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I fratelli Serra Sanna, «sos senadores» Sanguinari e temuti, i due rimasero uccisi nel conflitto di Morgogliai.

Angelo De Murtas, La Nuova Sardegna, 28 febbraio 2000, pag. 1.

Il 1 febbraio del 1899, lo stesso giorno in cui nella prima pagina della "Nuova Sardegna" l'articolo di fondo deplorava, non senza qualche buona ragione, lo stato della sicurezza pubblica nell'isola, nella seconda pagina del giornale appariva questa notizia: «Ignoti malfattori, nella regione Prato, poco lungi da Nuoro, hanno assassinato a colpi di fucile Egidio Caggiu, di anni 33, pastore». «Al Caggiu _ proseguiva l'articolo _ fu tagliata una mano. Si ritiene che si tratti di un'altra vendetta dei latitanti, i quali supposero che il Caggiu facesse il confidente». Era in effetti, si seppe poi, una vendetta dei latitanti, cioè dei fratelli Giacomo ed Elias Serra Sanna, i quali, non paghi, qualche giorno dopo irruppero nell'ovile del fratello dell'ucciso, lo devastarono e ingiunsero ai servi ai quali era affidato di andarsene e di non tornarvi mai più. In breve tempo il Caggiu superstite fu costretto a vendere terre e bestiame e a vivere segregato nella sua casa.

Giacomo ed Elias Serra Sanna _ trentaquattro anni il primo, ventisette il secondo _ erano due pastori poveri (la loro famiglia, i cui componenti a Nuoro erano conosciuti col soprannome di Carta, possedeva poche decine di pecore) che alla povertà non s'erano rassegnati, e che per sottrarsi a quella condizione sgradevole e avvilente avevano adottato un metodo a quel tempo largamente in uso, si vuol dire il furto di bestiame. Ma la pratica dell'abigeato, se poteva essere lucrosa, comportava anche qualche rischio. Così avvenne che Giacomo venisse condannato a tre anni di carcere per un furto di buoi. Non andò in prigione perché, come molti altri facevano nelle stesse circostanze, si diede alla macchia. Come compagno, nella vita clandestina, si scelse un altro latitante che già aveva acquistato qualche notorietà, Giuseppe Loddo, che al suo paese _ era di Orgosolo _ veniva chiamato Lovicu. Non restarono inattivi: di lì a poco rubarono un intero branco di maiali che apparteneva a un ricco possidente nuorese, Salvatore Manca; non andò bene neppure questa volta perché, processati in contumacia, furono condannati sulla base di un buon numero di testimonianze. A loro, nel frattempo, s'era unito il fratello minore di Giacomo, Elias, i cui rapporti con la giustizia s'erano guastati a causa di un furto di bestiame commesso nelle campagne di Lula. I due Serra Sanna, divenuti a pieno titolo banditi, si dedicarono con grande impegno alla vendetta nei confronti dei loro accusatori, vendetta che si configurò come un progetto di sistematico sterminio: tutti coloro i quali davanti ai giudici avevano testimoniato a loro carico furono uccisi. I più fortunati furono sbrigativamente abbattuti con una fucilata; agli altri fu mozzata la testa, squarciato a coltellate il corpo, recisa una mano, come nel caso di Egidio Caggiu; ad uno tagliarono di netto una gamba e appesero poi il corpo mutilato ad un albero legandolo a un ramo per la gamba superstite. Ma oggetto principale dell'odio dei Serra Sanna fu Salvatore Manca, il proprietario del branco di maiali rubato: il suo ovile fu bruciato, le sue campagne furono devastate, il suo bestiame ucciso. Ai contadini e ai servi fu vietato di lavorare nelle sue proprietà; chi contravvenne al divieto fu

ucciso. Con una sorta di bando pubblico, infine, i due fratelli invitarono le donne di Nuoro ad andare a far provvista di olive, sotto la loro protezione, negli oliveti del loro nemico; l'invito fu largamente accolto. Non fu usata maggior clemenza nei confronti del cognato di Salvatore Manca, Pietro Paolo Siotto, ricco proprietario che per poco meno di vent'anni era stato consigliere comunale ed aveva ricoperto le cariche di assessore e, per qualche tempo, di sindaco di Nuoro: anche a lui furono devastate vigne e oliveti e sterminato il bestiame. Non bastò, perché i suoi persecutori gli intimarono, se non voleva essere ucciso, di lasciare non Nuoro soltanto, ma la Sardegna. Vi fu poi una singolare trattativa che si concluse con un accordo: Pietro Paolo Siotto avrebbe versato ai Serra Sanna tremila lire, che a quei tempi non erano somma di poco conto, e in cambio gli sarebbe stato concesso di ritirarsi a Cagliari. In tal modo i due fratelli (dieci omicidi Elias, nove Giacomo; non era da meno, del resto, il loro compagno Lovicu, al quale si addebitavano dodici omicidi) giunsero ad esercitare un assoluto dominio su Nuoro e sulle campagne intorno: dominio sinistro quanto si voglia, ma anche lucroso, poiché taglieggiando i più ricchi proprietari riuscirono a mettere insieme una vistosa fortuna in bestiame e denaro. Non agivano da soli: potevano contare, infatti, non soltanto sulla collaborazione e sul concreto appoggio, ma anche sul consiglio della sorella Mariantonia, donna d'intelligenza non ordinaria e non meno spietata di loro. Era Mariantonia che si prendeva cura di andare dai possidenti di Nuoro e dei paesi vicini ad esigere tributi in bestiame o in denaro. Se vi era buon motivo perchè Giacomo ed Elias Serra Sanna venissero chiamati «sos senadores», i senatori, non pare che fosse improprio il titolo il titolo di «sa reina», la regina, che veniva attribuito alla sorella. Ma quando sopraggiungono giorni difficili neppure la regalità e la dignità senatoriale costituiscono un riparo efficace. Per i Serra Sanna, ma non soltanto per loro, i tempi duri vennero, del tutto improvvisi, la notte fra il 14 e il 15 maggio 1899, quando a Nuoro e in tutta la Barbagia centinaia di carabinieri, di agenti di pubblica sicurezza e di soldati circondarono ogni

