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I racconti continui di Plutarco e Appiano

Un’attenzione particolare meritano infine le testimonianze reperibili in Appiano e Plutarco, le sole per le quali si possa ricostruire un contesto ampio, e si possano avanzare con fondate ragioni ipotesi di derivazione da altre fonti antiche. Se si cerca di mettere a fuoco quale rilievo abbiano ottenuto le rivendicazioni dinastiche di Mitridate in questi autori, considerando a parte quegli elementi che pur concorrendo a formare un’immagine ‘orientale’ del sovrano, non hanno a che fare esplicitamente con la possibile origine ‘persiana’ della dinastia, occorre notare come in entrambi pochissimo spazio sia riservato agli antefatti della guerra ed ancor meno a tracciare qualche linea circa i predecessori di Mitridate.

L’impostazione delle vite plutarchee, in cui centro della narrazione non è mai il sovrano pontico ma i diversi comandanti romani che lo affrontarono, spiega in parte il silenzio circa le origini del sovrano in occasione di narrazioni pertinenti all’orizzonte cronologico del conflitto, anche se Plutarco mostra di conoscere almeno alcune tradizioni circa i primissimi sovrani del Ponto. A Plutarco infatti si devono due narrazioni di poco differenti circa la sorte di Mitridate Ktistes107, esplicitamente collegato alla

gentem Aorsorum, quod suam dextram petendae veniae delegerit.

105 Tac. Ann. 12, 18. L’apparentemente distonia nelle parole di Mitridate ad Eunone colpisce i commentatori moderni, sebbene non se ne approfondiscano le ragioni: così Koestermann 1967, 138-139, che si limita a notare, nell’estrema ed orgogliosa semplicità, l’importanza delle parole del deposto sovrano, senza ulteriormente argomentare, e vedendovi senz’altro un legame con le rivendicazioni di Mitridate VI. Accompagna l’argomentazione anche il confronto con Hor. Carm. 2, 12, 21, dove con dives Achaemenes si connota il tipico monarca orientale. Riconosce il debito con l’osservazione di Koestermann anche Panitschek 1987/1988, 80 e n. 41, che tuttavia non spinge molto oltre il proprio commento.

106 Tac. Ann. 12, 21.

107 Plut. Dem. 4; Reg. at. Imp. Apopht. 183a. Sul sogno di Antigono cf. anche Tertull. De anima 46, che ne attesta una trattazione anche a parte di Strabone nella sua perduta opera storica.

dinastia pontica cui le armi romane posero fine dopo l’ottavo sovrano108, cifra che coincide con quella

appianea109. E’ di grande interesse, come ha di recente notato A. Primo, la somiglianza del racconto

plutarcheo circa la fuga di Mitridate (futuro) Ktistes grazie all’avvertimento di Demetrio Poliorcete, con un’analoga tradizione sopravvissuta solo in Libanio, in cui i protagonisti sono invece il Poliorcete e Seleuco110: anche in questo caso la minaccia è costituita dal padre del Poliorcete, Antigono, e il mezzo

impiegato per avvertire del pericolo è lo stesso, una scritta tracciata sulla sabbia con la punta della lancia. Se si accetta l’ipotesi che, nonostante la seriorità della fonte che lo tramanda, sia l’episodio di Demetrio e Seleuco il modello per quello di Demetrio e Mitridate, si avrebbe qui traccia di una possibile rielaborazione di memorie dinastiche, forse promossa dalla casa pontica, di un tema che riguardava le fasi iniziali della dinastia seleucide, verso la quale il Ponto certo guardò come modello. Chi possa essere stato l’artefice di tale rielaborazione non è facile a dirsi, anche se naturalmente Mitridate Eupatore è un candidato tutt’altro che da scartare.

Se si guarda invece al libro mitridatico di Appiano cercando indizi circa le origini della casa pontica,

ci si trova di fronte ad una situazione differente, perché la prospettiva del racconto obbliga a dedicare un certo spazio agli antefatti della guerra, alle imprese degli antenati ed anche alla ‘propaganda’ di Mitridate.

