consiglieri ed anzi consentì loro di frenare i propri impulsi sconsiderati (XXII 10, 3): praefectis proximisque permittebat, ut fidenter impetus suos aliorsum tendentes, atque decebat, monitu opportuno frenarent.
282 Lo ricorda fra i sicuri sostenitori della dinastia di Valentiniano M
ATTHEWS, Western aristocracies, p. 62.
283 Cfr. A
LFÖLDI, A conflict of ideas, p. 70. È stato anche osservato che Ammiano, derogando al suo comportamento abituale, non designa mai Euprassio con il titolo più alto e prestigioso da lui conseguito alla fine della sua carriera, quello appunto di praefectus Urbi, mentre è ricco di informazioni a proposito delle funzioni che gli erano state affidate in precedenza: cfr. CHASTAGNOL, Les fastes, p. 191; anche in questo modo lo storico ha voluto metterlo al riparo da facili collegamenti con ricordi dolorosi: cfr. SABBAH, La méthode, p. 232, n. 42.
284 Cfr. S
ABBAH, ibid., pp. 233-234: lo studioso ritiene che un’influenza diretta di Euprassio sul contenuto delle Res gestae vada ristretta alle tre circostanze in cui è esplicitamente citato (XXVII 6, 14; XXVII 7, 6-7; XXVIII 1, 25), ma pensa anche che egli abbia guidato lo storico verso le fonti migliori ed i documenti più attendibili, aiutandolo ad accedervi con la sua protezione, il suo prestigio, le sue conoscenze.
285
XXVII 7 e XXIX 3: cfr. sopra, pp. 116-122.
286 Cfr. S
ABBAH, La méthode, pp. 338-339: lo studioso fa riferimento all’Or. IV, Pro patre, ma anche all’Or. V, Pro Trygetio ed all’epistola X 2.
287
XXVIII 1, 30: Opportunum est, ut arbitror, explanare nunc causam, quae ad exitium praecipitem Aginatium impulit, iam inde a priscis maioribus nobilem, ut locuta est pertinacior fama; nec enim super hoc ulla documentorum rata est fides. Lo storico si riferisce qui alla motivazione che condusse alla rovina Aginazio, già vice-prefetto dell’Urbe, durante i processi per magia tenutisi a Roma. Per i problemi di interpretazione posti dal passo cfr. MARIÉ, Notes complémentaires, n. 355, pp. 280-281.
288 Per esempio, ma non solo, all’interno della parte del necrologio di Valentiniano dedicata ai
pregi di questo imperatore (XXX 9): SABBAH, La méthode, p. 233. Cfr. anche sopra, pp. 39-40 e n. 273.
contrario, riconduceva ad una fonte letteraria filo-senatoria le pagine in cui lo storico esprime apprezzamento per quell’imperatore289, ritengo insomma che solo la prima sia, in una certa misura, condivisibile. Certo penso che sia prudente non pretendere di individuare la fonte di Ammiano: né nei perduti Annales di Nicomaco Flaviano, di cui in realtà nulla sappiamo290, né in nessun’altra opera contemporanea parzialmente o interamente conservata, nemmeno gli scritti di Simmaco. Questi ultimi, è stato sostenuto in maniera convincente291, hanno influito su Ammiano soprattutto nel campo dell’elocutio, accentuando la tendenza naturale dello storico verso uno stile pingue et floridum ed avvicinandolo alle tecniche espressive proprie dei panegirici. Lo storico si è certo confrontato con la personalità e con l’opera di Simmaco, anche per stabilire un contatto con una parte prestigiosa ed autorevole dell’ambiente sociale e culturale in cui completò e pubblicò la sua fatica letteraria, ma senza mai appiattirsi sulle idee e sulle valutazioni politiche dell’aristocrazia romana. Nelle Res gestae si trovano certamente echi dei giudizi di Simmaco su Valentiniano, per altro discordanti nel corso degli anni, ma Ammiano non li riferisce mai in maniera letterale, con ciò affermando la propria indipendenza ed originalità: nel complesso la sua interpretazione della condotta di Valentiniano appare meno ostile di quella che doveva prevalere negli ambienti senatoriali292.
