tradimento come quello perpetrato ai danni dei Sassoni; l’unica risposta che riesce a darsi (ibid., p. 44) è che in Ammiano «la haine du Germain a cessé d’être raisonnée pour devenir passionnée».
248
Ammiano fa seguire soltanto il paragrafo (XXXI 16, 9) che contiene la sua epigrafe, alla conclusione dell’opera: Haec ut miles quondam et Graecus a principatu Caesaris Nervae exorsus ad usque Valentis interitum … Parole famose e già considerate per le indicazioni che forniscono circa l’argomento delle Res gestae: cfr. sopra, pp. 9-10 e nn. 50 e 58.
249 XXXI 16, 8: datis tectioribus litteris ad eorum rectores, Romanos omnes, quod his temporibus
raro contingit. Il senso non troppo recondito dell’inciso è stato giustamente sottolineato da PASCHOUD, Roma aeterna, p. 43, n. 54.
250 XXI 10, 8: in maniera sciocca e poco fondata (insulse … et leviter), osserva Ammiano,
Giuliano rimproverava Costantino di aver per primo consentito ai barbari di giungere al consolato, dal momento che lui stesso fece altrettanto già con le sue prime designazioni. La contraddittorietà di Giuliano è di nuovo stigmatizzata in XXI 12, 25.
251 L’antigermanesimo di Ammiano è commentato in termini molto più sfumati da D
EMANDT, Zeitkritik, pp. 29-39. Ma si veda soprattutto MOMIGLIANO, The lonely historian, pp. 1402-03, poi in ID., Sesto contributo, I, pp. 152-153, per il quale Ammiano, pur non nutrendo simpatia per i Germani, evita, su questo come su altri problemi del suo tempo, di prendere una posizione netta, dettata dal suo istinto e dalle sue emozioni; si astiene dal farlo per tre ragioni: per prudenza, perché sa che i Germani sono valorosi e devoti a chi li comanda con abilità, perché non ama le generalizzazioni ingiustificate. Sulla stessa linea di pensieroANGLIVIEL DE LA BEAUMELLE, Notes complémentaires, n. 587, p. 293.
252 Cfr., sopra, pp. 106-108. 253
Per una chiara ricostruzione degli avvenimenti innescati dalla richiesta di asilo avanzata dai Goti nella tarda primavera del 376, con gli opportuni rinvii alle nostre fonti, tra cui Ammiano ha un ruolo di rilievo, cfr. M.CESA, Impero tardoantico e barbari: la crisi militare da Adrianopoli al 418 (Biblioteca di Athenaeum, 23), Como 1994, pp. 13-30. L’entità dei profughi, su cui Ammiano
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stessi Romani aiutarono quei profughi ad attraversare il Danubio con l’intenzione di arruolarne una parte nelle milizie imperiali d’Oriente e di stanziare il resto nelle province balcaniche. Non era la prima volta che un imperatore romano accoglieva in massa profughi di origine barbarica ed acconsentiva al loro stanziamento entro i confini254, ma in quell’occasione l’operazione fu condotta in maniera particolarmente imprudente255: i Goti furono solo parzialmente disarmati e non furono dispersi con sufficiente prontezza, mentre i rifornimenti alimentari, che erano stati loro promessi come sostegno indispensabile nella fase iniziale del loro insediamento, arrivarono con ritardo e furono gestiti da funzionari romani corrotti, che approfittarono delle circostanze per arricchirsi. Il crescente malcontento dei Goti portò ad una loro sollevazione che i comandanti romani si illusero di poter reprimere con misure militari del tutto inadeguate rispetto alla situazione e soprattutto rispetto alla consistenza numerica degli insorti256. Conseguenza ultima di quell’infausta politica fu la grave sconfitta romana di Adrianopoli, in cui i due terzi dell’esercito da campo di Valente furono distrutti e lo stesso imperatore perse la vita.
Se le Res gestae si fermano all’anno 378, Ammiano fu testimone anche degli avvenimenti del successivo ventennio. In particolare poté osservare la fatica con cui Teodosio257, succeduto a Valente, riuscì a recuperare una situazione seriamente compromessa258. Gli eserciti romani furono in grado di conseguire solo successi limitati e Teodosio, constatata l’impossibilità di sconfiggere i Goti con le armi, si orientò verso una soluzione negoziata delle ostilità259. Le non semplici trattative, condotte dal magister militum Saturnino260, si conclusero, nell’ottobre 382, con la stipulazione di un accordo: i Goti furono stanziati come una comunità separata nella regione fra il basso Danubio e la catena dei Balcani e
(XXXI 4, 6-8) non si pronuncia, è quantificata dagli studiosi moderni in una cifra compresa fra le 40.000 e le 60.000 unità: cfr. ibid., p. 14, n. 5.