Nelle brevi sezioni che ripercorrono le gesta degli avi infatti non manca una versione delle vicende di colui che diverrà Mitridate Ktistes: alla corte di Antigono vi era un Mitridate “che apparteneva alla famiglia reale persiana” (ἀνὴρ γένους βασιλείου Περσικοῦ), che fu arrestato e messo a morte a causa di 108 Plut. Dem. 4: Τοῦ μέντοι καὶ φιλάνθρωπον φύσει καὶ φιλέταιρον γεγονέναι τὸν Δημήτριον ἐν ἀρχῇ παράδειγμα τοιοῦτόν ἐστιν εἰπεῖν. Μιθριδάτης ὁ ᾿Αριοβαρζάνου παῖς ἑταῖρος ἦν αὐτοῦ καὶ καθ' ἡλικίαν συνήθης, ἐθεράπευε δ'᾿Αντίγονον οὔτ’ ὢν οὔτε δοκῶν πονηρός. ἐκ δ' ἐνυπνίου τινὸς ὑποψίαν ᾿Αντιγόνῳ παρέσχεν. ἐδόκει γὰρ μέγα καὶ καλὸν πεδίον ἐπιὼν ὁ ᾿Αντίγονος ψῆγμά τι χρυσίου κατασπείρειν, ἐξ αὐτοῦ δὲ πρῶτον μὲν ὑποφύεσθαι θέρος χρυσοῦν, ὀλίγῳ δ' ὕστερον ἐπελθὼν ἰδεῖν οὐδὲν ἀλλ’ ἢ τετμημένην καλάμην· λυπούμενος δὲ καὶ περιπαθῶν ἀκοῦσαί τινων λεγόντων, ὡς ἄρα Μιθριδάτης εἰς Πόντον Εὔξεινον οἴχεται τὸ χρυσοῦν θέρος ἐξαμησάμενος. ἐκ τούτου διαταραχθεὶς καὶ τὸν υἱὸν ὁρκώσας σιωπήσειν, ἔφρασε τὴν ὄψιν αὐτῷ καὶ ὅτι πάντως τὸν ἄνθρωπον ἐκποδὼν ποιεῖσθαι καὶ διαφθείρειν ἔγνωκεν. ἀκούσας δ’ ὁ Δημήτριος ἠχθέσθη σφόδρα, καὶ τοῦ νεανίσκου καθάπερ εἰώθει γενομένου παρ’ αὐτῷ καὶ συνόντος ἐπὶ σχολῆς, φθέγξασθαι μὲν οὐκ ἐτόλμησεν οὐδὲ τῇ φωνῇ κατειπεῖν διὰ τὸν ὅρκον, ὑπαγαγὼν δὲ κατὰ μικρὸν ἀπὸ τῶν φίλων, ὡς ἐγεγόνεσαν μόνοι καθ' αὑτούς, τῷ στύρακι τῆς λόγχης κατέγραψεν εἰς τὴν γῆν ὁρῶντος αὐτοῦ· φεῦγε Μιθριδάτα”. συνεὶς δ’ ἐκεῖνος ἀπέδρα νυκτὸς εἰς Καππαδοκίαν, καὶ ταχὺ τὴν ᾿Αντιγόνῳ γενομένην ὄψιν ὕπαρ αὐτῷ συνετέλει τὸ χρεών· πολλῆς γὰρ καὶ ἀγαθῆς ἐκράτησε χώρας, καὶ τὸ τῶν Ποντικῶν βασιλέων γένος ὀγδόῃ που διαδοχῇ παυσάμενον ὑπὸ ῾Ρωμαίων ἐκεῖνος παρέσχε. ταῦτα μὲν οὖν εὐφυΐας δείγματα τοῦ Δημητρίου πρὸς ἐπιείκειαν καὶ δικαιοσύνην. Il collegamento esplicito tra Mitridate Ktistes e Mitridate VI mancava invece nella narrazione diodorea.

