ἀφροδίτῃ Οὐρανίᾳ Ἀπατού-/ρου μεδεούσηι, Μύρων Μύρωνος καὶ γυνὴ Κυρί-/αινα; maggior evidenza riceve invece il titolo portato dal sovrano in un’altra iscrizione da Fanagoria, in cui è il demo a dedicare alla regina (CIRB 979): [β]ασίλισσαν Δύναμιν φιλορώμ[αιον], /[τὴ]ν ἐκ βασιλέω[ς μ]εγάλου Φα[ρνάκου] /[το]ῦ ἐκ βασιλέως βασιλέων Μιθ[ραδά]-/[το]υ Εὐπάτορος [Διο]νύσ[ο]υ, /[τὴ]ν ἑαυτῶν σ[ώτειραν κ]αὶ εὐε[ργέ]-/[τι]ν [ὁ] δῆμ[ος ὁ Ἀγριπ]πέω[ν]. 92 CIRB 979 l. 3-4, vd. supra. Il titolo è attestato anche in un’iscrizione coeva a Mitridate, vd. Ballesteros Pastor 1995, 111- 117. Sulla questione si ritornerà infra cap. 1.3.

con Roma fu certo in primissimo piano nelle scelte politiche di questo come di ogni altro regno dell’Oriente ellenistico, una dinastia ‘figlia’ di Mitridate Eupatore doveva gestire senz’altro un’eredità ingombrante. Dalla documentazione disponibile pare però che non solo il passato iranico, ma anche l’immediato ricordo di Mitridate non fosse rinnegato né nascosto.

In questo senso potrebbe essere indicativa un’informazione circa i sovrani pontici riferitaci da Sincello, che collocando nell’età di Augusto la fine delle dinastie della Bitinia e di quella del Ponto ne fornisce anche il numero totale dei sovrani, che per il Ponto ammonta a dieci93. Si impone dunque il

confronto con il computo di Appiano e Plutarco, che, contando fino a Mitridate VI, conoscono solo otto sovrani pontici94. Se si ritiene affidabile dunque la cifra di Sincello, si può cercare di individuare due

figure di sovrani successive alla conclusione dei conflitti mitridatici che la tradizione antica potesse aver sentito come ‘pontici’ al pari di Mitridate, a meno che naturalmente la diversa cifra non sia dovuta ad un conteggio differente dei più antichi sovrani della dinastia, la cui identità come si è visto è piuttosto nebulosa da accertare. Tra i candidati probabili, anche se tutt’altro che sicuri, come eredi della linea di Mitridate dunque potrebbe trovar posto qualche sovrano bosforano, come la stessa regina Dynamis95.

Se però nessuna prova giungesse dalla tradizione antica circa la percezione di un’identità ‘pontica’ per la dinastia del Bosforo, certo è che a una considerevole distanza cronologica dagli anni di Mitridate la rivendicazione di origini achemenidi -il che implica quantomeno il riconoscimento del vettore pontico nella linea di sangue- è tutt’altro che estranea alla dinastia bosforana, come dimostra l’episodio conservato in Tacito che riguarda un Mitridate erede della dinastia bosforana, ma privato del trono a favore del fratello Cotys, e la sua resa all’alleato di Roma Eunone96. Le parole di questo Mitridate, che si

dice discendente di Achemene ed inseguito senza tregua dai Romani per terra e per mare, appaiono troppo grandi e solenni per un personaggio ed una vicenda di fatto secondari, e inducono a credere che si voglia creare un gioco di specchi in cui dietro a questo modesto epigono si suggerisca l’immagine del Mitridate più famoso e più pericoloso nemico di Roma97. In questo caso il richiamo alla discendenza

achemenide può essere stato ancora funzionale all’attegiamento ostile di fronte a Roma, ma più probabilmente ebbe il ruolo soltanto di sottolineare la nobilissima origine dello sfortunato personaggio dell’età di Claudio.

