1.2 Il panorama delle dinastie orientali coeve
1.2.1 L’ascendenza achemenide per la casa cappadoce
Sebbene siano ben leggibili legami matrimoniali della casa cappadoce con i Seleucidi, le testimonianze delle fonti letterarie sopravvissute non conservano per la dinastia cappadoce una formulazione paragonabile alla rivendicazione a doppio binario, achemenide da un lato ed macedone/seleucide dall’altro, che è testimoniata invece per i Mitridatidi6. Il panorama è però ben
lontano dall’essere completo: pochissimo sopravvive circa le rivendicazioni dinastiche cappadoci, ed è
4 E’ estremamente complesso esaminare l’impiego dei termini ‘Ponto’ e ‘Cappadocia’ nei differenti periodi e nei diversi autori. Rimane chiaro che il racconto della storia dei due territori subì profonde modificazioni negli anni qui presi in esame, ma certo sono visibili tracce di ripensamenti che ampiamente precedono il I secolo. Per una ricostruzione del passato ‘persiano’ della Cappadocia con discussione delle fonti antiche vd. Debord 1999, 83-110, con precedente bibliografia. Ulteriori aggiornamenti e uno sguardo più diretto al territorio in Sofou 2005, 739-766.
5 Quando Appiano (Mithr. 9) riferisce che Mitridate I (Ktistes) arrivò ad espandersi su ‘tutta la Cappadocia’ si riferisce in realtà al territorio che sarà poi quello del regno pontico (così McGing 1986, 15 e n. 18), o testimonia invece della formazione di un regno almeno in questa prima fase unitario, pontico-cappadoce, che fornirebbe le basi per successive rivendicazioni rivolta alla Cappadocia come ‘possesso avito’ (così Desideri 1973, 3 e n.3)?
persino possibile che molte delle notizie sopravvissute possano in ultima istanza derivare da un’unica fonte, Polibio7.
E’ un frammento polibiano infatti l’unico appiglio per collocare una tradizione circa l’origine del regno di ‘Cappadocia’ -ma non necessariamente della sua casa regnante- al di fuori da possibili interferenze derivanti dal clima delle guerre mitridatiche. Si tratta però di un frammento privo di contesto riconoscibile, in cui non risulta esplicito il coinvolgimento della casa degli Ariaratidi, e dal quale si può trarre una eco assai poco diretta del testo polibiano. Il breve passo, tradito dal De thematibus di Costantino Porfirogenito, contiene allusioni all’origine del regno della cosiddetta ‘grande Cappadocia’, di cui si precisa un’estensione “fino a Cesarea e dal Tauro fino al Ponto” con limiti orientali al fiume Halys e occidentali costituiti dal territorio della Melitene, e l’autorità polibiana è invocata esplicitamente per questo dettaglio di estensione territoriale (καὶ τούτων μάρτυς Πολύβιος, ὁ τὴν ῾Ρωμαϊκὴν ἱστορίαν γεγραφώς, ὃς διορίζει τὴν Καππαδοκίαν ἀπό τε Ταύρου καὶ Λυκαονίας καὶ ἕως τῆς Ποντικῆς θαλάττης)8.
A questa delimitazione geografica si aggiunge l’osservazione che anche il nome della regione, Cappadocia, è persiano, e da ciò prende spunto una narrazione di particolare interesse, ma che mostra evidenti lacune e abbreviazioni: il frammento polibiano narra infatti che “un Persiano” (Πέρσης γάρ τις ἀνήρ) il cui nome potrebbe essere caduto in lacuna, ma con altrettanta probabilità potrebbe essere stato del tutto tralasciato dall’epitomatore, nel corso di una partita di caccia avrebbe soccorso “il re Artaserse o non so chi altro” (᾿Αρταξέρξῃ τῷ βασιλεῖ, ἢ οὐκ οἶδα ἄλλῳ τινί) aggredito da un leone. In premio questo Persiano (οὗτος οὖν ὁ Πέρσης)9 salito sulla cima di “un monte altissimo” avrebbe ricevuto in
dono tutta la terra che coglieva con lo sguardo, in ogni direzione10. A chiusura dell’aneddoto si attesta
una provenienza polibiana -difficile da riconoscere altrimenti- anche di tutto questo racconto (ταῦτα δὲ ἱστορεῖ Πολύβιος).
