NUORO. La lettura critica da parte dell’avvocato Mario Lai sulle
conclusioni della relazione Medici sulla criminalità in Sardegna e della controrelazione presentata da Pazzaglia per la minoranza (comunicate alle Camere il 29 marzo 1972) e quella a favore dell’avvocato Giannino Guiso, hanno tenuto desto l’interesse del pubblico al convegno del Lions
club, in collaborazione col Centro studi distrettuale “Giuseppe Taranto”. I due legali, protagonisti di importanti processi (Farouk Kassam, De Angelis e Chechi per Lai; Mesina, Curcio e Craxi per Guiso, giusto per citarne alcuni), hanno duellato verbalmente, sostenendo tesi contrapposte.
L’avvocato Lai ha confutato i risultati ai quali pervenne la Commissione parlamentare individuando, senza troppe esitazioni, la genesi del banditismo in Sardegna, ed in particolare nelle zone interne, nell’arcaico mondo pastorale. Né, a distanza di 30 anni, le indicazioni date dalla Commissione sono servite a modificare il fenomeno o a eliminarlo. La Commissione, d’altra parte, si limitò solo ed esclusivamente a indagare nell’area del centro Sardegna, tenuto conto che tra il 1966 e il 1968 furono realizzati 33 sequestri, 11 all’anno. Un fatto che aveva allarmato moltissimo lo Stato. In Barbagia, vennero tenute prigioniere e poi rilasciate tutte le vittime. Da qui la tesi che l’origine del grave malessere andava individuata, per i componenti della Commissione d’inchiesta, nei pastori. Mario Lai ha messo decisamente in discussione il metodo investigativo seguito dai commissari, ribadendo che si era trattato di un’analisi non corretta; addirittura preconcetta nei confronti di coloro che abitualmente lavoravano e vivevano buona parte del proprio tempo nelle campagne. Il legale nuorese ha poi smantellato “l’organicità” delle prospettazioni e delle indicazioni della Commissione, rimaste lettera morta. Ciò in ragione del fatto che il Cipe aveva deciso d’intervenire nella Media del Tirso ancor prima che la Commissione nascesse (1969). Per cui nel ’72 ad Ottana era già iniziata la produzione. Nel 1967, l’allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, pronunciò a Nuoro un discorso per affermare che «sul piano nazionale c’è la tendenza a considerare ciò che accade a Nuoro come un fatto marginale, in un angolo economicamente depresso di una Nazione in rapido e rigoglioso sviluppo industriale. Occorre rendersi conto che l’Italia è una e che tutto ciò che accade in un angolo remoto del Paese investe tutto il Paese. Certi fenomeni che si manifestano nelle zone più povere d’Italia nascono da una situazione di malessere, le cui cause
affondano le loro radici nel passato e che sono curabili con la congiunta opera delle riforme sociali e del rinnovamento del costume, rendendo tutti partecipi del progresso e del benessere generali». Giudizi e indicazioni, quelle del Capo dello Stato, che precedevano le conclusioni della Commissione. Mario Lai ha detto che i sequestri hanno raggiunto l’apice tra il 1971 e il ’96, quando se ne registrarono 106, più 42 tentati. E ancora: 30 consumati e 8 tentati tra il 1977 e il ’79. L’avvocato ottanese ha concluso affermando che, dal 1980, con i processi alle Anonime, si dimostrò che a far parte delle bande dei sequestratori c’erano anche gli insospettabili che vivevano e lavoravano in città, con la partecipazione minoritaria dei pastori. Poi dagli anni ’80 in poi il fenomeno è andato progressivamente spegnendosi. Perché “rubare un uomo” non era più conveniente: sia per il pericolo di essere individuati, sia perché le somme ricavate non erano più remunerative. Oggi la criminalità ha interamente modificato il suo cliché: prevale quella metropolitana, con il mercato della droga, le rapine, gli assalti alle banche e ai furgoni postali. Mentre i delitti e le vendette continuano a conservare le caratteristiche barbaricine. L’avvocato Giannino Guiso, fatta una rivisitazione storico-sociale a partire dall’800, ha condiviso in toto le conclusione della Commissione d’inchiesta, sottolineando che non fu un atto politico, ma che ebbe il sapore di una “Costituente” per il risanamento dei problemi della Sardegna. «I sardi - ha detto Guiso - sono sempre stati maltrattati, classificati come soggetti scientificamente predisposti al crimine. Lo hanno detto Niceforo e Lombroso nei loro studi criminologici. Lo si può dimostrare negli Anni ’60, quando certi pastori sardi si trasferirono, o furono inviati al domicilio coatto, in Toscana e nel Lazio. Qui esportarono i sequestri. Così come non valse l’insediamento ad Ottana del petrolchimico. Rivelatosi un fallimento. Una truffa colossale, anche perché nel frattempo il pastore ha lasciato le campagne per diventare operaio. Con la chiusura degli stabilimenti l’operaio ha tentato di ridiventare pastore. Essendo a disagio, ha ripreso a delinquere perché l’origine era
quella atavica, che non è mai riuscito a scrollarsi di dosso. Per cui non è stato più pastore né operaio. E ha continuato a delinquere». Il penalista nuorese, richiamando il fallimento di tutti i piani, i progetti e le iniziative programmate a livello nazionale e regionale, ha sparato a zero contro la classe politica, mai all’altezza della situazione, e contro la magistratura. Ha difeso Luigi Lombardini (di cui si è detto avversario in tribunale) che, oltre al ruolo di giudice, ha assolto a quello sociale, poiché nel suo operare non c’era clandestinità. Fu lui, d’altra parte, ad inventare il fenomeno del “pentitismo”, che però non raggiunse mai la verità. Il nostro, pertanto, è un paese senza verità. «Siamo ancora un popolo di oppressi - ha detto Guiso -. Un popolo che ha dimostrato che dove c’è un omicidio c’è un sequestro. L’uno attira altro, dando la stura a faide sanguinose. Ora però siamo di fronte a una nuova criminalità, con reati per i quali si subiscono condanne più lievi. Quelle per droga, per esempio, sono meno pesanti di quelle per i sequestri. Ma consenta profitti oltremodo superiori, con rischi minori. Anche se ci troviamo di fronte a distributori di morte. Si tratta di una delinquenza mista, che si adatta facilmente alla modernità, ai nuovi modelli di vita. Comunque - ha concluso - non dobbiamo perdere la speranza in un’organica rivoluzione sociale, civile e culturale, indispensabile per combattere e sconfiggere il malessere».