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frecce con punte fatte d’osso: quelle ritrovate hanno tutte la punta di metallo Stessa osservazione

in MAENCHEN-HELFEN, ibid., pp. 13 e 221-222.

141

Cfr. LUTTWAK, ibid., pp. 56-57 (trad. it. ibid., pp. 72-73).

142

PROC., B.P., I 1, 8-14.

143 Si ritiene che Ammiano sia morto attorno all’anno 400: cfr. sopra, p. 8. 144 Cfr. sopra, p. 173.

145 Al contrario, come si è visto (cfr. sopra, pp. 50-52 e 58-60), Ammiano proclama a più riprese la

propria fede nell’eternità di Roma che, grazie agli imperatori che ne hanno ereditato la tutela, saprà resistere, a suo giudizio, a tutti i nemici dell’impero e della civiltà.

146 Cfr. sopra, pp. 159-161. 147 Cfr. sopra, pp. 166-170.

antichi, irrinunciabili principi con le necessità di governo parimenti indenegabili; per Dione, senatore bitinico e storico dell’impero ecumenico, erede della speculazione politica ellenica, quel problema appare, ed è, remoto: egli teme per l’esistenza stessa dell’Impero. Ma un punto fondamentale è ad entrambi comune: la sincera devozione all’idea stessa dell’Impero Romano». Più di mezzo secolo fa Emilio Gabba concludeva un suo importante contributo sulla storiografia greca sull’impero romano nei primi tre secoli dell’età imperiale con questa riflessione su Tacito e Cassio Dione: un confronto che, a suo giudizio, poteva servire «a marcare i differenti caratteri di due epoche»148. Gabba osservava che entrambi gli storici erano stati funzionari e magistrati dello Stato, ma, avendo vissuto ed operato a distanza di più di un secolo l’uno dall’altro, la loro attenzione e la loro sensibilità si erano appuntate inevitabilmente sui problemi della compagine imperiale propri della loro epoca.

Ammiano scrive a quasi tre secoli di distanza da Tacito e circa centosettanta anni dopo Cassio Dione. Come i suoi due grandi predecessori anche lui aveva fatto una carriera – più militare che politica149 – grazie alla quale aveva potuto osservare da vicino il funzionamento e le criticità della compagine statale romana; anche lui fu in grado di giudicare con cognizione di causa i problemi della sua epoca. Moltissime cose erano mutate nell’impero romano, ma alcune delle preoccupazioni che erano state di Tacito e di Cassio Dione trovano un’eco, in un contesto storico del tutto diverso, anche nell’autore delle Res gestae.

Dopo una carriera politica iniziatasi e sviluppatasi già sotto i Flavi150 Tacito aveva abbracciato la letteratura e la storiografia solo in età matura, nel nuovo clima di tolleranza verso la libera espressione del pensiero inaugurato dall’avvento di Nerva (anno 96) e Traiano (anno 98)151

. Il principato gli apparve allora come una dura necessità che il popolo romano aveva accettato per salvare la pace interna152 e tutta la sua produzione storiografica fu poi un’ampia, partecipata meditazione su quella scelta e sulle sue conseguenze. Ripercorrendo nelle

Historiae e negli Annales la storia di Roma durante i primi ottanta anni del nuovo

regime, Tacito aveva denunciato le dolorose conseguenze della pur necessaria rinuncia alla libertà: il sospettoso autoritarismo dei principi, il servilismo e l’adulazione della classe senatoria avevano creato un clima corrotto e corruttore, capace di soffocare non solo libere iniziative politiche, utili per lo Stato, ma anche ogni attività culturale degna di questo nome. L’aristocrazia senatoria, depositaria dell’antica libertas che sopravviveva nell’abitudine alla libertà di parola e di

148 E.G

ABBA, Storici greci dell’impero romano da Augusto ai Severi, in “RSI”, LXXI (1959), pp. 361-381; le parole citate sono a p. 381. Il 30 gennaio 1959 l’autore pronunciò il testo come prolusione ai corsi di Storia greca e romana nell’Università di Pisa, dove Gabba era appena stato chiamato.

149 Cfr. sopra, pp. 4-5.

150 Come ricorda lui stesso (Hist., I 1, 3), non senza un certo imbarazzo per le cariche ricoperte

anche sotto il tiranno Domiziano: Dignitatem nostram a Vespasiano inchoatam, a Tito auctam, a Domitiano longius provectam non abnuerim. Sulla carriera politica di Tacito, che lo vide poi console nel 97 e governatore della prestigiosissima provincia d’Asia attorno al 112, cfr. R.SYME, Tacitus, I, Oxford 1958, pp. 59-74 (trad. it. Tacito [Biblioteca di studi classici, 5], I, Brescia 1967, pp. 87-106).

151

Lo rievoca lo stesso Tacito nella celebre prefazione (capp. 1-3) all’Agricola.

152 Come egli stesso afferma, in maniera sinteticamente efficace, all’inizio di entrambe le opere

maggiori: … omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit (Hist., I 1, 1); non aliud discordantis patriae remedium fuisse quam ab uno regeretur (Ann., I 9, 4).

179

critica, si era dovuta progressivamente piegare all’obsequium verso il principe: una razionale deferenza all’autorità superiore, sempre più necessaria per garantirsi una carriera di successo o anche solo la sopravvivenza153.