L’identità del Persiano è certamente irrecuperabile sulla base di Polibio, ma quasi altrettanto oscura sembra -per ammissione stessa dell’epitomatore- quella del sovrano che avrebbe elargito il territorio: se si ritiene che sia effettivamente un Artaserse, potrebbe trattarsi di Artaserse II11, tuttavia è difficile
anche stabilire se l’incertezza sull’identità del sovrano risalisse a Polibio stesso, o a una eventuale altra fonte che citava il passo polibiano, o ancora in ultima istanza all’epitomatore.
7 Si tratterebbe di Polibio per Breglia 1978, 128-129, ma su questa ipotesi vd. infra.
8 Plb. fr. inc. 54. Il passo potrebbe anche essere un estratto da un autore che a sua volta cita Polibio, che viene qui presentato come ‘l’autore della storia romana’, ma in ogni caso è molto distante dallo stile dello storico megalopolitano. 9 Questa designazione mi sembra deporre a favore dell’assenza di un idionimo all’inizio del racconto, benchè ciò non fornisca nessuna indicazione solida circa la presenza o meno di un nome proprio nell’originale polibiano.
10 Plb. fr. 54: οὗτος οὖν ὁ Πέρσης ἐπί τινος ὄρους ὑψηλοτάτου ἀναβὰς καὶ πᾶσαν τὴν γῆν περισκοπήσας, ὅσην ὀφθαλμὸς ἀνθρώπινος περιβλέπει κατά τε ἀνατολὰς καὶ δυσμὰς ἄρκτον τε καὶ μεσημβρίαν, δωρεὰν παρὰ τοῦ βασιλέως πᾶσαν εἴληφε. 11 Cfr. Walbank 1979, 472 non avanza ipotesi circa l’identità di questo sovrano. Lo indica come Artaserse II senza ulteriori spiegazioni Briant 2002, 134.
Alcuni elementi della narrazione, le circostanze della caccia e il pericolo corso dal re a causa di un leone, ricorrono anche in altri racconti ambientati nella corte persiana, sopravvissuti in diversi contesti e riguardanti anche altre figure di sovrani12, e si potrebbe quindi scorgere in questo una traccia di una
tradizione ‘locale’. Se davvero questo racconto è polibiano, dunque, si avrebbe testimonianza della circolazione di una versione -niente obbliga a credere però a pensare che fosse l’unica- circa la nascita del regno di Cappadocia che, se non smentisce affatto l’eredità persiana, non presenta d’altro canto nessi leggibili con i Sette Persiani13, cui si richiamava invece secondo la testimonianza polibiana la
dinastia pontica14.
Occorre dunque ora brevemente riesaminare le caratteristiche e -ove possibile- l’orizzonte cronologico di un’altra e più celebre versione circa le rivendicazioni cappadoci, sopravvissuta in Diodoro15. Di questo autore si conserva infatti un esteso frammento, che contiene un racconto di gran
lunga più circostanziato ed esplicito rispetto a quello del frammento polibiano. In esso è contenuta infatti una genealogia fin troppo ricca di nomi che dal tempo di Ciro il Grande conduce fino ad Ariarate V, focus di questa sezione del racconto. Il testo, lungo e complesso, e sul quale si è ampiamente dibattuto16, ripercorre la genealogia cappadoce -a partire da uno spunto che la conservazione
frammentaria dell’opera non permette di riconoscere- affermando che così “gli stessi re cappadoci” l’accettano, presentando quindi tale versione come ufficiale e riconosciuta dalla dinastia regnante.
In essa ha particolare evidenza in primo luogo l’esplicito legame con Ciro il Grande, e poi anche con i Sette Persiani che uccisero il Mago17, mentre assolutamente in ombra rimane, almeno nelle fasi iniziali
della genealogia, l’origine del regno, dal momento che la sorella di Ciro il Grande sposa un Farnace che è già “re di Cappadocia”18, e solo successivamente si incontrano indicazioni utili a mettere a fuoco il
territorio in questione, ed il grado di autonomia che esso andava ottenendo nel mondo persiano.
