1.7 I culti e le divinità
1.7.1 I rapporti con i centri religiosi del regno
E’ alla parte più interna e più lontana dalla realtà costiera, ricca di città greche, che appartengono quelli che Strabone descrive come i luoghi cultuali più rilevanti del Ponto: il tempio dedicato a Men non lontano da Cabira, il santuario di Comana Pontica per il culto di Ma, e quello di Zela per la dea Anaitis. Ancora una volta siamo debitori a Strabone per le informazioni circa la storia, l’organizzazione, il funzionamento amministrativo e cultuale di questi centri, che grazie anche ai paralleli esplicitamente
suggeriti dall’autore stesso costituiscono l’emergenza più leggibile e documentata per chiunque indaghi fisionomia, origini e sviluppo dei centri religiosi anatolici tra l’età ellenistica e quella romana.
Di recente in particolare i centri religiosi del Ponto nel loro complesso sono stati oggetto di un’attenzione specifica2, in qualche caso accompagnata da un rinnovato impegno nella ricerca di tracce
archeologiche che possano fornire conforto ai racconti sopravvissuti nelle fonti3. I risultati di scavo
però sono ancora molto lontani dal poter fornire indicazioni chiare circa l’identità di questi siti e le eventuali trasformazioni che subirono sotto i Mitridatidi ed in particolare sotto l’Eupatore.
Per queste realtà in particolare quindi le informazioni straboniane rimangono per ora le sole testimonianze solide, e non mancano riflessioni anche recenti che ne mettono a fuoco singole caratteristiche, e che in particolare esaminano il lessico straboniano per chiarire il funzionamento interno dei singoli centri, il rapporto di questi con il potere centrale, le origini possibili dei culti e le loro eventuali trasformazioni. Il risultato di queste analisi potrebbe naturalmente aiutare non solo a ricostruire l’aspetto e il funzionamento dei maggiori centri religiosi in Anatolia, ma limitatamente alla prospettiva adottata da questo studio potrebbe fornire elementi utili ancora una volta a comprendere la fisionomia del ‘pubblico interno’ cui Mitridate Eupatore dovette rivolgersi nell’arco del suo regno. E’ attorno a questi centri che sembra riunirsi infatti una ‘comunità’ pontica assai ampia, e che ne pratica con assiduità i culti. Si deve intendere questa comunità come la ‘metà’ iranica, o comunque non pienamente ellenizzata, del regno del Ponto? E’ lecito leggere nella fortuna e nella ricchezza di questi centri la forza dell’elemento non greco, la fisionomia visibile di quel territorio ‘interno’, montuoso, dai collegamenti più difficili, e che per caratteristiche di insediamento così come di matrice culturale fu profondamente diverso da quello ‘ellenizzato’ e costiero, in cui i sovrani pontici poterono promuovere un’immagine ‘greca’ per la loro dinastia?
Dall’interpretazione di singoli aspetti del culto praticato in alcuni di questi centri poi –in particolare il tempio di Men presso Cabira- si è da tempo segnalata la possibilità di trarre indicazioni circa le ‘vere origini’ della stessa dinastia pontica, e ancora all’identità e all’autorappresentazione dei sovrani riconducono alcune riflessioni circa il rapporto che essi stabilirono e mantennero nei confronti di queste realtà: nelle relazioni con essi i Mitridatidi aderirono ad un modello ‘achemenide’ oppure ‘seleucide’?
Per rispondere almeno in parte a questi quesiti si tenterà qui di riunire, a partire dalla testimonianza straboniana, quelle informazioni note e condivise4 che possono fornire una base utile per comprendere
2 Nella recente raccolta di studi su Mitridate VI frutto del convegno tenutosi a Copenhagen nel 2007, tre contributi sono dedicati, da differenti prospettive, ai santuari pontici: Sökmen 2009, 277-287 fa il punto sulle caratteristiche dei ‘temple- states’ pontici, Saprykin 2009, 249-275 ne indaga la rilevanza politica ed Ercyias 2009, 289-312 riporta i risultati della campagna di scavi intrapresa nel territorio di Comana, ancora molto distanti dal far chiarezza sull’età mitridatica.