La sopravvivenza del ricordo dell’antenato nel Mitridate di I secolo d.C. può essere impiegata anche per comprendere l’entità dell’eredità raccolta dal regno bosforano all’indomani della fine delle guerre

93 Georg. Syncell. 593 e anche 523, in cui ripete la cifra di dieci sovrani e ne ascrive l’informazione ad Apollodoro (FGrHist 244, F 82) e Dionisio (FGrHist 251, F 5a). Vd. in merito di recente Gabelko 2009, 47-61.

94 App. Mithr. 112; Plut. Dem. 4.

95 Si vd. il punto nel contributo di Gabelko 2009, 47-61 part. 47-50 in cui si esaminano le diverse possibilità, scartando Farnace II e Dynamis in quanto non regnarono sul Ponto, anche se il quadro cronologico sembra per il resto compatibile, ed optando alla fine per l’inserimento delle regine Orsobaris e Orodaltis figlia del re Licomede che forse avanzò pretese sul trono di Bitinia.

96 Tac. Ann. 12, 18, sul quale vd. supra. 97 Vd. supra 1.1.7.

mitridatiche. Un sovrano che, come si cercherà di dimostrare, nelle fasi conclusive della lunga stagione dei conflitti mitridatici poteva aver avuto l’occasione di far emergere maggiormente con particolare evidenza la propria faccia ‘orientale’, persiana, una volta vinto e dopo la sua morte, potè ben presto essere invocato con ogni onore in associazione con la bosforana Dynamis98, che si proponeva di

raccogliere non certo un’eredità ‘politica’, ma di sangue, e fu possibile quindi mantenere vivo il ricordo dell’antenato (senza risparmio di titoli onorifici) in una dedica per una sovrana philorhomaios, che erigeva statue in rendimento di grazie ad Augusto e Livia99.

1.2.6 Osservazioni conclusive

Le testimonianze fin qui raccolte meritano a questo punto qualche riflessione complessiva, con alcune considerazioni preliminari: ogni confronto tra le diverse formulazioni di rivendicazioni dinastiche avanzate da ciascun regno è possibile solo a patto che si accetti di lavorare a partire da un quadro profondamente lacunoso e dai contorni incerti. Così è difficile render percepibile, concentrandosi esclusivamente sulle rivendicazioni dinastiche, la specificità di ciascun regno, e la stratificazione cronologica di uno stemma dinastico che si può a malapena percepire accostando informazioni non omogenee per provenienza e cronologia. Ancora, i livelli di ‘ellenizzazione’ o ‘iranizzazione’ furono certo differenti per ciascuna realtà, così come diversi poterono essere gli scopi per cui si poté impiegare uno stesso modello di legittimazione, quello achemenide. Ancora, molto spesso il dialogo reciproco tra le diverse dinastie, che pur condividevano un comune orizzonte geografico e cronologico, rimane solo congetturabile e difficilmente leggibile nel suo divenire.

Del resto, selezionare come una sorta di isoipsa il richiamo alla discendenza achemenide non può, nè vuole, tracciare un quadro soddisfacente della fisionomia delle diverse dinastie, e nemmeno intende suggerire che esse fossero particolarmente omogenee nell’autorappresentazione della loro eredità ‘iranica’. Ogni considerazione dunque, anche la più generale, tocca il grande tema dell’identità profonda -e di quella percepita- dei regni d’Oriente, tema di enorme complessità che accompagna il mondo ellenistico dalla sua nascita con le imprese di Alessandro, innestandosi in una polarità Oriente/Occidente già ricchissima di storia.

Se è evidente il ricorso da parte di molte dinastie locali alle memorie achemenidi o più in generale persiane, e non vi è difficoltà ad immaginare che queste comuni origini potessero costituire un patrimonio condiviso alla base anche delle loro reciproche relazioni, rimane complesso stabilire quanto questa identità iranica si opponesse a quella ellenistica, presente anch’essa in molte dinastie regnanti.

98 Anche per queste attestazioni però si è invocata la presenza di un doppio registro di linguaggio adottato dalla sovrana, dove i richiami all’antenato pontico sarebbero rivolti all’interno del proprio regno, mentre all’esterno sarebbe mostrata piuttosto la faccia di sovrana philoromaios, vd. una sintesi delle evidenze e delle posizioni in Nawotka 1989, 328-329.