Ammiano ha tratteggiato un ritratto poliedrico di Valentiniano in cui l’imperatore appare come un grande comandante militare, consapevole che suo primo dovere è la difesa dei confini, come un sovrano tollerante in materia religiosa, come un autocrate sinistro e crudele, mal consigliato da avidi e corrotti cortigiani. È inopportuno accentuare il peso e l’importanza di uno di questi aspetti rispetto agli altri; farlo non rende giustizia allo sforzo di obbiettività dello storico e soprattutto non coglie la più costante preoccupazione dell’autore: l’auspicata unità di governanti e governati di fronte alle sfide che la realtà contemporanea poneva all’impero romano. Dopo Adrianopoli fu chiaro per Ammiano – ed a suo avviso avrebbe dovuto esserlo per tutti – che l’impero era sotto assedio. In una tale situazione un’energica politica militare e diplomatica alle frontiere costituiva la migliore risposta che lo Stato romano poteva dare; al tempo stesso una politica di tolleranza religiosa, che evitasse di aprire all’interno inutili e dolorosi conflitti, era tanto opportuna agli occhi di Ammiano quanto era invece deprecabile un’autocrazia che intimoriva ed allontanava da sé una parte almeno della tradizionale classe di governo. Questi, a mio avviso, sono i criteri che hanno guidato Ammiano fra i discordanti giudizi che egli esprime sulla figura di Valentiniano.
Appare invece riduttiva ogni lettura delle Res gestae che vede in Valentiniano solo un maldestro epigono di Giuliano, come se Ammiano avesse voluto creare un’insistita comparazione fra i due imperatori allo scopo di far
289 Cfr. sopra, pp. 130-131 e n. 105 (Paschoud), p. 135 e n. 131 (Alföldi): entrambi ritenevano che
la fonte di Ammiano fosse la perduta opera storica di Nicomaco Flaviano.
290 Il carattere congetturale della ricostruzione del testo di Nicomaco dovrebbe scoraggiare ogni
ipotesi che ne vuole fare la fonte di opere conservate: cfr. sopra, pp. 134-135 e nn. 126 e 128.
291 Seguo la conclusione cui, dopo aver analizzato le relazioni riscontrabili fra Ammiano e le opere
di Simmaco, giunge SABBAH, La méthode, pp. 345-346; cfr. anche ibid., pp. 335-338.
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risaltare la superiorità dell’ultimo discendente di Costantino rispetto al fondatore della breve dinastia pannonica293. Ed è parimenti riduttiva la lettura di chi negli ultimi sei libri dell’opera di Ammiano vede solo l’illustrazione della progressiva decadenza della compagine statale romana, destinata a provocare il disastro di Adrianopoli: una decadenza causata dalla dilagante corruzione che mosse i suoi primi passi con Costantino, dilagò sotto Costanzo e raggiunse il suo culmine durante i regni di Valentiniano e Valente294. Non è del tutto vero, infatti, che a giudizio di Ammiano i caratteri salienti della società romana dopo la morte di Giuliano sono «disordine, repressione e corruzione»295. Chi legga senza prevenzione il quadro che egli ha tratteggiato del regno di Valentiniano vi trova anche altro. In particolare vi trova un imperatore costantemente impegnato nella difesa delle frontiere a lui affidate, come era precipuo dovere, a giudizio di Ammiano e non solo296, di un buon sovrano. Probabilmente Ammiano avrebbe fatto proprio e sottoscritto il giudizio che Paschoud297 riconosce potersi ricavare da una lettura di quello che le Res gestae ci dicono su questo imperatore: medium
… virum et inter bonos magis quam inter malos principes collocandum.
293 Non mi riferisco soltanto a Paschoud (su cui cfr. sopra, pp. 119 e 136), ma anche a S
ABBAH, ibid., pp. 499-501; lo studioso ritiene che una più nascosta, ma forse ancor più significativa comparazione sia stata creata da Ammiano fra Giuliano e Valente (ibid., pp. 502-506): anche in questo caso, ovviamente, a svantaggio dell’imperatore pannonico.
294 Cfr. B
ARNES, Ammianus (1998), pp. 181-183. Barnes biasima poi quegli studiosi moderni che in maniera troppo corriva hanno fatto propria la moralistica tesi di Ammiano della corruzione come causa principale della decadenza dell’impero romano (ibid., p. 183 e n. 74). Ma sarebbe più opportuno chiedersi se in Ammiano non ci sia qualcosa di più di una moralistica denuncia della dilagante corruzione.
295 Ibid., p. 181. 296
Sulla persistenza nella tarda antichità dell’idea che l’imperatore dovesse essere in primo luogo un abile comandante supremo dell’esercito, capace di guidare personalmente le truppe sul campo, cfr. sopra, p. 71 e n. 14.
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