Angelo De Murtas, La Nuova Sardegna, 5 febbraio 2000.
SASSARI. Poiché nella storia del bandito Samuele Stochino verità e leggenda si intrecciano in un fitto reticolo nel quale non sarebbe facile, e forse neppure possibile, distinguere i fili dell'una da quelli dell'altra, non si è in grado di garantire dell'assoluta veridicità delle vicende che qui ci si accinge a riferire. Non si è certi, per esempio, di ciò che scrive un suo accreditato biografo. Sostiene Giovanni Vacca, in La tigre d'Ogliastra. Storia di Samuele Stochino, il più grande bandito del secolo, che il giovane pastore di Arzana fosse spinto a darsi alla macchia dall'odio nei confronti di coloro i quali s'erano uniti in un perfido complotto per impedirgli di sposare la bella Giovannangela. Si deve aggiungere che poi, secondo questa tenera versione d'una storia crudele, la fanciulla divise con lui, ma in rigorosa castità, la latitanza e morì di tisi, come voleva la tradizione romantica, nel rifugio del bandito e lì, sul Gennargentu, volle essere sepolta. Diversa, e molto meno improbabile, la lettura che della vicenda diede Emilio Lussu, il quale durante la prima guerra mondiale, ufficiale della Brigata Sassari, ebbe fra i suoi soldati il futuro fuorilegge. In un discorso tenuto al Senato il 16 dicembre 1953, egli disse: `E' per un'ingiusta sentenza del tribunale, a causa dei testimoni falsi, che Samuele Stochino divenne bandito d'onore prima, e poi, accecato da un infernale tumulto di vendetta, di delitto in delitto, finì mostruosamente sanguinario'. E tuttavia il senatore Lussu sentiva l'obbligo di un riconoscimento: Samuele era un valoroso sottufficiale decorato con medaglia d'argento, umano e mite'. Stochino, dunque, fu soldato valoroso ma riottoso e indocile, tanto che per due volte fu condannato per diserzione. Se non fosse incorso in questi infortuni giudiziari, la sua medaglia invece che d'argento sarebbe stata d'oro. Decorazione largamente meritata: da solo, armato di pugnale, aveva fatto irruzione in
una trincea nemica, e, uccisi i soldati, ne aveva strappato la bandiera austriaca. Nel luglio 1919, smobilitato, poté tornare ad Arzana con tutti i suoi ricordi di guerra e la sua medaglia. Ma non vi ebbe a lungo vita tranquilla, poiché il 24 giugno dell'anno successivo, accusato d'un furto di bestiame, fu arrestato dai carabinieri che in manette lo condussero a Lanusei. Ma al carcere, l'antico convento di San Daniele, non giunse mai. Era a pochi metri dalle tetre mura quando, strappata dalle mani d'un carabiniere la catena alla quale era legato, con un balzo temerario si gettò in un'alta scarpata e fuggì, troppo veloce, e in pochi istanti troppo lontano, per poter essere raggiunto. Era un bandito, ormai, e, poiché a un bandito non manca sicuramente il tempo, in attesa che familiari e amici gli facessero pervenire quel che la condizione di fuorilegge richiede (indumenti pesanti che gli consentissero di affrontare le notti gelide della montagna e poi fucile, pistola, pugnale, munizioni, il binocolo tedesco che s'era portato a casa dal fronte e qualche bomba a mano da usarsi nelle situazioni più difficili) ebbe la possibilità di riflettere sui suoi casi e sulla loro origine. Non ebbe dubbi sul fatto che l'accusa di furto mossa contro di lui e il suo arresto fossero il frutto di una delazione, né ebbe difficoltà ad individuare, uno per uno, i suoi nemici divenuti spie; gli fu ben chiaro, infine, che le circostanze gli imponevano di vendicarsi. E, poiché non era uomo che usasse trascurare le sue incombenze, si accinse alla vendetta, che compì con scrupolo minuzioso. Non gliene mancavano, del resto, né le capacità fisiche né la generale attitudine. Non aveva quello che secondo i canoni d'oggi si direbbe un fisico atletico; una guardia carceraria che lo conobbe lo descrisse così: `Samuele era di statura piccolissima: non superava i cinque piedi d'altezza. Era tuttavia di taglia robusta e di corpo asciutto; aveva larghi le spalle e il petto, piccolo il ventre, corte e distanti le cosce'. Aveva braccia fortissime ed era veloce nella corsa, agilissimo nel salto. Le attitudini erano quelle che si erano formate nella vita del pastore e si erano affinate nella guerra; aveva grande familiarità con le armi da fuoco, una destrezza sorprendente nell'uso del pugnale.