Fu infatti dalla crisi del regno seleucide che, all’interno dei suoi antichi confini o ai bordi della sua sfera di influenza, in particolare tra II e I secolo a.C., emersero regni che arrivarono ad elaborare una propria storia, proiettata nel passato più nobile possibile e forse ‘ripulita’ da alcuni aspetti meno degni della recente grandezza, ma per i quali un impero tramontato da secoli, quello achemenide, fu ancora -e continuò ad essere- repertorio di segni, codici, comportamenti e modelli di conquista e gestione del territorio. Ma in questa strategia di recupero dell’eredità achemenide, quanto è legittimo leggere una negazione o un’attenuazione dell’identità greca? Essere discendenti dall’antica nobiltà persiana –e proclamarlo anche al di fuori dei propri confini- significa per ciò stesso negare un’identità greca o quanto meno ellenizzata? O nella scelta del richiamo alla nobiltà persiana era possibile per ciascuna realtà unire –con intenti di volta in volta differenti- la propria voce ad un coro, variegato e disomogeneo, che comprendeva però anche il regno seleucide, in cui le identità differenti non si opponevano, ma dialogavano, anche se non sempre pacificamente?

Non è possibile qui sottoporre a puntuale analisi ogni indicatore che descriva il processo tramite il quale il regno seleucide nei secoli seppe disegnare e promuovere la rappresentazione della propria identità, ma è almeno necessario ricordare come i Seleucidi per primi dovettero escogitare strategie per presentarsi da un lato come legittimi eredi del potere ‘macedone’ che derivava al loro capostipite dalle imprese di Alessandro, e dall’altro come nuovi, ma anche in questo caso legittimi, signori dell’impero achemenide tramontato con Dario III. L’assunzione di identità doppie, o composite, potrebbe anche essersi tradotta in tradizioni circa una discendenza di sangue100, in cui sia la linea achemenide che quella

argeade trovassero una qualche conciliazione. Proprio in occasione di eventi di II e I secolo sembrano infatti visibili testimonianze -come il monumento di Antioco I a Nemrud Dagh e le parole del Mitridare di Giustino che si dice discendente da “Alessandro e Seleuco”- che, pur non univocamente, suggeriscono come una formulazione di discendenza di sangue da Alessandro potesse essere diffusa e conosciuta (anche se nulla obbliga a pensare che fosse ‘ufficiale’). Secondo alcune ricostruzioni tale discendenza potrebbe trarre spunto dal matrimonio di Seleuco I con Apama, l’unica delle spose persiane che, dopo gli entusiasmi del matrimonio di massa a Susa del 324 non furono ripudiate al tramonto della stella di Alessandro101. Questa Apama, il cui nome ricorda quello di una figlia di

Artaserse II102, e che vantava una nobile origine persiana, potrebbe essere stata trasformata nella

tradizione successiva in una figlia di Alessandro (e forse della sua sposa persiana Rossane)103. Tra tali

indizi, tutt’altro che espliciti e di univoca lettura, potrebbe in qualche modo inserirsi anche la

100 Non si tratta naturalmente della sola strategia possibile, né probabilmente di una scelta che risalga ai primi sovrani seleucidi, vd. in merito Tarn 1929, 141; Dörner, Young 1996, 324-325.

101 Arr. 7, 4, 6. 102 Plut. Artax. 27.

103 Non vi sono testimonianze esplicite in tal senso, ma indizi: la circostanza che un aspirante erede di Alessandro nel II secolo a Megalopoli avesse dato ai propri figli i nomi ‘dinastici’ di Alessandro, Filippo, e Apama, che doveva quindi essere sentito come legato alla stirpe di Alessandro (App. Syr. 13; Liv. 35, 47, 5), vd. le osservazioni di Tarn 1929, 140-141. Tra gli ‘indizi’ lo stesso Tarn annovera il monumento di Nemrud Dagh.

circostanza che tra gli antenati dei Parti –le cui rivendicazioni di discendenza achemenide si sono già esaminate- potesse figurare Seleuco, almeno se si deve credere alle affermazioni di Ampelio104. Il vettore

di questa linea di sangue possibile tra Alessandro e Seleuco potrebbe però essere del tutto perduto in una tradizione complessivamente avara.

