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per ribattere alle sferzanti accuse che Ammiano aveva mosso contro quel ceto: cfr A C AMERON ,

The date and identity of Macrobius, in “JRS”, LVI (1966), pp. 25-38 e specialmente 37-38.

100 Poiché la critica di Ammiano verso l’aristocrazia romana è espressa in termini conformi ai

criteri della letteratura epidittica d’età imperiale, essa perderebbe molta della sua forza e della sua concretezza a giudizio di PACK, The Roman digressions, p. 189. Si veda anche C.SALEMME, Tecnica della comparazione e prestito stilistico in Ammiano Marcellino 28, 4, in “Civiltà classica e cristiana”, VIII (1987), pp. 353-378.

101 Cfr. R

OHRBACHER, The historians, p. 30; a mio avviso, comunque, anch’egli esagera nel togliere credibilità alle pagine di Ammiano.

102 Cfr. N.R

UDD, Themes in Roman satire, London 1985, p. IX.

103 Cfr.

DEN HENGST, Literary aspects, pp. 167-169: anche per gli opportuni riferimenti al testo di Ammiano.

104 Critica moralistica e divertimento sono le due componenti che, miscelate con differenti

gradazioni, danno luogo all’opera satirica: cfr. S.H.BRAUND, Roman verse satire, London 1992, p. 4; l’opera è un’eccellente introduzione alle caratteristiche del genere satirico a Roma. Nelle due digressioni di Ammiano la critica è componente marcatamente più forte, in accordo con l’intento moralistico di tutta la sua opera: cfr. DEN HENGST, ibid., p. 169.

105

Le due liste costituiscono il più interessante elemento nuovo della seconda digressione rispetto alla prima; la fantasiosa distorsione operata sui nomi dimostra il generale intento satirico dello storico, che certo non si proponeva di muovere un attacco mirato contro ragguardevoli famiglie dell’aristocrazia romana della fine del IV secolo: cfr. DEN HENGST, ibid., pp. 169-170.

106

XIV 6, 2: nusquam a veritate sponte propria digressurus. Sul criterio di verità, scelto da Ammiano come uno dei cardini della propria storiografia, cfr. sopra, p. 20.

107 È la tesi, convincente e ben argomentata, di R.R

EES, Ammianus satiricus, in J.D.DRIJVERS -D. HUNT (a cura di), The late Roman World and its historian. Interpreting Ammianus Marcellinus, London - New York 1999, pp. 153-154: l’inserimento di materiale satirico all’interno di un’opera storica non ha precedenti nella storiografia classica e viene pertanto a caratterizzare in modo originale il lavoro storiografico di Ammiano.

coraggio di inserire, in un’opera storica ispirata alla tradizione classica, materiale satirico, non per sfoggio di un variegato gusto letterario, ma per meglio esprimere una denuncia di cui avvertiva l’urgenza: un’aspra, ma doverosa critica al tenore di vita che osservava nella Roma del suo tempo.

Era lo stesso argomento che, più di due secoli prima, Giovenale aveva fatto oggetto di attacchi memorabili e graffianti in molte delle sue satire109: una consonanza che, al di là di poche, circoscritte divergenze, non poteva essere sfuggita ad Ammiano in un’epoca che aveva da poco riscoperto la poesia di Giovenale. Negli anni ’60 e ’70 del IV secolo, dunque poco prima che Ammiano si trasferisse a Roma, in Occidente si era tornati a leggere ed apprezzare il poeta satirico110, a lungo ignorato invece dal grande pubblico nei secoli precedenti. Le

Satire erano dunque disponibili per Ammiano e sono stati fatti tentativi di

individuare nelle Res gestae echi precisi dell’opera di Giovenale111.

In effetti non poche somiglianze avvicinano lo storico al grande poeta satirico dell’età traianea: entrambi tacciono i nomi dei personaggi protagonisti dei comportamenti presi di mira e preferiscono tratteggiare con vivacità dei tipi; Ammiano, spesso attratto dagli aspetti cupi, ripugnanti e grotteschi dei personaggi e degli eventi trattati, tende poi ad una deformazione espressionistica della realtà che ricorda molto da vicino il tono e la forma della poesia di Giovenale112.

