Capitolo 2: Il sequestro di persona.
2.4 Varie visioni interpretative del sequestro.
Il sequestro di persona si presenta come un fenomeno di notevole complessità. Per interpretarlo si è fatto in genere riferimento alla sottocultura della violenza, sviluppato negli anni ‘60 da Ferracuti e
Wolfgang132. Questo modello ha trovato applicazione allo studio del
comportamento violento in Sardegna nel classico volume “Violence in
Sardinia”133. Secondo i due autori i valori e le norme orientate verso la
violenza, nella Sardegna “interna”134, sono trasmessi socialmente sin dal
periodo infantile e posson evolvere in direzione criminale nel corso del successivo sviluppo individuale. In codeste aree è possibile individuare una notevole componente di violenza nei valori culturali e di riferimento
132 F. Ferracuti, M. Wolfgang, Il comportamento violento, moderni aspetti criminologici, Giuffrè,
Milano, 1966.
133
F. Ferracuti, R. Lazzari, M. E. Wolfgang, la violenza in Sardegna, Bulzoni, Roma, 1970.
134 F. Ferracuti, M. Wolfgang, , Il comportamento violento, moderni aspetti criminologici, Giuffrè,
delle popolazioni residenti. L’alta percentuale di rapine, danneggiamenti, omicidi e sequestri di persona indica un’elevata propensione alla violenza non riscontrabile in altre zone dell’isola. Dunque la tacita accettazione e la prescrizione della violenza quale meccanismo di soluzione del conflitto interpersonale, che determina, così, un netto contrasto con i valori e le norme della cultura dominante (antiviolente per l’appunto). I due sistemi normativi darebbero dunque origine a una conflittualità permanente. Le aree più interne della Sardegna son state da sempre caratterizzate dalla presenza di un’organizzazione sociale fortemente ugualitaria di tipo familistico allargato, dove gli individui competono giornalmente per lo sfruttamento delle modeste risorse disponibili. Conseguenza di questo permanente stato di competizione è stata la nascita di un autonomo sistema di definizione e di controllo del conflitto sociale, diverso ed opposto nei confronti dell’autorità dello stato centrale, percepita come lontana, prevaricante e nemica. Tale antagonismo lo si percepisce anche nella chiusura sociale delle popolazioni di queste zone nei confronti del mondo esterno, facilmente osservabili presso tali popolazioni. Queste caratteristiche vedremo che hanno fortemente influenzato l’intero sviluppo del sequestro di persona tipico della Sardegna. Appaiono ad esempio indicative della disponibilità della cultura barbaricina al sequestro di persona le varie espressioni di solidarietà “sottoculturale” quali il sostegno, la complicità e la presenza di una fitta rete di collaboratori e di coperture, senza le quali il sequestro non sarebbe possibile. Analogamente osserviamo gli atteggiamenti di indifferenza etica in relazione al crimine. Tutte queste caratteristiche che facilitano ed agevolano notevolmente la commissione del reato, dove le stesse tecniche di cattura e trasferimento degli ostaggi, mutate e raffinate in una lunga tradizione di abigeato, andrebbero a qualificare il sequestro di persona come una variante moderna del tradizionale furto di bestiame, coprendolo con le medesime giustificazioni di origine “sottoculturale”. Seguendo tale linea il sequestro potrebbe esser interpretato come uno dei possibili comportamenti regolati
dal “Codice della Vendetta” ipotizzato da Antonio Pigliaru135 seguendo così l’ipotesi per cui i sequestri, come lo stesso banditismo si riconnettano al meccanismo della vendetta operante in maniera pervasiva nella società
pastorale sarda136. Tale connessione appare comunque evidente solo nei