Se si ritorna dunque agli anni che più direttamente sono oggetto di questo studio occorre sottolineare come sia assolutamente ragionevole presumere che il periodo delle guerre mitridatiche avesse visto un ridisegnarsi o anche solo un rafforzarsi delle rivendicazioni dinastiche di molti regni d’Asia, direttamente coinvolti in avvicendamenti al trono, ridefinizioni di confini o in reciproche alleanze, anche se molte delle costruzioni genealogiche che ci sono note plausibilmente affondavano le radici in un passato molto più antico. Meritano però di essere riepilogati alcuni nodi cronologici comuni a molti racconti, a partire dal ruolo preminente del regno di Dario e della congiura dei Sette Persiani che lo portò al trono.

A questo momento, fondante per la casa achemenide ma anche per quelle dei Sette persiani, si richiamano come si è visto numerose famiglie regnanti iraniche, tuttavia va considerato che nessuna dinastia -tranne quella pontica- sembra aver puntato ad una discendenza diretta da Dario, né avrebbe potuto essere composto per altre case regnanti quel computo di sovrani da Dario I che compare in Appiano, per il quale Mitridate era “il sedicesimo discendente del re persiano Dario figlio di Istaspe, e l’ottavo discendente di Mitridate che si rivoltò contro i Macedoni e ottenne il regno del Ponto”105.

Tuttavia il sangue dei sovrani achemenidi apparentemente scorreva in molti dei signori del tempo, le cui dinastie si erano legate per matrimonio in tempi diversi alla casa di Dario –e tra queste forse cercava di emergere quella degli Ariaratidi, che vantavano legami già con la famiglia di Ciro il Grande.

D’altro canto il richiamo a Dario può anche essere mediato attraverso la figura di quelli tra i Sette persiani che si legarono per matrimonio alla casa del re, e questo potrebbe anche essere il percorso seguito dalla casa dei Mitridatidi, benchè le evidenze in merito non siano univoche. Quanto all’utilità per un sovrano come l’Eupatore di ‘impersonare’ Dario, essa può certo essere ricercata nella promozione di sè stesso come portabandiera di una riscossa orientale nei confronti dell’Occidente, e comportare dunque come conseguenza reazioni di ostilità tanto per i Romani quanto per i Greci d’Europa (ed anche in realtà per i greci d’Asia), tuttavia non vi è prova che essa fosse sostenuta senza il suo ‘rovescio’, ovvero la rivendicazione di un’origine ellenistica, dal momento che ancora una volta la ‘doppia radice’ poteva offrire una soluzione ottimale, riunendo Dario ed Alessandro/Seleuco in un’unica figura.

104 Ampel. 31, vd. supra 1.2.2.

Dopo la congiura dei Sette e il regno di Dario, un altro snodo cronologico comune a diverse dinastie sembra leggibile negli anni del regno di Artaserse II, e di quella ‘congiura dei Satrapi’106 che potrebbe

aver segnato un momento di svolta per le vicende politiche e la definizione territoriale di diversi regni: Artaserse II potrebbe essere il sovrano cui si attribuisce l’iniziativa di far dono della Cappadocia a ‘un Persiano’ nel frammento polibiano già analizzato107, ma il legame con la casa achemenide si fissa tramite

l’unione con la figlia di Artaserse II anche per gli Orontidi, diventando quindi patrimonio comune della casa armena e di quella di Commagene108. Ancora, da ‘Artaserse’ trae origine il genos dei due fratelli

Arsace e Tiridate che, in una versione almeno, avrebbero dato vita alla casa partica degli Arsacidi109.

Ancora a questo orizzonte cronologico sembrano appartenere alcuni antenati della lista cappadoce110 ed

anche di quella pontica111.