Si può osservare quindi come manchi l’accento sulla figura di un ‘fondatore’ del regno, mentre ottiene ampio spazio la ricostruzione della linea di sangue che lega i dinasti cappadoci agli Achemenidi:
12 Cfr. l’elenco fornito da Briant 2002, 134: Diod. 15, 10, 3 in cui appare Tiribazo che salva la vita di Artaserse II minacciato da due leoni durante una caccia. Diverso l’esito per il salvatore, ma non troppo distante la situazione nel racconto sopravvissuto in Ctesia FGrHist 688 F 40 in cui è Megabizo a uccidere il leone, ma il re Artaserse I vede nel gesto un’usurpazione dei propri privilegi, e lo punisce.
13 Si tratta di una tradizione isolata per Panitschek 1987/1988, 76. Breglia 1978, 112 n. 22 ne metteva fortemente in dubbio l’origine polibiana, e non considerava poi il passo nel corso del contributo dedicato alla ricostruzione della dinastia cappadoce, e concludeva pronunciandosi a favore di Polibio fonte unica per il brano diodoreo (Diod. 31, 19), ma su questo vd. infra.
14 Vd. supra. 15 Diod. 31, 19.
16 Cfr. il contributo di Breglia 1978 per una discussione delle posizioni precedenti. Non essendo centrale per gli scopi di questa analisi, si proporranno qui solo alcune osservazioni circa questo testo, di cui non si intende rinnovare un’analisi completa.
17 Diod. 31, 19, 1: Ὅτι λέγουσιν ἑαυτοὺς οἱ τῆς Καππαδοκίας βασιλεῖς εἰς Κῦρον ἀναφέρειν τὸ γένος τὸν ἐν Πέρσαις, διαβεβαιοῦνται δὲ καὶ τῶν ἑπτὰ Περσῶν τῶν τὸν μάγον ἐπανελομένων ἑνὸς ὑπάρχειν ἀπόγονοι.
18 Per il computo della discendenza da Ciro, vd. Diod. 31, 19, 1-2: καὶ τὴν μὲν ἀπὸ Κύρου συγγένειαν οὕτω καταριθμοῦνται. Καμβύσου τοῦ Κύρου πατρὸς ἀδελφὴν ὑπάρξαι γνησίαν Ἄτοσσαν· ταύτης δὲ καὶ Φαρνάκου τοῦ Καππαδοκίας βασιλέως γενέσθαι παῖδα Γάλλον, καὶ τούτου γενέσθαι Σμέρδιν, οὗ Ἀρτάμνην, τοῦ δὲ Ἀναφᾶν, ὃν καὶ διενεγκεῖν μὲν ἀνδρείᾳ καὶ τόλμῃ, γενέσθαι δ᾿ ἕνα τῶν ἑπτὰ Περσῶν.
due generazioni dopo questo Farnace, legato per matrimonio alla dinastia di Ciro, l’accento cade nella narrazione diodorea su un personaggio, Anaphas, che è “uno dei Sette Persiani”19. Sempre affermando
di attenersi a una tradizione cappadoce, Diodoro individua in questo momento la concessione di una signoria sulla Cappadocia esente da tributi20. Poche generazioni più tardi Datame, chiamato “sovrano di
Cappadocia”, è in guerra contro i Persiani.
Ancora due generazioni e compare il primo Ariarate, nome destinato a farsi ricorrente nella dinastia, il cui armonioso accordo con il fratello Oroferne (o Oloferne) certo contrasta con le vicende del più recente Ariarate V, spodestato dal (presunto) fratello Oroferne e poi ristabilito sul trono21, tuttavia il
frammento diodoreo non affronta esplicitamente tale conflitto, e non suggerisce dunque una chiave ‘attualizzante’ per la lettura di questa fase genealogica.
Se si esclude dunque la problematica coppia di fratelli Ariarate e Oroferne, è proprio a partire dai loro successori che i parametri cronologici rientrano in un orizzonte più chiaro: le menzioni di (Artaserse) Ochos, di Alessandro e di Perdicca forniscono coordinate cronologiche sufficientemente riconoscibili. A partire poi da Ariarate figlio di Ariaramne e legato (per iniziativa paterna) alla casa dei Seleucidi tramite il matrimonio con Stratonice figlia di Antioco II Theos, il quadro riceve anche il conforto numismatico22. La registrazione dei legami matrimoniali con i Seleucidi non porta però come
si è detto alla formulazione esplicita di una ‘doppia discendenza’, achemenide e seleucide, per i sovrani della dinastia, come appare invece, almeno in Giustino23, nel caso pontico.