casi di “pseudo sequestro”, prima citato, dove il rapimento, costruito a scopo economico, maschera il principale obbiettivo dell’omicidio per vendetta. Nei sequestri a scopo estorsivo non è poi infrequente il manifestarsi di maltrattamenti superflui, talora eccedenti, che nulla hanno a che vedere con il fine principale del crimine, ossia l’estorsione. Appare così lecito ipotizzare l’esistenza nel sequestro in Sardegna di una componente estremamente invidiosa. In questo tipo di sequestro che presenta carattere particolarmente feroce, la vittima, oggetto d’invidia per la propria posizione privilegiata, viene sottoposta spesso a brutalità ed umiliazioni tali da renderla meno invidiabile, sia dal punto di vista economico che da quello psicologico ed esistenziale. L’invidia, nell’universo “socioculturale” sardo è un sentimento assai diffuso, da qui la nascita del cosiddetto “sequestro invidioso” che ha le sue radici nella rottura dell’originario egualitarismo sociale. In questo modo il discorso
sull’invidia analizzato nella classica analisi di Melania Klein137 può essere
associato alla relazione sequestratore/sequestrato, supponendo che il primo invidi il secondo per ciò che egli possiede, sia dal punto di vista materiale che da quello sociale. Nella dinamica, dunque, di questa particolare tipologia di sequestro, ad entrar in gioco non son solo motivazioni di tipo prettamente economico. L’invidia quindi, emergente da iniziali sentimenti di ammirazione nei confronti dell’oggetto/persona, viene indirizzata, allo scopo di distruggere tale “oggetto” qualora sia impossibile
135
A. Pigliaru, La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, Giuffrè, Milano, 1959.
136
P. Marongiu, op. cit., 128.
137
impossessarsi delle sue qualità. Da qui nasce il crudele trattamento cui vengono sottoposti gli ostaggi, costretti a continue umiliazioni e talvolta anche a violenze fisiche. Trattamento che non sembra rientrare solamente in una mera azione di sfiancamento psicologico dell’ostaggio, ma che cela ben altri sentimenti insiti nella natura umana: l’invidia, appunto, nel caso specifico. Ciò porterebbe dunque al desiderio di
annientare, quasi, l’oggetto/ostaggio. La tesi “sottoculturale”138 costituisce
uno dei maggiori contributi interpretativi del crimine violento, che vede il sequestro quale adesione ad un sistema di valori e norme orientati alla violenza per l’appunto. Altra ipotesi quella della così detta “rational choice”
proposto da Cornish e Clarke139 secondo cui il crimine del sequestro di
persona è il risultato di decisioni razionali in vista di un beneficio personale, piuttosto che il prodotto di motivazioni psicologiche, sociali o culturali, data l’innegabile natura opportunistica e strumentale dei crimini estorsivi. Vediamo così che, dopo una prima fase in cui prevale il “sequestro interno”, vi è un inclinazione verso l’attuazione del sottotipo di “sequestro esterno”, proprio perché, razionalmente, consentiva una maggior redditività. Poi, in seguito, la maggior complessità del sequestro esterno, i miglioramenti dell’apparato investigativo, e quelli in ambito legislativo, come la normativa premiale a favore dei dissociati o ancora come la legge sul blocco dei beni, hanno fatto si che il fenomeno si riducesse notevolmente, a partire dagli anni 80, proprio per l’aumento dei rischi connessi alla sua effettuazione. Analizzate così quelle che sono le caratteristiche e le tipologie tipiche del sequestro di persona a scopo estorsivo, nonché le sue ragioni, di natura economica, culturale o psicologica, come appena visto, ci addentriamo concretamente nelle due basilari figure che sono le principali protagoniste del suddetto crimine, ossia il sequestrato ed il sequestratore. Prenderemo quindi in analisi due
138
P. Marongiu, R. V. Clarke, op. cit., p. 183.
139
esempi “celebri” anche a livello nazionale: il caso del più conosciuto bandito isolano: Graziano Mesina, cui nel 2005 fu concessa la grazia dopo circa 40 anni di carcere, ed il caso del sequestro De Andrè, famoso cantautore genovese che fu rapito in Sardegna negli anni 70.