È sembrato allora paradossale che lo storico, proprio all’interno della seconda delle due digressioni (XXVIII 4, 14), consideri triviale ed indegna la lettura di un autore che lui stesso imita113, almeno occasionalmente, e da cui trae

109 D. Giunio Giovenale nacque con ogni probabilità ad Aquino, nel Lazio meridionale, fra il 50 ed

il 60 d.Cr.; morì dopo il 127. Compose le sue sedici satire nel clima di ritrovata libertà di pensiero e di parola seguito alla morte di Domiziano e garantito dai nuovi prìncipi Nerva (96-98) e Traiano (98-117), sotto i quali, per usare le parole di Tacito (Hist., I 1, 4), tornò ad essere lecito sentire quae velis et quae sentias dicere. Cfr. ROSTAGNI, Storia della letteratura, III, pp. 125-160.

110 Ne danno testimonianza Ausonio, Simmaco e Claudiano, oltre che la Historia Augusta: cfr.

SYME, Ammianus, pp. 84-88 e specialmente 87.

111 Nessun possibile influsso di Giovenale su Ammiano era stato segnalato da G.B.A.

FLETCHER, Stylistic borrowings and parallels in Ammianus Marcellinus, in “RPh”, s. III, XI (1937), pp. 337- 395. Ma una forte sintonia spirituale fra i due autori è stata colta da THOMPSON, The historical work, pp. 14-15 (egli cita anche alcune specifiche imitazioni di Giovenale da parte dello storico) e da P.J. SMITH, A note on Ammianus and Juvenal, in “LCM”, XIX (1994), p. 23. Una ricerca sistematica delle possibili tracce di Giovenale nell’opera di Ammiano è stata svolta da REES, Ammianus satiricus, pp. 142-151. Lo studioso ha classificato i passi dei due autori a suo giudizio giustapponibili in quattro categorie: figure retoriche, argomenti, vittime della satira, echi lessicali; né l’elenco dei passi né le categorie scelte hanno comunque un carattere esaustivo (ibid., p. 154, n. 6). Non mancano paralleli anche al di fuori delle due digressioni romane, per esempio fra IUV., 6, 221 e AMM., XXIX 2, 18. Rees (ibid., p. 150) ritiene comunque di aver dimostrato un uso attento e consapevole delle Satire di Giovenale nelle due digressioni romane di Ammiano.

112

Anche chi ritiene che le corrispondenze individuate fra le Satire e le Res gestae siano troppo vaghe ed opinabili per vedere nel poeta satirico una sicura fonte letteraria dello storico (è l’opinione di DEN HENGST, Literary aspects, pp. 172-173, in polemica con le conclusioni di Rees, su cui cfr. n. precedente), ammette che Ammiano aveva letto Giovenale, autore riscoperto ed apprezzato nella seconda metà del IV secolo.

113 Per le parole con cui Ammiano biasima la lettura di Giovenale da parte dell’aristocrazia

romana, accostandolo in questa condanna al biografo Mario Massimo, cfr. sopra, pp. 27-28 e n. 188.

65

qualche idea114. Ma non tutti i temi contro i quali si era appuntato il mordace spirito satirico del poeta potevano aver trovato l’approvazione di Ammiano. Questi, per esempio, non doveva aver apprezzato il ruvido commento di Giovenale alle difficoltà economiche in cui, ai suoi tempi, si dibattevano gli intellettuali ed in particolare gli storici, definiti pigri ed amanti della vita comoda115. Ed ancor meno Ammiano, da poco stabilitosi (e non senza incontrare difficoltà) nell’antica capitale dell’impero116, avrà gradito l’antipatia, più volte

manifestata dal poeta, nei confronti dei Greci, cioè degli Orientali, trasferitisi a Roma117. Inserire anche Giovenale fra gli autori adatti agli incolti poteva dunque essere un modo per prendere di mira il disprezzo per la cultura e la xenofobia di parte almeno dell’incolta aristocrazia senatoria del suo tempo, specialmente di coloro che nei versi del poeta satirico leggevano non una critica dei propri comportamenti, ma una giustificazione118. Con l’esclusione di questi specifici temi, tuttavia, Ammiano doveva aver sentito una profonda consonanza con Giovenale, soprattutto quando si accinse a descrivere e criticare i costumi degli abitanti dell’antica capitale dell’impero119

.

Nel IV secolo, del resto, si assiste ad un vero e proprio risveglio di interesse non solo per Giovenale, ma per il genere della satira, che fu praticato da autori cristiani120 e pagani. Tra questi ultimi fu Claudiano, nelle cui invettive sono state riconosciute tracce di Luciano di Samosata121, l’esponente della Seconda

114 Con parole diverse hanno espresso la loro sorpresa, fra gli altri, T

HOMPSON, The historical

work, pp. 14-15; PACK, The Roman digressions, p. 183; MATTHEWS, Ammianus and the eternity,

p. 20.