3 In particolare è il caso di Comana: per gli scavi iniziati sotto la direzione della Dr. Ercyias dal 2004 vd. un aggiornamento puntuale in Ercyias 2009, 289-312. Altre informazioni anche dal sito http://www.komana.org/eindex.html.
4 Non si affronterà in questa sede alcun riesame complessivo dei centri religiosi anatolici, per il quale si rimanda di recente a Boffo 2003, 252-269 con discussione e ampia bibliografia.
meglio la possibile fisionomia di questi centri, e il loro peso nella formazione e nella diffusione all’esterno dell’immagine del regno pontico e dei suoi sovrani, cercando di cogliere da un lato la prospettiva da cui essi sono descritti5, e la percezione che di essi può essere ricostruita da chi li osservò
dall’esterno, e dall’altro di evidenziare quale significato essi abbiano avuto in particolare negli anni dell’Eupatore. Nell’esaminare il rapporto di Mitridate con questi centri occorrerà infine domandarsi in che cosa fu diverso –se lo fu- da quello dei suoi predecessori.
Cabira, Ameria e il culto di Men Pharnakou
Seguendo l’ordine della descrizione straboniana, il primo centro religioso pontico che si incontra è quello nei pressi di Cabira, dedicato al culto di Men Pharnakou.
L’intera zona sotto gli occhi di Strabone è molto diversa da quella dei tempi dell’Eupatore: ora dell’area dove sorgeva l’antica Cabira, che l’Eupatore aveva amato particolarmente tra le sue basileia, e che Pompeo in seguito trasformò in polis con il nome di Diospolis, la regina Pythodoris ha fatto la sua residenza e la chiama Sebaste6. Il santuario non si trova in città, ma poco distante, e comprende tra i suoi
possedimenti anche la komopolis Ameria, che ospita i molti hierodouloi, e una chora hiera, i cui frutti vanno ancora ai sacerdoti, benché per concessione della regina.
E’ a questo punto che Strabone lascia l’attualità e ricorda il valore che il tempio aveva ‘per i re’: essi lo venerarono a tal punto che la formula del giuramento dei sovrani comprendeva ‘la Tyche del re e Men Pharnakou’7. Strabone poi sottolinea che il tempio è dedicato anche a Selene, e fornisce una serie di
paralleli per l’associazione nel culto di queste due divinità: ve ne sono presso gli Albani, presso i Frigi, e poi ad Antiochia di Pisidia e ad Antiochia (al Meandro).
Le indicazioni di maggior interesse che si possono trarre dalla breve digressione straboniana in età ‘regia’ riguardano la circostanza che il dio venerato sia il Men ‘di Farnace’. Ogni ulteriore riflessione circa il significato di questo centro per la dinastia dei Mitridatidi dipende dall’identificazione di questo ‘Farnace’. Benché si sia potuto leggere Pharnakou come epiclesi divina, di origine persiana, il confronto con le altre attestazioni del culto di Men invita a pensare che Pharnakou indichi piuttosto al genitivo il nome del fondatore del tempio e del culto8. Decisivo però sarebbe stabilire se si tratti del re Farnace I,
oppure di quel Farnace che potrebbe essere comparso tra i più antichi personaggi della dinastia pontica,
5 Sulla ‘competenza’ straboniana in particolare per la descrizione dell’aspetto e del funzionamento dei centri religiosi in Cappadocia e Ponto Boffo 2005, 259-265, con bibliografia.
6 Strabo 12, 3, 29 C 555-556.
7 Strabo 12, 3, 31 C 556: ἐτίμησαν δ᾿ οἱ βασιλεῖς τὸ ἱερὸν τοῦτο οὕτως εἰς ὑπερβολὴν ὥστε τὸν βασιλικὸν καλούμενον ὅρκον τοῦτον ἀπέφηναν τύχην βασιλέως “καὶ Μῆνα Φαρνάκου”.