Non attese a lungo prima di dare inizio alla carneficina. La sua prima vittima fu un tal Ponziano Nieddu, che riteneva fosse una spia dei carabinieri: una mattina lo sorprese nelle campagne di Arzana; lo prese al laccio e, legatolo strettamente, lo trascinò fino a un luogo che gli parve conveniente per l'esecuzione, e lì lo uccise con un colpo di moschetto. A quel primo omicidio ne seguì ancora, come si sa, un'abbondante ventina, di ciascuno dei quali qui non par necessario riferire minutamente: nella metodica uccisione d'esseri umani, ad onta di tutte le possibili varianti di natura tecnica, vi è una fondamentale uniformità. Sarà sufficiente ricordare, per indicare alcuni esempi, che il 26 febbraio 1926 uccise Graziano Ferrai con una fucilata e poi non trascurò di mutilarne il corpo col pugnale; fu più clemente con Giovanni Agus, che si limitò ad uccidere con un colpo di moschetto sparato a bruciapelo; ebbe minor fortuna Salvatore Basocu: il bandito lo strangolò servendosi d'una corda, mentre al figlio Anacleto squarciò la gola con una pugnalata. L'orrido catalogo si potrà interrompere a questo punto. Converrà dire, piuttosto, che col moltiplicarsi dei delitti e col crescere del timore quella di Samuele Stochino sembrava divenire una presenza ossessiva, una minaccia dalla quale nessuno, in nessun momento e in nessun luogo, si poteva sentire al riparo. Nel volgere di pochi giorni o di poche ore il fuorilegge appariva in luoghi diversi, spesso lontani fra loro, e in altri cento luoghi vi era chi credeva d'averlo visto. Si sa, o vi fu chi credette di sapere, che si spingesse fino a Lula o a Lollove, paesino non lontano da Nuoro, e che per più giorni sostasse ad Orune. Cedette spesso al gusto della beffa. Dalla casa dei suoi familiari accerchiata dai carabinieri riuscì a fuggire indossando la divisa d'un graduato della milizia fascista. Nei panni d'una monaca bussò alla porta di una casa canonica: dal prete ottenne cibo e ospitalità per la notte. Una sera, facendosi credere un commerciante di bestiame che voleva proteggere da ladri e banditi il denaro che aveva con sè, riuscì a farsi accogliere in una caserma dei carabinieri: ospite compito, vi lasciò un biglietto di ringraziamento con la sua firma. Nel 1926 il governo fascista
fece di Nuoro il capoluogo d'una nuova provincia, nel cui territorio era compresa l'Ogliastra. Come prefetto vi fu mandato Ottavio Dinale, uomo rigidamente ligio al regime mussoliniano e incline a seguirne gli usi retorici. Non s'era insediato da molti mesi nel suo ufficio quando decretò la decisiva guerra ai banditi con una sorta di proclama nel quale si leggeva: `Voglio, come prefetto e come fascista, per la responsabilità della mia funzione e della mia missione, per l'amore della vostra terra, far uscire dagli antri tenebrosi le malefiche forze del delitto per distruggerle; voglio che attorno al delitto non si formi più la spudorata leggenda d'un perverso eroismo'. Nel proclama non si trascurava di far cenno del `comandamento del Duce e del Capo'. Non si è in grado di dire, poiché in proposito tacciono così la storia come la leggenda, se Samuele Stochino abbia letto l'appello del prefetto e se ne abbia avuto turbamento. La sua vicenda, del resto, era ormai prossima all'epilogo. Gli restava il tempo di compiere un'ultima vendetta, la più atroce. La mattina del 2 febbraio 1928 sorprese, a brevissima distanza da Arzana, tre bambine; una era Assunta Nieddu, di sette anni, figlia del più odiato fra i suoi nemici: fatte allontanare le altre due, l'afferrò per i capelli e la uccise con una pugnalata. Quel giorno, probabilmente, era già stato colto dalla polmonite dalla quale non sarebbe mai guarito: morì, infatti, poco più di due settimane più tardi, in un momento compreso fra il 18 e il 20 febbraio, al confine fra la montagna che si leva alta su Ulassai e quella che sovrasta Osini. Della sua morte furono date tre versioni diverse. La prima, dotata di prestigio e autorità istituzionali: Stochino, sorpreso da una pattuglia di carabinieri, restò ucciso nel conflitto che ne seguì. Seconda versione: il bandito, morente, chiese al pastore nel cui ovile aveva trovato rifugio di finirlo con un colpo di scure; l'altro, dopo qualche esitazione, obbedì. Infine la terza: Samuele, in condizioni ormai gravissime, fu ospitato da tre pastori suoi amici, i quali, decisi a riscuotere la taglia di duecentocinquantamila lire che pesava su di lui, ne abbreviarono l'agonia col veleno. Poiché ordinariamente la verità è unica, delle tre versioni una sola rispecchia fedelmente la realtà dei fatti, le
altre due dovranno essere considerate pure leggende. E, non essendovi certezze assoluta, prove capaci di rimuovere ogni dubbio, ciascuno potrà scegliere come crederà meglio, secondo le proprie inclinazioni. Non ebbe sicuramente incertezze il prefetto Dinale, il quale si affrettò a telegrafare a Mussolini: `Il vostro comandamento è stato eseguito da fedelissimi: il ferocissimo bandito Stochino Samuele di Arzana è stato ucciso in conflitto con l'Arma. Forme delinquenziali saranno stroncate implacabilmente'. Non vi era più possibilità di dubbio: una leggenda, se accreditata dalle autorità istituzionali, non diventa forse verità?