puramente descrittivo nella seconda; è il rilievo mosso a Matthews da DEN HENGST, Literary aspects, p. 164. Anche den Hengst apprezza comunque le pagine dedicate da Matthews alle due digressioni.
65
Cfr. MATTHEWS, ibid., p. 414.
66 Per tutti questi possibili paralleli fra le due digressioni, cfr. ibid., pp. 414-415. 67 Cfr. ibid., p. 415.
impatto di Ammiano con Roma: per meglio dire lo storico vi esprime lo sconcerto provato nel confrontare le sue aspettative sull’antica capitale e le sue speranze sul ruolo che Roma potrebbe e dovrebbe svolgere rispetto ai gravi problemi dell’impero con la realtà effettivamente incontrata. Nel corso degli anni seguenti Ammiano ebbe modo di osservare da vicino ulteriori abitudini e comportamenti della popolazione romana: si ritrovò quindi fra le mani altro materiale, più improvvisato, perché quasi estemporaneo e non frutto di un ragionamento a tavolino; ne fece la sua seconda digressione su Roma. Pur differenti nell’organizzazione espressiva dei rispettivi contenuti, le due digressioni danno dunque voce ad un’unica e ben precisa denuncia: quella dell’enorme distanza che separava i valori umani apprezzati da Ammiano e lo stile di vita che egli vide praticato nell’antica capitale dell’impero69
. Le pagine di aspra critica contro la popolazione romana non sono soltanto la rivalsa un po’ meschina di uno straniero, offeso dallo scarso riguardo con cui era stato accolto da un’aristocrazia superficiale ed arrogante70. Esse esprimono la lontananza di un uomo serio e tradizionalista – un ufficiale, un gentiluomo – da comportamenti che contrastavano in maniera stridente con la propria esperienza biografica e con la gravità del momento che l’impero stava vivendo71
.
Se i due passi nascono dunque da un unico ed unitario intento di Ammiano, esso andrà ricercato nel contesto da cui scaturisce la prima digressione, quella in cui lo storico sembra meglio svolgere un ragionamento coerente, ben strutturato e curato anche sul piano formale. Come si è visto72, essa nasce a commento di una prefettura, quella di Orfito, turbata da gravi disordini per la scarsità di vino, il cui abuso provoca spesso sollevazioni violente della popolazione romana (XIV 6, 1) ed è indirizzata in particolare a quegli stranieri che potrebbero stupirsi e non capire le ragioni della bassezza delle vicende di cui lo storico è costretto a parlare quando passa ad occuparsi di Roma (XIV 6, 2). Ammiano prosegue poi delineando la missione divina che è stata assegnata a Roma e che essa ha portato avanti brillantemente fino all’epoca attuale; accordatesi Virtù e Fortuna in un patto di pace per garantire il pieno trionfo della città eterna (XIV 6, 3), il popolo di Roma sin dalla culla ha conosciuto una serie ininterrotta di successi militari: dalla nascita e fino agli ultimi anni della sua puerizia condusse guerre locali, durante l’adolescenza superò i confini terrestri e marittimi dell’Italia, nella giovinezza e nell’età virile arrivò a conquistare il mondo; giunto ormai alla vecchiaia ed ancora in grado di ottenere talvolta trionfi grazie alla sua sola reputazione, il popolo romano ha scelto saggiamente una vita più tranquilla (XIV 6, 4). Infatti l’Urbs venerabilis, schiacciate le superbe teste dei popoli barbari e promulgate le leggi, fondamento e limite della libertà, ha lasciato agli imperatori, come fossero i propri figli, l’amministrazione del suo
69
È stato acutamente osservato che l’accusa rivolta nelle due digressioni contro gli aspetti dei costumi romani che avevano suscitato il disgusto e il risentimento di Ammiano ci rivela e
contrario le qualità umane e comportamentali che lo storico massimamente apprezzava: cfr. DEN
HENGST, Literary aspects, p. 164.
70
Cfr. sopra, pp. 55-56.
71 Per alcuni esempi dei comportamenti che più devono aver sconcertato lo storico, cfr.
DEN
HENGST, Literary aspects, p. 165.
59
patrimonio (XIV 6, 5). E sebbene sia definitivamente tramontata la vivace vita politica dell’età repubblicana, in ogni regione del mondo Roma è accolta come signora e regina ed ovunque la canizie dei senatori è oggetto di venerazione, il nome del popolo romano è rispettato e onorato (XIV 6, 6)73.