8 Che il nome in genitivo indichi il fondatore del culto è sostenuto già da Lane 1976, 67. Vi è però anche l’ipotesi che si possa trattare di un’epiclesi divina di matrice persiana, vd. l’ipotesi riferita in Reinach 1890, 241. Per le altre attestazioni del culto di Men designato con un nome proprio in genitivo (il Men di Artemidoro, di Apollonio, di Epicrate, di Diodoto o di Attalo) vd. di recente Labarre 2009, 395 e n. 36 con ulteriore bibliografia.
il ‘re di Cappadocia’ che nella narrazione diodorea avrebbe sposato Atossa sorella di Ciro, saldando il legame più antico con la dinastia achemenide9.
In questo caso le conseguenze sarebbero chiare: da un lato si avrebbe l’attestazione che il personaggio a noi noto solo nella ricostruzione diodorea della dinastia cappadoce non solo aveva rilievo come ‘antenato comune’ anche nel territorio pontico, ma era perpetuato nel ricordo collettivo dal giuramento di ogni sovrano al momento dell’ascesa al trono –consuetudine cui si deve immaginare che nemmeno Mitridate VI debba essersi sottratto. Nella devozione dei Mitridatidi al Men ‘di Farnace’ si dovrebbe leggere dunque una tradizione di omaggio alle origini ‘achemenidi’ della dinastia che si deve immaginare piuttosto antica, anche se la designazione collettiva di Strabone non aiuta a precisare a partire da quale sovrano tale costume possa essere stato assunto.
La circostanza però che il ‘fondatore’ della dinastia dei Mitridatidi possa essere stato il Farnace noto a Diodoro è però a mio avviso ancora troppo scarsamente testimoniata: a fronte di un panorama che attesta altri personaggi all’origine della dinastia, la sola testimonianza diodorea, che risente per di più di una forte rilettura ‘cappadoce’, non basta a sostenere tutto il peso dell’ipotesi10.
Rimane a mio avviso più probabile pensare che il Farnace fondatore del culto di Men presso Cabira sia stato Farnace I, non necessariamente un sovrano che mostrò chiara volontà di celebrare origini esclusivamente ‘persiane’ per la propria dinastia, se si vuol leggere in questo senso il trasferimento della capitale da Amaseia alla greca e costiera Sinope. Non costituisce prova, ma può essere citata a conferma di questa ipotesi la possibile presenza dell’immagine di Men in una coniazione da Farnacia precedente agli anni dell’Eupatore11.
Un’altra rilevante questione riguarda l’identità del dio Men: basta questa da sola a connotare profondamente in senso ‘persiano’ il centro presso Cabira e il culto che vi era ospitato?
Strabone è probabilmente la fonte letteraria più antica circa il culto di questa divinità lunare12, di cui
come si è detto conosce non solo il culto pontico ma anche quello praticato ad Antiochia di Pisidia e ad Antiochia al Meandro, ma la sua narrazione non contiene particolari decisivi, né sono univoche in questo senso tutte le altre attestazioni sopravvissute, tanto che circa l’origine di questo culto sono tutt’ora discusse quattro possibilità: si tratta di una divinità ‘indigena’ (un dio frigio13), o ha piuttosto
origini semitiche, oppure persiane (dove sarebbe assimilabile al dio lunare iranico Mao) o ancora greche (in cui ad essere divinizzata sarebbe l’unità temporale del mese)? Le quattro ipotesi non hanno tutte la stessa probabilità di essere vere, ed attualmente si è particolarmente discusso sulla possibile natura
9 Vd. Diod. 31, 19, 1-2 (sulla possibilità che questo Farnace sia il progenitore della dinastia pontica vd. supra cap. 1.2.1). Sulla possibilità che si tratti del lontanissimo progenitore persiano della dinastia, vd. l’ipotesi riferita da Lane 1976, 67, e di recente anche Sökmen 2009, 283 e n. 66.