109 App. Mithr. 112, 540, vd. infra.

110 Liban. 11, 81-82: Ἀντιγόνῳ δὲ πολεμοῦντι πρὸς Εὐμενῆ σύμμαχος ἐλθὼν τὸν μὲν Εὐμενῆ συγκαθεῖλε, πονηρὸν δὲ ἄρα τὸν Ἀντίγονον εὖ ποιῶν οὐκ ᾔδει· ὃς ἐπειδὴ δι’ ἐκείνου μέγας ἐγεγόνει, φθόνον εἰς τὸν εὐεργέτην λαβὼν ἐβούλευε θάνατον. ἐντεῦθεν δὴ θεῶν τις χεῖρα ὑπερέσχεν, ὥσπερ ἐν δράματι· ἀπὸ γὰρ τῆς αὐτῆς οἰκίας ὅ τε φόνος αὐτῷ κατεσκεύαστο καὶ τὸ τῆς σωτηρίας εὑρίσκετο. τοῦ μὲν γὰρ Θησέως τὴν ὥραν Ἀριάδνη θαυμάσασα τῇ μηρίνθῳ τοῦ λαβυρίνθου τὸν νεανίσκον ἐξέσωσε, Σελεύκου δὲ τὴν ἀρετὴν ὁ παῖς Ἀντιγόνου Δημήτριος ἀγασθεὶς γράμμασι μηνύει τὸν ἐπ’ ἐκείνῳ τοῦ πατρὸς δόλον, ἃ τῷ στύρακι τοῦ δορὸς εἰς τὴν κόνιν ἐνέγραψε τῷ μὲν δηλῶν τὸ μέλλον, τοὺς δὲ παρόντας λανθάνων. ἐντεῦθεν τὰ Εὐαγόρου Σέλευκος ὑπέμενε καὶ μικρὸν ὕστερον ἴσχυσε. τῷ καιρῷ μὲν γὰρ ὑποχωρήσας εἰς Αἴγυπτον ἀπαλλάττεται, βεβαιούμενος δὲ αὐτόθι Πτολεμαίῳ τὴν βασιλείαν, οὐ πλῆθος στρατιᾶς παρεχόμενος, ἀλλ’ ἓν σῶμα τὸ αὑτοῦ καὶ ψυχὴν μίαν, ἐπειδὴ τοῖς ἐκείνου πράγμασιν ἀσφάλειαν περιέθηκεν, ἐπεσπάσατο Πτολεμαῖον εἰς τὸ κατάγειν αὐτὸν καὶ λαβὼν ἱππέας καὶ πεζούς, ἀμφοτέρους εἰς χιλίους, ἐξέωσε μὲν τῆς Βαβυλῶνος τοὺς ἐχθρούς, ἐκομίσατο δὲ τὴν ἀρχὴν καὶ γυναῖκα καὶπαῖδας καὶ τὴν ἀρχαίαν λαμπρότητα. L’accostamento e l’analisi dei due brani è in Primo 2008, 409-425.

un sogno in cui egli sembrava mietere l’oro seminato da Antigono e fuggire poi nel Ponto111. Egli riuscì

però davvero a fuggire, con sei cavalieri -ancora una volta riproducendo il numero sette- e poté fissare una base solida in un luogo di Cappadocia -il borgo in cui si sarebbe in un primo momento attestato rimane anonimo- da cui avrebbe allargato successivamente la propria influenza al Ponto.

La narrazione appare particolarmente interessante perché ancora una volta quasi in bilico tra le due possibili versioni circa la formulazione di origini persiane: se la designazione della stirpe regale avvicina al filone che vuole riconoscere in Dario il capostipite della dinastia -pur non escludendo in realtà una possibile origine più ‘diluita’-, il numero sette che qui si incontra nel racconto della fuga di Mitridate potrebbe risvegliare, pur debolmente, l’eco della discendenza dai Sette persiani. Si sarebbe tentati quindi di rintracciare il riflesso del risultato della circolazione simultanea delle due tradizioni, non inconciliabili ma non del tutto coincidenti, circa l’origine della stirpe. Il quadro è ancor più interessante se si considera che a poca distanza Appiano stesso menziona come fonte Ieronimo di Cardia, almeno per le vicende che riguardano Eumene112. Se anche l’episodio dello Ktistes poggiasse su materiale di Ieronimo

(ed escludendo, beninteso, ogni intervento ‘attualizzante’ di Appiano) sarebbe necessario allora interrogarsi circa la possibilità di leggere la discendenza da Dario come ‘innovazione’ di Mitridate VI. Ma, ancora una volta, i dati non consentono più che spunti di riflessione.

Quando è invece Mitridate VI il protagonista della narrazione, Appiano attribuisce al sovrano almeno un’occasione in cui costui avrebbe vantato i propri antenati di fronte alle truppe113. Il clima è

simile a quello del discorso di Trogo, ma la cornice cronologica è molto diversa: si è infatti nella primavera del 73, all’apertura delle operazioni militari di quella che si rivelerà l’ultima ripresa delle ostilità tra Mitridate e Roma. Dopo un sacrificio a Zeus Stratios che Appiano aveva connotato come “secondo il costume patrio” e di cui conosceva l’origine persiana114, Mitridate in Paflagonia si rivolse

alle truppe riunite con un discorso di cui Appiano si contenta di fornire i temi -tra i quali la celebrazione degli antenati del re-, che non sono a prima vista particolarmente distanti da quelli del discorso trogiano, benché l’estrema sintesi delle parole di Appiano non consigli confronti particolarmente stretti, passando al discorso diretto solo quando l’attenzione si sposta sull’attualità del conflitto di Roma con Sertorio. La logica interna del racconto farebbe supporre che gli antenati magnificati da Mitridate in questa occasione dovessero essere persiani, cosa però niente affatto sorprendente visto il momento storico in cui questa orazione è collocata.