254 Già Marco Aurelio, nel corso delle guerre marcomanniche aveva consentito a 3000 Naristi,
dopo la loro capitolazione, di stabilirsi entro i confini dell’impero: cfr. STICKLER, The Foederati, p. 496. Nel 334 Costantino aveva accolto nell’impero un’ingente quantità di Sarmati Agaraganti, minacciati da una rivolta dei Limiganti, loro schiavi: aveva scelto i più idonei per l’esercito e assegnato gli altri alla coltivazione di terre abbandonate; nel 359 Costanzo II stava accingendosi a fare altrettanto proprio con i Limiganti, che invece furono distrutti dopo un loro proditorio attacco contro le truppe imperiali: sui due episodi cfr. CESA, ibid., p. 18. L’episodio dei Limiganti, vittime della loro stessa slealtà, è narrato da Ammiano in XIX 11.
255 Sui termini dell’accordo stipulato allora fra Goti e Romani e sulla concreta applicazione di quei
termini cfr. CESA, ibid., pp. 19-23.
256 Lo stesso Ammiano (XXXI 7, 16 e 8, 5) non manca di osservare che i nemici erano troppo
numerosi sia per sperare di batterli in campo aperto sia per tenerli sotto controllo in un’area ristretta. A suo giudizio (XXXI 7, 2) sarebbe stata più opportuna una tattica di guerriglia, speculare a quella praticata dai barbari e tesa a dividere in piccoli gruppi la moltitudine dei nemici. Cfr. CESA, ibid., pp. 24-25.
257 Nel gennaio 379 Graziano, figlio e successore di Valentiniano, nominò Augusto il generale
Teodosio e gli affidò la parte orientale dell’impero assieme alle due diocesi di Dacia e Macedonia: primo compito del nuovo imperatore fu dunque la ricerca di una soluzione alla crisi politica e militare apertasi nei Balcani con l’arrivo dei Goti nel 376.
258 Sulla reazione politica e militare dei Romani alla disfatta, fino alla soluzione accettata da
Teodosio nel 382 per uscire dalla grave situazione da lui ereditata, cfr. CESA, Impero tardoantico, pp. 30-45.
259 Ibid., p. 39.
260 Sul personaggio cfr. J
ONES - MARTINDALE - MORRIS, The prosopography, I, pp. 807-808 (Flavius Saturninus 10).
si impegnarono a fornire reclute all’esercito romano in caso di guerra. Essi ebbero «le terre della Mesia; divennero così cittadini dell’Impero senza la cittadinanza romana e continuavano a vivere secondo le loro leggi e sotto i loro prìncipi»261. Sebbene il trattato sia oggetto di valutazioni diverse da parte degli studiosi262, esso introdusse certamente delle novità nel modo di regolare i rapporti fra l’impero e le popolazioni germaniche: i Goti non vennero dispersi in gruppi sotto il controllo di prefetti romani, ma fu loro consentito di rimanere una tribù unita e se in teoria i loro contingenti militari dovevano prestare servizio agli ordini di un dux romano, in realtà essi continuarono ad obbedire ai loro capi263; più che sudditi dell’impero essi divennero dei foederati, uno Stato autonomo legato a Roma da un trattato264.
Negli anni successivi Ammiano ebbe modo di osservare gli ulteriori e non positivi sviluppi della situazione sanzionata dagli accordi del 382: i Goti poterono prima consolidarsi nei Balcani e poi, grazie all’abilità di Alarico, giunsero a creare un proprio regno, basato su un gruppo etnicamente definito, all’interno delle frontiere romane, in una posizione strategicamente intermedia fra le due metà dell’impero. Certo i Goti, ed in particolare il loro capo Alarico265
, furono favoriti dalle critiche vicissitudini interne conosciute dall’impero in quegli anni. Per ben due volte Teodosio fu costretto ad accorrere in Occidente per schiacciarvi la rivolta di altrettanti usurpatori: nel 388 quella di Magno Massimo, la cui proclamazione ad Augusto nel 383 da parte delle truppe di stanza in Britannia era stata seguita dall’uccisione del legittimo imperatore Graziano266, nel 394 quella di Eugenio, fatto proclamare Augusto dal magister militum Arbogaste267 dopo l’eliminazione, nel 392, di Valentiniano II. Nel gennaio 395, infine, la morte dello stesso Teodosio, cui successero i due giovani figli, Arcadio ed Onorio, fece tramontare definitivamente la possibilità di un coordinamento nella politica dei due governi imperiali allo scopo di ottenere o l’allontanamento con la forza dei
261 Così B. e P.S
CARDIGLI, I rapporti fra Goti e Romani nel III e IV secolo, in “RomBarb”, I (1976), p. 268.