In particolare è la versione ‘partica’ ad aver indotto riflessioni sulla scelta di Artaserse II, personaggio ‘minore’ tra gli Achemenidi, quale capostipite, e si è suggerito che avesse un peso la tradizione seleucide, che secondo la ricostruzione già accennata avrebbe individuato la figlia di Artaserse II, Apama, come antenata di quella Apama che si sarebbe unita in matrimonio con il fondatore Seleuco I112. Si potrebbe d’altro canto spiegare il ricorrere di Artaserse in diverse

rivendicazioni dinastiche -se esso non è frutto di un abbaglio dovuto alla frammentarietà delle fonti- alla memoria di un periodo in cui differenti personaggi della nobiltà persiana tentarono di raggiungere, in qualche caso con successo, una certa autonomia rispetto al potere centrale.

Altro snodo di indubbio rilievo politico, ma non sempre leggibile nelle tradizioni dinastiche, è poi la parabola di Alessandro, che in alcuni casi -tra cui quello pontico- non sembra essersi tradotta direttamente nella conquista e in un’amministrazione diretta del territorio113.

Se si esaminano poi le relazioni con la casa seleucide, è a partire da Antioco II e da Antioco III che i legami dinastici sembano essere stati stretti con numerose dinastie ‘esterne’ al regno di Siria. Sebbene vi sia chi ha visto in alcuni di questi legami matrimoniali un vantaggio anche per la dinastia seleucide, che ne guadagnava -legandosi ai Mitridatidi del Ponto- possibili credenziali achemenidi114, essi sono

106 La ‘rivolta dei satrapi’ non viene mai esplicitamente citata, ma potrebbe avervi preso parte anche un avo dei Mitridatidi. L’esistenza stessa di questa rivolta è stata discussa da Weiskopf 1989, ma si veda l’estesa trattazione in Debord 1999, 302- 366.

107 Plb. fr. inc. 54, vd. supra. 108 Vd. supra.

109 Georg. Syncell. p. 539, 14 Bonn, vd. supra.

110 In particolare sembra significativo il nome di Datame, pur in una sezione della genealogia di incerte coordinate cronologiche, Diod. 31, 19 per il quale vd. supra.

111 Il legame sembra evidente nella ricostruzione di Bosworth, Wheatley 1997, 155-164, su cui supra. 112 Così Tarn 1929, 140.

113 Si mostra orgoglioso di dominare su genti mai sottomesse Mitridate in Iust. 38, 7, 2: Nullam subiectarum sibi gentium expertam peregrina imperia; nullis umquam nisi domesticis regibus paruisse, Cappadociam velint an Paphlagoniam recensere, rursus Pontum an Bithyniam, itemque Armeniam maiorem minoremque; quarum gentium nullam neque Alexander ille, qui totam pacavit Asiam, nec quisquam successorum eius aut posterorum attigisset.

certamente fondamentali per il prestigio delle dinastie iraniche115, che tramite questi partecipano -e

talvolta enfatizzano tale partecipazione- alla complessa eredità di Alessandro.

Con la sconfitta di Antioco III e con le conseguenti sistemazioni territoriali del dopo-Apamea naturalmente divengono rilevanti anche i rapporti che ciascuna dinastia intrattiene con i Romani, di fronte ai quali tuttavia non sembra essere sorta la necessità di dissimulare o smorzare le pretese di origini persiane o achemenidi.

Se si cerca infine di concentrare l’attenzione su un orizzonte cronologico il più vicino possibile alle guerre mitridatiche, le testimonianze sin qui esaminate, che costituiscono soltanto le emergenze più esplicite -greche per lo più- circa le rivendicazioni dei diversi regni coinvolti, non possono restituire un quadro dettagliato del milieu entro il quale il Ponto di Mitridate si muoveva, ma consentono di gettare uno sguardo a un panorama complesso, in cui la voce pontica non si staccava dalle altre così nettamente come potrebbe apparire in un primo momento. Nonostante sia percepibile per le altre compagini coinvolte nel conflitto solo l’eco delle rivendicazioni dinastiche che di esse fu avvertibile all’esterno, e spesso ad una certa distanza dagli eventi, risulta chiaro come tutti questi regni, con un comune passato di dominazione persiana in cui non necessariamente esistettero come unità territoriali e amministrative corrispondenti a quelle successivamente consolidate, mantenessero il ricordo di tale