abitato, prima dell'alba invasero le strade, irruppero nelle case e, senza perder tempo in distinzioni sottili, arrestarono tutti coloro i quali avevano, o si supponeva che potessero avere, qualche sia pur vago rapporto con latitanti in quel momento alla macchia: in tutto più di settecento persone che con carri furono portate alla stazione ferroviaria di Nuoro e da lì, confusamente ammassate sui treni, fatte partire per Sassari. La grande retata era intesa a privare i banditi di ogni possibile favoreggiatore. Non è escluso che fra gli arrestati qualche favoreggiatore effettivamente vi fosse. E certo, però, che fra coloro i quali furono trascinati in manette fuori dalle loro case vi erano vecchi, ragazzi, donne, non pochi insospettabili parroci, qualche sindaco, più d'un segretario comunale. I più, poi, non restarono in carcere a lungo, perché furono prosciolti nel corso dell'istruttoria; molti altri furono processati e assolti. Con gli altri, la notte del 14 maggio, fu arrestata Mariantonia Serra Sanna, la regina, che ebbe minor fortuna: in tribunale si difese sostenendo che le richieste di tributi che rivolgeva ai proprietari non costituivano un'estorsione, ma una questua i cui proventi erano destinati al mantenimento del padre, vecchio, infermo e povero; non convinse i giudici, che la condannarono a diciotto anni di carcere. Ma anche la vicenda dei fratelli banditi era ormai prossima all'epilogo. A loro e a Lovicu si erano associati altri due latitanti, Tomaso Virdis, ricercato per un paio d'omicidi oltre che per un buon numero d'altri reati, e Giuseppe Pau, al quale si addebitavano tre omicidi effettivamente commessi, ma anche dodici omicidi mancati. Nei primi giorni del luglio 1899 il brigadiere Lussorio Cau, comandante della stazione dei carabinieri di Orgosolo, seppe da suoi informatori che i cinque banditi s'erano rifugiati a Morgogliai, remota regione delle campagne del paese. Vi si avventurò travestito da pastore, e non tardò ad individuare il loro nascondiglio. Della sua scoperta informò subito il capitano Giuseppe Petella, al quale era affidata la repressione del banditismo, e insieme prepararono i piani dell'attacco alla banda. La sera del 10 luglio più di duecento uomini, fra carabinieri e soldati, sapientemente distribuiti in poste, come si usa nella

caccia al cinghiale, circondarono il rifugio dei cinque latitanti. Nella notte il capitano Petella, il brigadiere Cau e undici uomini presero ad avanzare con grande cautela verso il bivacco dei banditi. Erano giunti a poche decine di metri quando una vedetta li scorse e sparò i primi colpi, ai quali ne seguirono innumerevoli altri da entrambe le parti. Il conflitto fu intensissimo. Per primi caddero uccisi Giacomo Serra Sanna e Tomaso Virdis, mentre Giuseppe Lovicu, forse ferito, fu visto scendere a grandi balzi e una china e sparire nella macchia. Ma anche lo schieramento dei militari aveva subito perdite: era morto il carabiniere Aventino Moretti, lo stesso che un anno prima aveva ucciso il bandito Corbeddu, e il brigadiere Lorenzo Gasco era stato ferito alla gola. Erano riusciti a fuggire, presumibilmente incolumi, Elias Serra Sanna e Giuseppe Pau, ai quali fu data la caccia durante tutta la mattinata. Alle tre del pomeriggio i due fuggiaschi, scalzi per potersi muovere in silenzio, tentarono di sfuggire all'accerchiamento. Credettero d'aver trovato un varco quando videro un soldato, Rosario Amato, che, solo, s'era piegato sull'acqua di un ruscello per bere. Gli spararono alla schiena uccidendolo. Ma gli spari valsero a indicare la loro posizione agli uomini appostati, che spararono a loro volta. I due banditi non ebbero scampo: reagirono come poterono, ma nel giro di pochi minuti caddero uccisi entrambi. Seguì il macabro rituale che apparteneva ormai alla consuetudine: soldati e carabinieri fotografati intorno ai corpi dei banditi uccisi, il sopralluogo di ufficiali e magistrati, la folla di curiosi che s'era spinta fino al luogo della battaglia. Pochi mesi più tardi, nel discorso tenuto per l'inaugurazione dell'anno giudiziario, il procuratore del re Efisio Marcialis proclamò: «La grande calamità del banditismo è cessata, esso fu sradicato nella Sardegna intera». Non si sarebbe tardato a scoprire che la realtà era molto diversa e meno confortante.

Guerra a Orgosolo. Tutta la storia della grande disamistade

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