10 Vd. supra cap. 1.1.2. 11 Lane 1975, pl. 1 nr. 1.
12 Per una rassegna delle testimonianze vd. la monografia di Lane 1971, con gli aggiornamenti di Labarre 2009, 389-414. 13 Consapevole del rischio di attribuire a ‘frigio’ un significato troppo letterale per quella che può essere una designazione ‘poetica’ di quanto genericamente proviene dall’Asia Minore è Labarre 2009, 391 con indicazioni bibliografiche.
persiana14 oppure ‘indigena’, anatolica, del dio15. L’appartenenza alla sfera dei culti solari e lunari, così
diffusi in orizzonti diversi, complica naturalmente il compito di ricostruire le ‘vere origini’ di Men, ed in particolare del Men pontico, ma la questione delle origini del culto non è necessariamente centrale per la comprensione del ruolo che esso potrebbe aver svolto sotto i Mitridatidi. Sembra ormai assodato che il santuario pontico non poté essere né un ‘luogo di nascita’ per il culto di Men, né un centro rilevante per la sua diffusione in Anatolia, dal momento che la maggior concentrazione del culto è individuabile piuttosto nella Frigia meridionale e nella Pisidia centrale16. Per il Ponto si dovrà forse pensare quindi ad
un fenomeno di ‘esportazione’ come quello che ne spiega le attestazioni in Attica, a Delo e a Rodi17.
Mancano poi, se si cerca conforto da un quadro complessivo della diffusione del culto, testimonianze solide in Asia più antiche di fine III-II secolo. Di fronte all’impossibilità di fornire risposte certe, valide in particolare per il caso pontico, sarà più opportuno immaginare che la divinità sia stata, in un momento non troppo lontano dal regno di Farnace I, investita di un’importanza particolare per la casa pontica. Legato a un orizzonte che in mancanza di dati più specifici si potrebbe indicare genericamente come ‘anatolico’, dalla descrizione straboniana, pur sommaria, non sembra aver avuto –o aver conservato fino ai tempi di Strabone- caratteristiche marcatamente ‘persiane’, né tratti che ne segnalino profonda distanza da una divinità ‘greca’. A riprova delle scarse evidenze a sostegno di un’origine persiana del culto si può infine citare l’argomento sostenuto a suo tempo da Lane: la matrice ‘persiana’ del culto di Men troverebbe conferma anche dal fatto che esso fu venerato nel Ponto, “an extremely Iranized kingdom”18.
Dal testo straboniano d’altra parte non si può ricostruire molto circa l’atteggiamento dell’Eupatore verso il tempio e il culto che vi si praticava: ogni informazione riguarda –e come si è detto è una costante nell’impostazione della narrazione straboniana- ‘i sovrani’ e non uno in particolare, e la circostanza che l’Eupatore avesse eletto a sua residenza favorita la vicina Cabira –pur con l’informazione che essa ospitava animali e tenute per la caccia riconducibili per alcuni ad una ostentazione dello stile ‘persiano’, non basta a supporre una particolare promozione del tempio e del culto in esso praticato ad opera di Mitridate VI. In ogni caso Mitridate nel frequentare l’area o nel rendere onore a Men non avrebbe fatto altro che seguire le orme dei suoi antenati.
Comana e il culto di Ma
Strabone dovette avere un’ottima conoscenza anche del maggior santuario pontico19, Comana
Pontica -per distinguerla dall’omonima città-santuario di Cappadocia-, anche per ragioni ‘familiari’,
14 A più riprese torna su questa ipotesi Lane, vd. e.g. Lane 1990, 2170-2171.
15 Labarre 2009, 392-394 confuta in particolare la possibilità di riconoscere in Men la divinità persiana Mao. 16 Labarre 2009, 407.