111 App. Mithr. 9, 27-28: Μακεδόνων δὲ οὐ πολὺ ὕστερον ἐς ἀλλήλους στασιασάντων ᾿Αντίγονος μὲν ἦρχε Συρίας, Λαομέδοντα ἐκβαλών, Μιθριδάτης δ' αὐτῷ συνῆν, ἀνὴρ γένους βασιλείου Περσικοῦ. καὶ ὁ ᾿Αντίγονος ἐνύπνιον ἔδοξε πεδίον σπεῖραι χρυσίῳ καὶ τὸ χρυσίον ἐκθερίσαντα τὸν Μιθριδάτην ἐς τὸν Πόντον οἴχεσθαι. καὶ ὃ μὲν αὐτὸν ἐπὶ τῷδε συλλαβὼν ἐβούλευεν ἀποκτεῖναι, ὃ δ' ἐξέφυγε σὺν ἱππεῦσιν ἓξ καὶ φραξάμενός τι χωρίον τῆς Καππαδοκίας, πολλῶν οἱ προσιόντων ἐν τῇδε τῇ Μακεδόνων ἀσχολίᾳ, Καππαδοκίας τε αὐτῆς καὶ τῶν ὁμόρων περὶ τὸν Πόντον ἐθνῶν κατέσχεν ἐπί τε μέγα τὴν ἀρχὴν προαγαγὼν παισὶ παρέδωκεν. 112 App. Mithr. 8, 25. 113 App. Mithr. 70, 295-298: ... ὡς δ’ ἀφίκετο, ἐδημηγόρησε τῷ στρατῷ περί τε τῶν προγόνων μάλα σεμνολόγως καὶ περὶ αὑτοῦ μεγαληγόρως, ὅτι τὴν ἀρχὴν ἐκ βραχέος ἐπὶ πλεῖστον προαγαγὼν οὔποτε ῾Ρωμαίων ἡττηθείη παρών. εἶτα κατηγόρησεν αὐτῶν ἐς πλεονεξίαν καὶ ἀμετρίαν, ὑφ' ἧς, ἔφη, καὶ τὴν ᾿Ιταλίαν καὶ τὴν πατρίδα αὐτὴν δεδούλωνται... 114 App. Mithr. 66, 276-279.

Tuttavia proprio in Appiano, forse in maniera sorprendente, la formulazione più netta circa le origini della casa pontica non compare nel discorso attribuito al sovrano, ma è presentata in una sezione apparentemente ‘oggettiva’ della narrazione, quando cioè al momento della morte del sovrano si ricostruisce all’indietro la sua dinastia contando sedici sovrani: “era il sedicesimo discendente del re persiano Dario figlio di Istaspe, e l’ottavo discendente di Mitridate che si rivoltò contro i Macedoni e ottenne il regno del Ponto”115.

Si può notare come nella formulazione compaiano, con una certa coerenza interna all’opera, quei punti nodali che era già stato possibile reperire altrove, ovvero la menzione della nascita della dinastia pontica a partire dallo Ktistes e le origini persiane, ma qui la formulazione è di gran lunga la più esplicita di quelle che ci sono pervenute.

A completare il quadro, occorre ricordare infine come anche un altro passo di Appiano sia citato tra quelli che corroborano l’origine regale persiana per Mitridate, ovvero la notazione che tra il bottino che Pompeo riportò dalla vittoria sull’Eupatore comparivano anche oggetti designati come appartenenti “a Dario figlio di Istaspe”116. Certo, gli oggetti da soli non bastano a provare una discendenza di sangue,

che peraltro era già stata precedentemente esplicitata da Appiano, ma almeno suggeriscono un ulteriore spunto di riflessione, poiché, proprio come conservava i cimeli di Dario, sappiamo dallo stesso Appiano che il sovrano pontico ebbe care, fino all’ultimo, anche tangibili memorie di Alessandro117.