Inoltre, se particolare peso -negativo- ha il secondo legame matrimoniale con la casa seleucide, quello contratto tra Ariarate IV e Antiochide figlia di Antioco III, la lista si chiude ancora con una forte sottolineatura dell’origine achemenide: “riguardo alla discendenza da Ciro dei regnanti di Cappadocia
fino al momento presente, questo è quanto” (ἀλλὰ τὰ μὲν περὶ τῆς εἰς Κῦρον ἀναφορᾶς τῶν μέχρι τοῦδε τῆς
Καππαδοκίας βασιλευσάντων ἐν τούτοις).
Visto il rilievo nettamente negativo dato alla figura della regina Antiochide (πανοῦργος μάλιστα) un’enfasi sulla derivazione seleucide sarebbe stata poco adatta, anche alla luce del clima politico che sappiamo essersi instaurato al tempo di Ariarate V: il re infatti, di cui si sottolinea la lealtà ai Romani, proprio in ossequio a tale lealtà aveva rifiutato un legame matrimoniale con la casa di Demetrio I di Siria, il quale aveva appoggiato le rivendicazioni al trono del rivale Oroferne, e le cui azioni sono non a
19 Il nome non corrisponde ad alcuno di quelli traditi da Hdt. 3, 83, ma in lui si riconosce usualmente Otane, sia in ragione della posizione preminente nella lista di Ctesia (FGrHist 688 F 13, 16 in cui è tradito Onophas), sia alla luce della circostanza che in Erodoto si menziona un Anaphas figlio di Otane (Hdt. 7, 62, 2), il quale a sua volta dovrebbe essere identificato con l’Otane che prese parte attiva nella congiura contro Smerdi, cfr. Schmitt 1985 s.v. Othanes.
20 Da questa notazione si ricavano indicazioni in favore di una identificazione di Anaphas con l’Otane del raccondo erodoteo, cfr. di recente Debord 1999, 89.
21 Alla vicenda non si accenna nel frammento, ma su di essa vd. Diod. 31, 19, 7 (e più brevemente Zon. 9, 24); cfr. Diod. 31, 32 e 32b e App. Syr. 47. Sulla vicenda vd. il punto in Will 1982, 373-4 con panoramica delle fonti sopravvissute.
22 Sulla monetazione dei sovrani cappadoci vd. Simonetta 1977, 30-40, con il più recente inquadramento di Mørkholm 1991, 174-175 e 193-194; deCallataÿ 1990, 891-895; deCallataÿ 1997, 209-214.
caso del tutto assenti almeno dal frammento conservato, ma centrali invece negli altri racconti che di questi anni sopravvivono (e certamente conosciute anche alla possibile fonte di Diodoro, Polibio, il cui legame personale con Demetrio I di Siria è noto)24.
Il centro cui tende la rivendicazione dinastica -con apparente adesione di chi la riporta o, se si preferisce, senza visibili prese di distanza- è certamente Ariarate V, che regna dal 163 al 130. E’ solo a partire da suo figlio Ariarate VI che sono certi i legami matrimoniali della dinastia cappadoce con quella pontica, anche se il quadro potrebbe essere ancora più complesso e prevedere legami anche precedenti25. Se, per via d’ipotesi, si ritiene che la lista, pur con le sue inesattezze e manipolazioni,
rifletta credibilmente un panorama di metà II secolo (compatibile quindi con un orizzonte polibiano), quanto di questa si dovrebbe credere in dialogo con analoghe rivendicazioni della casa pontica?
Si prospettano dunque alcuni scenari alternativi: se si accetta la paternità polibiana del frammento già analizzato (Plb. fr. 54), si deve concludere che nel II secolo fossero note a Polibio tradizioni differenti circa l’origine del regno di Cappadocia e di quello del del Ponto, che non avrebbero ragioni di essere accostati se non per questioni legate all’estensione rispettiva dei due territori26. Nel caso pontico infatti i
termini della rivendicazione dinastica emergevano in un’occasione specifica, quella del legame promosso da Mitridate II con la casa seleucide, mentre per il caso cappadoce, originando da una digressione circa il nome del territorio, sembra mancare persino un esplicito legame con la casa degli Ariaratidi. E’ certo possibile che l’indeterminatezza con cui sono indicati i protagonisti della dinastia cappadoce sia conseguenza della cattiva conservazione del testo, o di interventi drastici dell’epitomatore, e si può ipotizzare che un’origine nobile del ‘Persiano’ destinatario del dono, e capostipite quindi della dinastia cappadoce, non sia esplicita nel frammento perché oscurata inavvertitamente nel corso della tradizione. D’altro canto si può trarre qualche indicazione a favore di un elevato status di questo anonimo personaggio dalla sua stessa presenza ad una caccia del re, attività propria della nobiltà, e dal suo coinvolgimento in un’impresa che sarà tramandata per altri tra i più nobili persiani. Non vi è invece alcuna ragione visibile, a meno che non si voglia leggere in questo senso proprio l’indeterminatezza con cui sono indicati i protagonisti, per pensare che la versione del frammento fosse frutto di ambienti ostili al regno di Cappadocia, né tantomeno vi si può leggere alcuna traccia di interferenze di una possibile propaganda pontica.