17 Vd. il punto in Labarre 2009, 397-398. 18 Lane 1990, 2170.
19Il lessico per designare questa realtà è piuttosto incerto: Strabone esplicitamente la definisce emporion, ma in riferimento al periodo successivo alla sistemazione di Pompeo (Strabo 12, 3, 36 C 559), è difficile pensare che polis possa adattarsi alla realtà di Comana al tempo ‘dei re’. In App. Mithr. 64, 269 è un ‘grandissimo villaggio, con un tempio ricco e venerabile (δὴ
poiché dichiara che ne fu gran sacerdote, scelto dall’Eupatore, quel Dorilao, nipote di Dorilao ‘Tattico’
philos dell’Evergete, che figura tra gli antenati materni di Strabone stesso20, e di cui il geografo ricorda
tanto l’ascesa alla dignità di gran sacerdote, quanto la successiva caduta in disgrazia, che finì per coinvolgere tutta la sua famiglia, quando fu scoperto a tramare contro l’Eupatore21.
Anche nella descrizione di Comana Strabone si avvale di paragoni stretti con altre realtà, poiché la segnala innanzitutto come gemella della Comana di Cappadocia22: il tempio ha lo stesso modello, vi si
venera la stessa dea, Ma, i riti sono assai simili e le accomuna anche la presenza di oracoli e l’onore di cui godono i gran sacerdoti23. Sono questi onori a meritare una breve descrizione: essi raggiunsero il
culmine ‘sotto i re precedenti’ (μάλιστα ἐπὶ τῶν πρὸ τοῦ βασιλέων), quando in due occasioni all’anno, durante la processione della dea, il gran sacerdote indossava il diadema ed era onorato come ‘secondo dopo il re’24.
Poiché lo stesso Strabone autorizza a farlo, qualche indicazione circa i culti di questa Comana può essere ricercata nel confronto con l’omonima cappadoce, a proposito della quale Strabone afferma che vi aveva sede il tempio di Enyo, che ‘quelli chiamano Ma’, vi avevano alloggio in gran numero profeti e
hierodouloi, e l’intera area, pur formalmente soggetta al re, era governata in realtà dal gran sacerdote –di
cui si segnala anche in questo caso il rango di ‘secondo dopo il re’25. A proposito della Comana
cappadoce Strabone aggiunge anche l’informazione che normalmente il gran sacerdote apparteneva al
genos del re26. L’etimologia della Comana di Cappadocia è poi spiegata con il ricordo dell’offerta votiva
di una ciocca della chioma in segno di lutto da parte della coppia Oreste e Ifigenia che avrebbero importato anche i riti che lì si celebrano dalla Scizia Taurica, in onore di Artemide Tauropolis27. Non è
possibile però stabilire se anche per l’etimologia della Comana Pontica esistessero spiegazioni simili.
διὰ Καππαδοκίας αὐτίκα ἐσβαλὼν ἐς Κόμανα, κώμην ὑπὸ τῷ Μιθριδάτῃ μεγίστην, σεβάσμιον ἱερὸν καὶ πλούσιον ἔχουσαν), cui si accenna durante le fasi della Seconda Mitridatica. In merito vd. anche Ballesteros Pastor 1996, 339. Il lessico impiegato da Appiano è sfruttato anche nella messa a punto di inquadramenti generali circa i santuari d’Asia Minore, vd. di recente Boffo 2003, 263. Anche a proposito di Pessinunte Strabone parla di un emporion, vd. Strabo 12, 5, 3 (C 567-568). Per le possibili informazioni che si possono ricavare dal caso di Pessinunte utili per una migliore comprensione dei santuari d’Anatolia e per quello di Comana in particolare, vd. Virgilio 1981, part. 57-75.