262 Per una riflessione sia sulle fonti, che ci informano del trattato in termini piuttosto vaghi, sia
sulle opinioni dei principali studiosi dell’argomento, cfr. CESA, Impero tardoantico, pp. 39-43.
263
Cfr. JONES, The later Roman Empire, I, p. 157; CESA, ibid., pp. 44-45.
264 Sebbene, con evidente anacronismo, il termine foederati venga applicato alla situazione
giuridica dei Goti dopo l’accordo del 382 solo da fonti di VI secolo: Iordanes (Get. 145) e Procopio (B.G., IV 5, 13).
265 Per una ricostruzione dell’abile e fortunata ascesa di Alarico, nel quadro della storia politico-
militare dell’impero nell’ultimo decennio del IV secolo, cfr. CESA, Impero tardoantico, pp. 47-90.
266 Dopo la morte di Graziano l’usurpatore Magno Massimo aveva trovato un accordo con
Teodosio, assumendo il controllo delle province galliche ed ispaniche, ma astenendosi dall’invadere l’Italia, retta da Valentiniano II. Tuttavia nel 387 Massimo occupò anche l’Italia costringendo Valentiniano II a fuggire a Tessalonica, da dove chiese l’aiuto di Teodosio: questi intervenne vittoriosamente l’anno successivo. Una ricostruzione della vicenda è in CESA, ibid., pp. 47-54. Sulla figura di Massimo cfr. JONES -MARTINDALE -MORRIS, The prosopography, I, p. 588 (Magnus Maximus 39).
267
Di origine franca Arbogaste si era segnalato nella campagna del 388 contro Magno Massimo; Teodosio lo lasciò poi al fianco di Valentiniano II, ma egli prese ad interferire nel governo dell’Augusto d’Occidente. Dopo la morte, per lo meno sospetta, di Valentiniano II (maggio 392) Arbogaste fece proclamare Augusto Eugenio, già capo della segreteria imperiale (agosto 392). Nel corso del 393 ogni mediazione risultò impossibile e l’anno seguente Teodosio intervenne ancora in Occidente, sconfiggendo i suoi avversari presso il Frigido (settembre 394). Una ricostruzione anche di questi avvenimenti è in CESA, ibid., pp. 60-64. Sui protagonisti dell’usurpazione cfr. JONES -MARTINDALE -MORRIS, ibid., pp. 95-97 (Arbogastes) e 293 (Fl. Eugenius 6).
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barbari dai territori romani o, più ragionevolmente, la loro integrazione da una posizione di forza nelle strutture militari e civili dell’impero. Indubbiamente, però, il trattato del 382 fu il presupposto politico e giuridico delle future fortune dei Goti all’interno dell’impero268
.
È alla luce di tutti questi avvenimenti, ben noti ad Ammiano, che lo storico arriva a giudicare esemplare l’operato del magister Giulio e ad ammettere come opportuno, se non lecito, il tradimento perpetrato ai danni dei Sassoni269. Scegliendo di concludere la sua opera con la descrizione del risoluto comportamento del magister Giulio270 lo storico ha inteso esprimere un chiaro monito a non ripetere in futuro errori che lo Stato romano aveva pagato a caro prezzo: uno Stato che, negli anni in cui egli lavorava alle Res gestae, sembrava essersi assuefatto alla situazione creata dal trattato di alleanza che nel 382 Teodosio aveva stipulato con i barbari invasori. Grazie a quell’accordo i Goti avevano potuto stanziarsi nella penisola balcanica e governarsi con proprie leggi in mezzo ai Romani, che continuavano a vivere come cittadini dell’impero: quasi il primo esempio di Stato romano-barbarico271.