115 I

UV., 7, 105: genus ignavum, quod lecto gaudet et umbra. Questo giudizio, che certo Ammiano non poteva condividere, è utilizzato in un articolato tentativo di spiegare il paradosso da REES, Ammianus satiricus, pp. 151-152.

116 Cfr. sopra, pp. 6-8. Si ricordi in particolare che, con ogni probabilità, Ammiano fu tra gli

stranieri, peregrini, allontanati da Roma in occasione di una carestia, nel 383 o 384.

117 L’attacco più forte e famoso contro gli immigrati dall’Oriente, che con la loro presenza hanno

trasformato Roma in un’invivibile Graeca urbs, è in IUV., 3, 60-125. Il primo a vedere in questi versi la spiegazione dell’ostilità di Ammiano per Giovenale fu THOMPSON, The historical work, p. 15; l’argomentazione è stata ripresa e sviluppata da SMITH, A note, pp. 23-24 e soprattutto da REES, Ammianus satiricus, pp. 152-153. Sentimenti anti-greci si incontrano in Giovenale anche altrove: IUV., 6, 184-191 e 11, 147-148.

118 Cfr. R

EES, ibid., p. 151. Proprio l’ostentazione del lusso e del vizio spiega la popolarità delle Satire di Giovenale nel IV secolo a giudizio di SYME, Ammianus, p. 84

119 Ammiano fu indotto da ciò che vide in Roma a scrivere pagine satiriche in larga misura

consonanti con l’indignatio di Giovenale: cfr. THOMPSON, The historical work, p. 14; REES, ibid., pp. 153-154. Anche Syme (ibid., p. 84), pur ritenendo che la ricerca delle tracce di Giovenale nel testo di Ammiano avesse dato scarsi frutti, riteneva probabile che lo storico avesse tratto dal poeta satirico un impulso particolare a ritrarre in modo astioso i costumi degli abitanti di Roma nelle due digressioni dedicate a questo tema.

120 Cfr. D.S.W

IESEN, St. Jerome as a satirist. A study in Christian Latin thought and letters, Ithaca (New York) 1964, p. 3. Wiesen (ibid., passim) dimostra con abbondanza di esempi che Girolamo, nelle sue lettere e nelle sue invettive, attaccò i vizi criticati un tempo dai poeti satirici classici. Già Tertulliano, nel II secolo, aveva utilizzato le armi della satira per ridicolizzare i racconti mitologici pagani: cfr. DEN HENGST, Literary aspects, p. 176.

121 Cfr. H.-G.N

ESSELRATH, Menippeisches in der Spätantike. Von Lukian zu Julians Caesares und zu Claudians In Rufinum, in “MH”, LI (1994), pp. 30-44. Gli scritti di Claudiano fortemente influenzati dal genere satirico sono due ampi componimenti in esametri, In Rufinum ed In Eutropium, indirizzati contro avversari politici di Stilicone verso la fine del IV secolo. Su Claudiano e sul suo attaccamento alle sorti di Roma e dell’impero si veda PASCHOUD, Roma aeterna, pp. 133-155.

sofistica che nel II secolo d.Cr. aveva ridato nuova vita alla satira menippea122. La cosa non sorprende, poiché Claudiano, originario probabilmente di Alessandria, aveva ricevuto un’educazione letteraria greca prima del suo trasferimento a Roma attorno al 395123. Era la stessa educazione ricevuta da Ammiano, trasferitosi dall’Oriente a Roma circa quindici anni prima di Claudiano. Pertanto non sorprende nemmeno che anche nelle digressioni romane siano state individuate tracce di due operette di Luciano, appartenenti alla tradizione della satira menippea: il Nigrinus, un deciso attacco allo stile di vita degli abitanti di Roma espresso per bocca del filosofo platonico Nigrino, ed il De mercede conductis, che descrive l’umiliante condizione di un professore al servizio di una famiglia romana. Fra le due operette e le pagine delle Res gestae sembrano sussistere corrispondenze non solo tematiche, ma anche verbali, che inducono a ritenere che Ammiano avesse letto e volutamente imitato Luciano124. Dunque gli antecedenti letterari delle due digressioni ammianee su Roma possono essere cercati non solo nella satira in versi latina, ma anche nella tradizione della satira menippea greca125. Inoltre per Ammiano la satira non era solo un genere letterario del passato, ma uno stile praticato da numerosi suoi contemporanei, cristiani e pagani126. Tutto questo spiega a sufficienza la sicura influenza del genere letterario della satira che si riconosce nelle due digressioni ammianee: nel contenuto, come nel registro linguistico; non può tuttavia far nutrire dubbi sulla sincerità del biasimo dello storico e sulla concreta attualità del messaggio che egli volle comunicare.