20 Questo Dorilao è lo stesso che compare nel monumento di Delo, ID 1572, vd. supra cap. 1.5.2. La madre di Strabone ne è la bisnipote. Alla sua famiglia Strabone accenna cursoriamente, vd. Strabo 10, 4, 10 C 477; 12, 3, 33 C 557-558, e di recente Cassia 2000, 211-237. 21 Strabo 12, 3, 33 C 557. 22 Strabo 12, 3, 32 C 556: Ὑπὲρ δὲ τῆς Φαναροίας ἐστὶ τὰ Κόμανα τὰ ἐν τῷ Πόντῳ, ὁμώνυμα τοῖς ἐν τῇ μεγάλῃ Καππαδοκίᾳ καὶ τῇ αὐτῇ θεῷ καθιερωμένα, ἀφιδρυθέντα ἐκεῖθεν, σχεδὸν δέ τι καὶ τῇ ἀγωγῇ παραπλησίᾳ κεχρημένα τῶν τε ἱερουργιῶν καὶ τῶν θεοφοριῶν καὶ τῆς περὶ τοὺς ἱερέας τιμῆς… 23 Strabo 12, 3, 32 C 556. 24 Strabo 12, 3, 32 C 556: …ἡνίκα δὶς τοῦ ἔτους κατὰ τὰς ἐξόδους λεγομένας τῆς θεοῦ διάδημα φορῶν ἐτύγχανεν ὁ ἱερεύς, καὶ ἦν δεύτερος κατὰ τιμὴν μετὰ τὸν βασιλέα. In dettaglio e in profondità sui significati del lessico straboniano nella delineazione delle caratteristiche del santuario Boffo 2003, 261-264. In Strabone non vi sono riferimenti leggibili per stabilire il momento in cui Comana Pontica entrò a far parte del regno dei Mitridatidi. Sulla questione vd. Ballesteros Pastor 2002, 147-148, che ne ricostruisce una precedente pertinenza al territorio cappadoce.
25 Strabo 12, 2, 3 C 535. La dea titolare del santuario rimane invece anonima in App. Mithr. 114, 560. Riflette con precisione sul lessico straboniano per il santuario cappadoce Boffo 1985, 15-27, con ampia bibliografia.
26 Strabo 12, 2, 3 C 535: πρόσκειται δὲ τῷ ἱερῷ καὶ χώρα πολλή, καρποῦται δ' ὁ ἱερεὺς τὴν πρόσοδον, καὶ ἔστιν οὗτος δεύτερος κατὰ τιμὴν [ἐν] τῇ Καππαδοκίᾳ μετὰ τὸν βασιλέα· ὡς δ' ἐπὶ τὸ πολὺ τοῦ αὐτοῦ γένους ἦσαν οἱ ἱερεῖς τοῖς βασιλεῦσι.
Quanto a Comana Pontica, Strabone ne conosce anche vicende che riguardarono le guerre mitridatiche: a divenirne gran sacerdote, e proprio per i servizi resi alla causa romana già nelle ultime fasi della guerra di Silla, è Archelao già generale di Mitridate ma ormai al fianco dei comandanti romani28. La Comana che vede Archelao gran sacerdote è però molto cambiata: Pompeo ne ha
ingrandito il territorio, ed il centro ha ora un numero incrementato di abitanti e di hierodouloi29. Dopo
una digressione sulle successive fortune della famiglia di Archelao30 Strabone torna a descrivere
Comana, ma è ancora la Comana ridisegnata da Pompeo con ogni probabilità quella che ora gli sta davanti agli occhi, e che definisce un emporion frequentato soprattutto da quanti provengono dall’Armenia31, e descrive come capace di attrarre, in occasione delle processioni della dea, una
moltitudine di uomini e di donne provenienti tanto dalle città che dalla chora, oltre ai fedeli che vengono a consultarne l’oracolo32. Attesta poi la pratica della prostituzione sacra, che fa di Comana una ‘piccola
Corinto’, e che come Corinto attrae folle immense e vede una grande circolazione di ricchezze33.
Non si intende naturalmente suggerire che questi elementi –la pratica della prostituzione sacra, il gran concorso di gente da aree urbane come dall’entroterra- siano da leggersi come novità apportate dalla trasformazione di Pompeo. In particolare la popolarità e la capacità di attrarre una rilevante quantità di fedeli, di provenienza varia, sembra poter essere proiettata all’indietro nel tempo senza particolari rischi interpretativi.