È stato anche ipotizzato che i massacri fatti eseguire da Giulio, che Ammiano colloca nel tempo in maniera vaga (his diebus) a poca distanza dalla sconfitta di Adrianopoli, siano in realtà avvenuti nel 379272, molti mesi dopo ogni altro evento narrato nelle Res gestae. Se davvero lo storico avesse scientemente collocato l’episodio alla conclusione dell’opera, per dargli un particolare rilievo, la sua approvazione ad una politica di estirpazione dei Goti dal territorio romano acquisterebbe una forza ancor più significativa273. In ogni caso non si può dubitare che Ammiano fosse molto preoccupato dalla presenza entro i confini dell’impero di gruppi tribali compatti, comandati dai loro stessi capi: quasi un corpo estraneo nell’organismo imperiale, potenzialmente letale, come si erano incaricati di dimostrare il disastro di Adrianopoli ed anche gli avvenimenti successivi.
Ma soprattutto Ammiano pone la sua più alta aspirazione nella buona fortuna dell’impero o almeno nella sua sopravvivenza274
. A questa aspirazione egli subordina ogni valutazione morale e soprattutto ogni giudizio storico. Riesce facile allo storico riconoscere le buone ragioni dei barbari in molte delle loro
268 Cfr. S
TICKLER, The Foederati, p. 505.
269 Cfr. M
ATTHEWS, The Roman Empire, pp. 470-471.
270
Cfr. sopra, pp. 109-110.
271 In base agli accordi del 382, ben diversi da quelli con cui nel 376 erano stati autorizzati ad
attraversare il Danubio, i Goti conservarono usi e costumi oltre ad un rapporto di sudditanza diretta con i loro capi, che dovevano guidarli anche nelle eventuali campagne al servizio dei Romani. Almeno in questi termini si può parlare di «creazione di un embrione di stato visigoto su territorio imperiale», anche se i Romani non rinunciarono «affatto ai loro diritti di sovranità nelle zone d’insediamento in cui furono sistemati i barbari»: così CESA, Impero tardoantico, p. 45. Cfr. sopra, pp. 111-112.
272
Cfr., SABBAH, La méthode, p. 211 e n. 182; BARNES, Ammianus (1998), pp. 185-186. Sulla discussa cronologia dell’energica azione del magister Giulio cfr. ANGLIVIEL DE LA BEAUMELLE, Notes complémentaires, n. 586, p. 292.
273 Cfr. G.K
ELLY, The sphragis and closure of the Res Gestae, in J. DEN BOEFT -J.W.DRIJVERS - D. DEN HENGST -H.C.TEITLER (a cura di), Ammianus after Julian. The reign of Valentinian and Valens in books 26-31 of the Res Gestae (“Mnemosyne”. Bibliotheca Classica Batava, 289), Leiden - Boston 2007, pp. 238-239.
iniziative e la sua fondamentale onestà gli impedisce di nascondere i comportamenti sleali dei Romani nel corso delle singole campagne militari275; parimenti egli non vede motivo di disconoscere le capacità militari o politiche dei barbari passati al servizio dell’impero come soldati o comandanti276; ma questi per lui sono fatti contingenti. Prima e più in alto di quegli episodi viene l’impero romano, con il quale per Ammiano si identifica la stessa civiltà e che è circondato da nemici pericolosi, come in ultimo ha ricordato a tutti, tragicamente, il disastro di Adrianopoli. È rispetto al criterio supremo della securitas dell’impero che una politica ed una strategia devono essere davvero giudicate. Rispetto a questo criterio il giudizio di Ammiano è netto e non condizionato da moralismi: ben vengano omicidi politici come quello organizzato contro Viticabio o tradimenti come quello perpetrato a danno dei Sassoni, ben vengano decisioni drastiche e risolutive come quella del magister Giulio, se per tale via può meglio essere garantita la salvezza dell’impero e della civiltà. Tali apprezzamenti si pongono per lo storico su di un piano così alto o, se si preferisce, così fondamentale per la comprensione di ciò che è davvero in gioco nella sua epoca, che egli, probabilmente, non ne colse nemmeno la distanza dai moralistici rimproveri che esprime altrove rispetto alle gratuite provocazioni romane o alla disinvoltura con cui alte personalità dell’impero violarono patti liberamente e solennemente sottoscritti. Il lettore moderno, invece, non può fare a meno di cogliere nelle Res
gestae valutazioni opposte e quasi contraddittorie su episodi e comportamenti
molto simili.
275 Cfr. sopra, pp. 106-107. 276 Cfr. sopra, pp. 107-108.