Rispetto alla sincerità delle convinzioni espresse da Ammiano non crea alcuna difficoltà nemmeno il presunto stretto legame che esisterebbe fra lo storico e la nobiltà senatoriale. Intanto occorre distinguere nel Basso impero fra senato di Roma ed ordine senatoriale come classe sociale127. Tutti i funzionari, o ex funzionari, che ottenevano il clarissimato entravano di diritto nella classe senatoriale, ma non per questo essi sedevano in senato né risiedevano a Roma. L’ordine senatoriale, nel IV secolo, era pertanto una classe relativamente numerosa, fortemente gerarchizzata al suo interno, sparsa per tutto l’impero ed in larga maggioranza ormai cristiana128. Il senato di Roma era invece formato da un numero relativamente piccolo di senatori ereditari, provenienti da famiglie aristocratiche ricchissime, proprietarie di estesi latifondi e per lo più ancora legate

122

Caratterizzato nel contenuto da una commistione di elementi seri e scherzosi, nella forma da un’alternanza di prosa e versi, questo genere letterario deve il nome al suo iniziatore, il filosofo cinico Menippo di Gadara (III secolo a.Cr.).

123 Cfr. N

ESSELRATH, Menippeisches in der Spätantike, p. 44.

124

È la tesi di DEN HENGST, Literary aspects, pp. 174-176: lo studioso mette in parallelo una serie di passi dei due autori effettivamente molto simili ed ipotizza (ibid., p. 174) che, in termini di influenza diretta, Luciano possa essere stato per Ammiano più importante di Giovenale.

125

Ibid., p. 176.

126

Ibid., pp. 176-177.

127 Per questa breve schematizzazione seguo soprattutto la sintetica, ma chiara esposizione di

PASCHOUD, Roma aeterna, pp. 71-72.

128 Sull’aristocrazia senatoria nel Basso impero, sulle sue gerarchie interne e sulle trasformazioni

che essa subì dai tempi di Diocleziano a quelli di Giustiniano, cfr. JONES, The later Roman Empire, II, pp. 523-562. Utili, e coerenti con l’ampio affresco sociale e politico di Jones, le più sintetiche informazioni di KAHLOS, Vettius Agorius Praetextaus, pp. 16 (aristocrazia senatoriale nel IV secolo) e 27-28 (carriera senatoriale nel IV secolo).

67

alla religione pagana. Eredi dell’antica tradizione senatoria, costoro godevano di riflesso del prestigio di cui era ancora depositaria Roma, per niente diminuito dopo che la città aveva cessato di essere la capitale dell’impero. L’aristocrazia senatoriale pagana di Roma, per risorse economiche, prestigio sociale, capacità di iniziativa politica (accresciuta dalla lontananza degli imperatori) era la punta di diamante della classe senatoriale: per lo meno essa si sentiva tale e come tale era percepita dagli appartenenti a quella classe e più in generale da tutti i ceti benestanti sparsi per l’impero. Ebbene Ammiano, che non fu mai senatore, ma apparteneva alle élites provinciali ed aveva compiuto una carriera militare non trascurabile129, nelle due digressioni non muove certo un attacco indiscriminato contro l’ordine senatoriale dell’impero, ma esprime la propria delusione ed il proprio biasimo nei confronti di quella cerchia ristretta di grandi famiglie che imparò a conoscere direttamente o indirettamente a Roma e che gli sembrarono mosse da sentimenti meschini come l’ambizione, la vanagloria, l’avidità più che da vero senso dello Stato130.

In quella cerchia ristretta Ammiano ebbe certo amicizie e simpatie, che egli, per altro, ha più nascosto che palesato nella sua opera, ma non ne divenne mai parte integrante né fu mai disposto a farsi fautore o anche solo testimone benevolo nelle sue pagine di un modo di vita, privata e pubblica, che non poteva condividere131. Del resto la critica che egli muove a quelle aristocratiche famiglie è essenzialmente di tipo morale, perché morale è la riforma che lo storico, un po’ ingenuamente, sente di augurarsi come rimedio ai mali di cui soffre l’impero: un recupero delle virtù del tempo antico, non a caso costantemente richiamate nelle