Il destino futuro, ‘romano’, non tanto del santuario di Comana quanto del culto alla dea Ma potrebbe aver conosciuto proprio nella vicenda mitridatica uno snodo importante se, come alcuni sostengono, può doversi allo stesso Silla la promozione a Roma dell’identificazione di Ma con Bellona/Enyo34. Dalla vita plutarchea dedicata al comandante romano però nessun accenno esplicito
viene fatto né al santuario né alla dea, benchè Enyo in almeno un caso sia presentata nella sua veste ‘cappadoce’: in un sogno che Silla fece prima della partenza per la sua spedizione in Oriente, e proprio il giorno precedente la marcia su Roma, la dea “che i Romani hanno imparato a venerare dai Cappadoci, sia essa Semele o Atena o Enyo” gli porge un fulmine con cui colpire tutti i suoi nemici. Se fu attraverso Silla che il culto di Ma conobbe una diffusione occidentale, la circostanza non è affatto
28 Strabo 12, 3, 34-35 C 558. Sulla nomina di Archelao anche App. Mithr. 114, 560, per il quale Archelao diviene sacerdote della ‘dea di Comana’ godendo di un onore di rango regale (ἀπέφηνε δὲ καὶ τῆς ἐν Κομάνοις θεᾶς ᾿Αρχέλαον ἱερέα, ὅπερ ἐστὶ δυναστεία βασιλική). Lo stesso Appiano poi ricorda il momento in cui il sacerdozio fu tolto alla famiglia di Archelao da Cesare (App. Mithr. 121, 597).
29 Strabo 12, 3, 34 C 558. 30 Strabo 12, 3, 34-35 C 558-559.
31 E’ un emporion anche Pessinunte, vd. Strabo 12, 5, 3 C 567.
32 Strabo 12, 3, 36 C 559: Τὰ μὲν οὖν Κόμανα εὐανδρεῖ καὶ ἔστιν ἐμπόριον τοῖς ἀπὸ τῆς Ἀρμενίας ἀξιόλογον· συνέρχονται δὲ κατὰ τὰς ἐξόδους τῆς θεοῦ πανταχόθεν ἔκ τε τῶν πόλεων καὶ τῆς χώρας ἄνδρες ὁμοῦ γυναιξὶν ἐπὶ τὴν ἑορτήν· καὶ ἄλλοι δὲ κατ᾿ εὐχὴν ἀεί τινες ἐπιδημοῦσι θυσίας ἐπιτελοῦντες τῇ θεῷ. 33 Strabo 12, 3, 36 C 559: καί εἰσιν ἁβροδίαιτοι οἱ ἐνοικοῦντες, καὶ οἰνόφυτα τὰ κτήματα αὐτῶν ἐστι πάντα, καὶ πλῆθος γυναικῶν τῶν ἐργαζομένων ἀπὸ τοῦ σώματος, ὧν αἱ πλείους εἰσὶν ἱεραί. τρόπον γὰρ δή τινα μικρὰ Κόρινθός ἐστιν ἡ πόλις· καὶ γὰρ ἐκεῖ διὰ τὸ πλῆθος τῶν ἑταιρῶν, αἳ τῆς Ἀφροδίτης ἦσαν ἱεραί, πολὺς ἦν ὁ ἐπιδημῶν καὶ ἐνεορτάζων τῷ τόπῳ· οἱ δ᾿ ἐμπορικοὶ καὶ στρατιωτικοὶ τελέως ἐξανηλίσκοντο, ὥστ᾿ ἐπ᾿ αὐτῶν καὶ παροιμίαν ἐκπεσεῖν τοιαύτην οὐ παντὸς ἀνδρὸς εἰς Κόρινθόν ἐσθ᾿ ὁ πλοῦς”.
chiaramente leggibile dalle fonti. L’aspetto del culto appare peculiare –e orientale- solo nella descrizione