Un altro scenario si disegnarebbe invece se si ipotizzasse che il frammento qui esaminato non corrispondesse alla voce di Polibio, e che fosse Diodoro il depositario della ‘buona’ tradizione
24 Vd. Diod. 31, 28; Iust. 35, 1, 2.
25 Vd. infra su un possibile legame con la casa pontica già al tempo di Ariarate V.
26 La Cappadocia sembra aver goduto di precisazioni circa l’estensione (fr. 54), mentre per il regno dei Mtridatidi non sopravvivono tracce di una descrizione specifica –che peraltro potrebbe essere perduta, come moltissime indicazioni ‘geografiche’ polibiane- ma se ne indicava certamente la differenza dalla Cappadocia (è una Cappadocia presso l’Eusino in Plb. 5, 42, 9-43, 4).
polibiana. In questo caso si avrebbe la possibilità di fissare cronologicamente con maggior chiarezza, riconducendole ad uno stesso autore, formulazioni ampie e chiare per le rivendicazioni dinastiche sia pontiche che cappadoci, che nello stesso periodo avrebbero diffuso quindi due genealogie con forti somiglianze, e plausibilmente già in dialogo reciproco. Va ribadito però che una comune origine polibiana risulterebbe rassicurante solo perché permetterebbe di ascrivere le testimonianze ad un orizzonte cronologico indenne da influenze successive (ovvero da manipolazioni maturate negli anni delle guerre mitridatiche o immediatamente precedenti), dal momento che non si può ipotizzare con un qualche fondamento l’impiego da parte di Polibio di un’unica fonte per entrambe le rivendicazioni: il racconto sulla dinastia pontica, ‘datato’ sulla base del testo polibiano al 222, ha possibili precedenti ben più antichi, che potrebbero plausibilmente risalire a Ieronimo di Cardia27, mentre comunemente si
pensa che, se la fonte di Diodoro fosse davvero Polibio, egli avrebbe potuto valersi di informazioni di prima mano, o comunque coeve alla vicenda di Ariarate V.
Inoltre, se anche il brano di Diodoro dovesse basarsi su fonte diversa da Polibio, l’ipotesi di un comune orizzonte cronologico per le rivendicazioni cappadoci e pontiche non verrebbe necessariamente del tutto a cadere, poiché la narrazione diodorea mantiene visibili tracce di un’elaborazione che almeno per la maggior parte appartiene agli anni di regno di Ariarate V, e con elementi più antichi28.
Se si accetta dunque l’individuazione del regno di Ariarate V come cornice cronologica entro cui si sostenevano dal lato pontico e da quello cappadoce origini simili -ma rigorosamente non coincidenti- per le due dinastie, rimane problematico stabilire quale fosse l’intento perseguito da ciascuna, perché la natura dei rapporti tra i due regni risulta di ambigua lettura anche per questo torno d’anni. Le ragioni del legame matrimoniale stretto tra le due case -Laodice figlia di Mitridate V sposò infatti Ariarate IV Epifane29- non sono stabilite con certezza, e ci si può chiedere se esso sia stato l’esito di una sconfitta -o
subordinazione- della Cappadocia di fronte all’avanzata pontica30, o al contrario un pegno tangibile del
supporto e dell’aiuto che l’intervento pontico in Cappadocia avrebbe fornito alla casa reale31. D’altro
canto è anche possibile che legami matrimoniali tra i due regni esistessero già proprio a partire da Ariarate V: la Nisa, figlia di un basileus il cui nome non è conservato e che è onorata accanto al marito Ariarate V ad Atene32 può essere figlia di Farnace e della seleucide Nisa33, ed essere quindi una
principessa pontica.