Res gestae, ed anche nelle due digressioni, a paragone della decadenza

contemporanea132. Rispetto a questo rinnovamento morale della classe dirigente – capace da solo di arrestare la crisi dello Stato, come secondo Ammiano aveva dimostrato il breve regno dell’unico imperatore virtuoso della sua epoca, Giuliano – l’aristocrazia romana gli apparve dolorosamente lontana e nemmeno interessata133: ed è quanto egli ha denunciato nelle due digressioni romane, con esagerazione satirica, ma anche in piena coerenza con le sue convinzioni. Se infatti Ammiano è convinto che nemmeno dopo Adrianopoli l’impero stia correndo un pericolo mortale134, egli fa però notare che in passato disastri anche più gravi poterono essere superati solo poiché l’antica temperanza non era ancora stata corrotta dal desiderio di mense ambiziose e di guadagni vergognosi, ma tutti i ceti sociali, in piena concordia, erano disposti anche al sacrificio supremo per il bene della patria135: sfoggio di un lusso smodato, anche attraverso i banchetti, ed

129 Cfr. sopra, pp. 3-5. 130

La reale meschinità degli interessi che muovevano l’aristocrazia senatoriale pagana alla fine del IV secolo è stata individuata in maniera persuasiva negli scritti che meglio danno voce alle idee ed alle ambizioni di quel ceto sociale: le Epistole di Simmaco, i Saturnalia di Macrobio, le biografie della Historia Augusta. Cfr. PASCHOUD,Roma aeterna, pp. 72-109: la conclusione dello studioso (ibid., p. 109) è che mentre il patriottismo di Ammiano, nella sua ingenuità, è lucido, onesto e generoso, quello tanto vantato dall’aristocrazia senatoriale pagana è ottuso, ipocrita ed egoista.

131 Per questa problematica e per le relative indicazioni bibliografiche, cfr. sopra, pp. 6-7 e 40. 132 Cfr. sopra, p. 61 e n. 90.

133

Cfr. PASCHOUD, Roma aeterna, pp. 67-69.

134 Cfr. sopra, p. 61 e n. 93.

135 XXXI 5, 14: quod nondum solutioris vitae mollitie sobria vetustas infecta nec ambitiosis

avidità di guadagno, svincolata da ogni freno morale, sono, a ben vedere, i principali vizi imputati all’aristocrazia senatoria romana nelle due digressioni.

La satira, persino esagerata nei toni, nei confronti dell’aristocrazia senatoria romana suggerisce che quel ceto non fosse il pubblico per il quale Ammiano aveva scritto la sua opera. Anche tra coloro che in Roma ascoltarono pubbliche letture delle Res gestae136 i senatori non dovevano essere la presenza numericamente più cospicua. Le due digressioni satiriche si comprendono meglio, se si immaginano indirizzate ad un pubblico di burocrati e soldati, come lo stesso Ammiano. In particolare si è pensato ai giovani, provenienti da tutto l’impero, ma soprattutto dall’Oriente greco, che a Roma seguivano i loro studi nella speranza di una futura carriera statale ed anche ai cortigiani, di rango militare o civile, che accompagnarono Teodosio nella sua visita a Roma nell’estate del 389 e che nel 391 seguirono poi l’imperatore a Costantinopoli; da qui alcuni di loro poterono giungere ad Antiochia ed informare Libanio del successo conseguito dal suo concittadino137. Costoro potrebbero aver sperimentato le stesse difficoltà di Ammiano nel rapporto di ospitalità con gli aristocratici locali e potrebbero aver condiviso il suo disprezzo di intellettuale greco per la mancanza di cultura dei loro ospiti romani. Al tempo stesso essi potrebbero aver costituito per lo storico un pubblico più attento e ricettivo, capace anche di apprezzare la sua parodia di stampo militaresco di alcuni vanitosi comportamenti dell’aristocrazia romana: la servitù di casa schierata in manipoli (XIV 6, 17 e XXVIII 4, 8), la visita alle proprietà di campagna vissuta come i viaggi di Alessandro o di Cesare (XXVIII 4, 18), il soldato in pensione che astutamente inganna, con racconti inventati, i suoi creduloni ascoltatori romani (XXVIII 4, 20)138.

Anche da questo punto di vista è possibile apprezzare la distanza che separa un autore di origine orientale, appartenente alla classe provinciale medio- alta ed a lungo al servizio dello Stato nella burocrazia militare, da una nobiltà prestigiosa ed ancora autorevole, ma poco capace di interrogarsi sui mali dell’impero ed ancor meno propensa ad immaginare una soluzione, perché troppo ripiegata su se stessa e sulla difesa dei propri privilegi.

La salvaguardia delle frontiere dell’impero, presupposto non solo della sua sopravvivenza, ma soprattutto della sua capacità di svolgere nel mondo la funzione per cui era sorto, rappresenta la maggiore delle preoccupazioni che stanno a cuore allo storico.

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