Alla fine del IV secolo quella forma di potere imperiale assoluto che si era affermata dopo la ‘crisi del III secolo’ e che si è soliti chiamare dominatus non era certo oggetto di discussione o recriminazione: infatti Ammiano la accetta pienamente e ritiene sacrosanto diritto dei singoli sovrani tutelare la loro persona contro ogni minaccia. Quello che disturba lo storico non è la mancata tutela di un’astratta libertas in un regime retto da un monarca. Egli resta però contrariato e perplesso di fronte agli eccessi di un potere154 che giudica, senza tentennamenti, legittimo ed anzi assolutamente necessario alla salvaguardia del bene comune. L’insistita denuncia dei mali dell’autoritarismo, e della corruzione che ne è la conseguenza più nefasta, è operata da Ammiano con una forza espressiva che ha i suoi precedenti proprio in Tacito, anche se egli ha poi sviluppato «uno stile altamente patetico in cui il sensuale e l’orrido hanno preso il sopravvento: un realismo cupo, sommamente patetico, che è del tutto estraneo all’antichità classica»155. Non senza una ragione den Boeft, nella sua intervista fittizia all’autore delle Res gestae, immagina che lo storico potesse aver avuto il proposito, mutuato proprio da Tacito, di usare la descrizione di tante azioni inique e crudeli per suscitare disgusto e riprovazione nei lettori contemporanei inducendoli così a tenersi lontano da simili comportamenti156.

Ancor più significativo è il parallelismo che si può intravedere fra Ammiano e Cassio Dione. Questi, nato in Bitinia poco dopo la metà del II secolo157, aveva iniziato la sua carriera sotto Commodo e Pertinace; dopo un ventennio di quasi totale inattività per ragioni politiche durante la maggior parte del regno di Settimio Severo ed i primi anni di quello di Caracalla, era giunto al consolato: una prima volta, probabilmente, nel 223 o 224158, una seconda, sicuramente nel 229, come console ordinario, collega dell’imperatore Severo Alessandro. Figlio di un personaggio che aveva già percorso la carriera senatoriale fino al consolato ed al governo di province dell’impero, Dione aveva tutte le qualità per comprendere e valutare i problemi politici della sua epoca e ne dette prova nella sua vasta opera storica159. Egli si sente ormai non un greco impegnato

153 Per i concetti di libertas ed obsequium nella tradizione politica romana ed in particolare

nell’opera di Tacito cfr. SYME, Tacitus, I, pp. 7, 27-29, 223 e 250; II, pp. 547-548 e 583 (trad. it. Tacito, I, pp. 20-21, 46-47, 296-297 e 329-330; II, pp. 720-721 e 764).

154 Cfr. sopra, pp. 150-155 e 170-172. 155 Così A

UERBACH, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit, p. 62 (trad. it. Mimesis. Il realismo, I, p. 69). Auerbach illustra con esempi come Ammiano, sia nel lessico che nella sintassi, abbia portato alle estreme conseguenze una tendenza formale che, pur con qualche precedente in Sallustio e pur con un notevole influsso di Seneca, era stata incarnata soprattutto da Tacito: ibid., pp. 58-62 (trad. it. ibid., pp. 64-69).

156

DEN BOEFT, Non consolandi gratia, p. 306. Cfr. sopra, p. 161 e nn. 18-19.

157

Su biografia e carriera politica di Cassio Dione cfr. GABBA, Sulla Storia Romana, pp. 289-295; G.NORCIO (a cura di), Cassio Dione. Storia romana, I, (libri XXXVI-XXXVIII), Milano 1995, pp. 11-28.

158 La cronologia del primo consolato di Dione non è esplicitamente attestata; la data del 223 o 224

è proposta, dopo un riesame della documentazione disponibile, da GABBA, ibid., pp. 290-293.

159 Con procedimento annalistico la Storia romana di Cassio Dione narrava la storia di Roma dal

mitico sbarco di Enea nel Lazio all’epoca di Severo Alessandro, in particolare fino al 229 d.Cr., anno del secondo consolato dello storico. Constava di ottanta libri, di cui si sono conservati per

a collaborare al buon funzionamento dell’impero creato dai Romani, ma un cittadino a pieno titolo di quell’impero, un romano. Per Dione la collaborazione con gli organi politici ed amministrativi dello Stato non è suggerita da ragioni utilitaristiche, ma è una necessità, un dovere politico, cui dovrebbero sentirsi tenuti tutti gli appartenenti ai ceti elevati della società imperiale con i quali, a suo parere, l’impero stesso si identifica160

.

Questa spontanea e totale adesione all’impero non gli impedisce però di cogliere i mali ed i problemi che serpeggiano nella società della sua epoca: due in particolare. Da un lato le speranze e le illusioni che il governo degli Antonini aveva suscitato e cui Elio Aristide aveva dato voce nel suo idillico quadro dell’età contemporanea non erano più attuali161: alla monarchia aurea di Marco Aurelio era succeduto il ferreo regime di Commodo e dei Severi162, sempre più simile ad un dominatus. Dall’altro la coscienza dell’unità della classe aristocratica ed economicamente privilegiata dell’impero e del dovere di quel ceto di collaborare al governo della cosa pubblica è sentita e vissuta da Dione con particolare partecipazione, soprattutto perché sullo sfondo egli avverte un’oscura minaccia: gli ultimi libri della sua opera storica163, scritti dopo il ritorno alla vita politica attiva164, sono pieni di una cupa preoccupazione per le sorti dell’impero165. A preoccuparlo non sono tanto i nemici esterni quanto l’indisciplina delle truppe o meglio il malcelato disinteresse delle classi sociali escluse dal governo dell’impero166

– ma largamente presenti nelle milizie – per le sorti di una realtà

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