27 Vd. supra circa la testimonianza polibiana e diodorea. 28 Così Breglia 1978, 128-129.
29 Iust. 38, 1, 1; Memn. FGrHist 434 F 22, 1.
30 E’ questa l’opinione più diffusa, vd. di recente Ballesteros Pastor 1996, 33. 31 Così Glew 1977, 385.
32 IG 2² 1330. Il nome del padre doveva comparire alla l. 68 (ἔδοξεν τοῖς περὶ τὸν Διόνυσον τε[χνίταις]· /ἐπειδὴ βασίλισσα Νῦσα βασιλέως [---, γυνὴ δὲ βασι]/λέως Ἀριαράθου […]).
33 Per questa principessa seleucide, vd. la designazione in ID 1497bis. Il suo nome potrebbe essere stato trasmesso alla figlia, ed è impossibile che la Nisa sposa di Ariarate provenisse direttamente dalla casa seleucide, poiché lo stesso Ariarate aveva rifiutato un legame matrimoniale con una sorella di Demetrio I di Siria.
Se si mantiene quindi comunque ferma una cornice cronologica di seconda metà del II secolo, dal confronto tra le due genealogie sembra leggibile da parte della casa pontica un tentativo di tracciare una discendenza più ‘indiretta’ dalla casa regnante persiana, ‘filtrata’ attraverso i Sette Persiani (ma il nome del Persiano individuato come capostipite non è sopravvissuto) e legata quindi agli anni di Dario I.
Dal lato cappadoce invece, se l’Anaphas presente nella ricostruzione dinastica di Diodoro - esplicitamente attribuita ad una prospettiva ‘cappadoce’- fosse da identificare con l’Otane che ebbe un ruolo tanto preminente nel racconto erodoteo, sarebbe d’obbligo avanzare anche qualche ipotesi circa il significato di un richiamo ad un personaggio che, meno di Dario certo, ma più di tutti gli altri partecipanti alla congiura contro il falso Smerdi, ebbe in essa un ruolo decisivo e, aspetto forse ancora più importante ai fini della comprensione di questa pretesa dinastica, mantenne dopo l’ascesa al trono di Dario una maggiore autonomia rispetto agli altri nobili persiani.
Tenendo conto che ogni ipotesi è fragile dal momento che molto materiale è perduto, e molto sopravvive in frammenti, si può in ogni caso supporre che se un generico richiamo alla nobiltà dei Sette Persiani poteva trovare un’eco nelle fonti greche, pochissimo interesse doveva sollevare invece l’identità del personaggio a cui le differenti dinastie intendevano richiamarsi, anche nel caso costui fosse tutt’altro che di secondo piano, come potrebbe essere il caso di Anaphas/Otane. Tale situazione rende difficilmente praticabile ogni tentativo di leggere una rivalità -pur plausibile- tra le case pontica e cappadoce circa la scelta del proprio antenato tra i Sette.
Diverso è il quadro se si considerano le posizioni più esplicite attestate nell’età di Mitridate VI, che chiamano in campo direttamente Dario I, tanto che si è ipotizzato che sia stato introdotto proprio negli anni dell’Eupatore un sensibile cambiamento nella ricostruzione dinastica della genealogia cappadoce, con l’inserimento del ‘fondatore’, Farnace34.
Se non si ritiene invece che la presenza di Farnace sia frutto un’interpolazione successiva, ma che essa fosse perfettamente coeva al resto della genealogia degli ariaratidi, la presenza di un Farnace all’origine della connessione tra una linea ‘cappadoce’ e la maggior nobiltà persiana testimonierebbe -già nell’età di Ariarate V- un tentativo di sostenere un’antichità maggiore di questa casa anche rispetto a quella pontica, postulandone un’origine da Atossa, sorella di Ciro il Grande. Il nome di Farnace, non ‘pontico’, ma certamente persiano, potrebbe però risultare grandemente significativo -e anche suscitare sospetti di interpolazione o attualizzazione nel passo diodoreo- se davvero anche la linea dinastica dei Mitridatidi fosse fatta risalire, da congetture moderne più che da esplicite testimonianze antiche, ad un Farnace, il padre del satrapo Artabazo il cui figlio Mitridate sarà al servizio di Eumene di Cardia nel 316/315, e avanzerà pretese di discendenza achemenide35.