Questi paragrafi, introduttivi della vera e propria digressione, che comincia subito dopo, hanno un evidente intento celebrativo di Roma e della sua missione civilizzatrice: portare la giustizia, fondata sulla legge, agli estremi confini del mondo conosciuto. Ammiano ci dice che la città ha assolto mirabilmente questa funzione, nel passato più remoto con le sue istituzioni, in seguito affidandola agli imperatori, suoi figli ed eredi; ancora oggi il suo primato è ovunque riconosciuto. Non appare condivisibile una lettura pessimistica, negativa di queste righe74. Si potrà bensì disquisire, se, scrivendo victura dum erunt homines Roma (XIV 6, 3)75, Ammiano abbia voluto proporre un gioco di parole, allusivo ai due possibili significati del participio victura: che vivrà o che vincerà in eterno76? Personalmente propendo per l’interpretazione più piana ed ovvia del participio, anche perché l’espressione precede e non segue la rapida elencazione delle vittorie di Roma in guerre sempre più grandi ed in regioni sempre più remote. Ed è anche molto probabile che Ammiano, nel paragonare lo sviluppo dello Stato romano alla crescita di un corpo umano, si sia ispirato a Floro77. Tuttavia la più palese differenza che esiste fra il testo di Ammiano e quello di Floro non autorizza ad interpretare come pessimistico il messaggio dello storico antiocheno. Floro, sviluppato il celebre paragone fra le fasi della vita umana e la crescita dello Stato romano, concludeva affermando che nella sua epoca l’impero era uscito dalla vecchiaia e contro ogni aspettativa si era rimesso in azione, come se gli fosse stata donata una seconda giovinezza78. Ammiano ha sì rimosso questa ottimistica conclusione79, ma ne ha inserita un’altra forse ancor più significativa per i lettori della sua generazione. Egli afferma, infatti, che ad un certo momento Roma, ormai prossima alla vecchiaia e capace di vincere talvolta con la sua sola reputazione, passò ad una vita più tranquilla80. Ma, al pari di una madre onesta,
73 XIV 6, 6: per omnes tamen quot orae sunt partesque terrarum, ut domina suscipitur et regina et
ubique patrum reverenda cum auctoritate canities populique Romani nomen circumspectum et verecundum. Ho voluto citare per intero la conclusione alla lunga premessa, perché queste parole mi sembrano giustificare di per sé una lettura positiva ed ottimistica della missione affidata a Roma dagli dei e della maniera in cui essa, nel giudizio di Ammiano, assolve ancora al suo compito.
74
Pessimistica e negativa come l’interpretazione che ne dà BARNES, Ammianus (1998), pp. 173- 175.
75 Cfr. anche sopra, p. 51 e n. 34.
76 Alla possibilità che l’espressione ammianea abbia un doppio senso, allusivo ai trionfi di Roma,
destinati a durare in eterno, crede soprattutto MATTHEWS, The Roman Empire, pp. 280 e 470. Ha probabilmente ragione Barnes nel non vedere nel participio alcun significativo doppio senso, ma egli si spinge troppo oltre quando pretende di tradurre il verbo vivere con «exist» ovvero con «live on in an increasingly squalid existence»! Cfr. BARNES, Ammianus (1998), p. 174, n. 35.
77
Cfr. sopra, p. 48 e n. 13.
78 F
LOR., I, praef. 8: inertia Caesarum quasi consenuit atque decoxit [soggetto è il populus Romanus], nisi quod sub Traiano principe movit lacertos et praeter spem omnium senectus imperii quasi reddita iuventute reviruit.
79
Come tende a sottolineare BARNES, Ammianus (1998), pp. 174-175.
80 XIV 6, 4: ad tranquilliora vitae discessit. Il tentativo di vedere in queste parole un’allusione alla
morte piuttosto che al ritiro dalla vita attiva pare un’ulteriore forzatura di BARNES, Ammianus (1998), p. 173 e n. 29.
saggia e ricca, essa lasciò agli imperatori, come ai propri figli, il compito di amministrare il suo patrimonio81: tutt’altro che un’immagine di declino, piuttosto di ringiovanimento, di seconda giovinezza conseguita da Roma sotto gli imperatori e grazie al loro operato82. Se in Floro il processo di invecchiamento di Roma appariva come una conseguenza dell’impero, in Ammiano è piuttosto l’impero che sembra la conseguenza dell’entrata della città nella fase biologica della sua vecchiaia83: la vitalità degli imperatori è anzi il mezzo che ha consentito di evitare i rischi insiti nell’infiacchimento senile del vecchio organismo cittadino. Grazie all’originale trovata della gestione dell’impero lasciata in eredità ai Cesari Ammiano ha potuto dipingere la vecchiaia di Roma come l’apogeo della città, come uno stato di eterna, inalterata prosperità dal quale è escluso qualsiasi elemento di decadenza84. Lo dimostra la convinta conclusione del ragionamento dello storico, per il quale senato e popolo di Roma godono ovunque di rispetto e venerazione (XIV 6, 6)85.
È rispetto alla missione divina ed al perdurante prestigio di Roma nel mondo che Ammiano scrive la sua severa requisitoria contro l’inadeguatezza della popolazione dell’Urbe86
, denunciando tanto la sterile mondanità della nobiltà romana, quanto la pigrizia, l’irascibilità e le stupide reazioni della plebe: nel capitolo XIV 6, come più avanti nel capitolo XXVIII 4. Quelle persone, ed in particolare l’aristocrazia senatoria, gli sembrano oggettivamente inadeguate, non all’altezza dell’espletamento dei compiti che da loro si attende lo Stato e che soprattutto potrebbero attendersi i cittadini di rango delle province, quelli come Ammiano che da sempre si sforzano di fare il proprio dovere nell’esercito o nell’amministrazione civile dell’impero. È significativo che, avviandosi a scrivere la prima delle due digressioni romane, lo storico dica di farlo per fornire un contributo di chiarificazione a vantaggio di eventuali lettori stranieri, cioè non romani, i quali potrebbero negativamente stupirsi di ciò che egli è costretto a raccontare sull’antica capitale87
. Lo stupore che Ammiano vuole prevenire è quello che lui stesso deve aver provato dopo il suo trasferimento a Roma, quando con amarezza constatò la preoccupante distanza che esisteva tra la città eterna, che
81 XIV 6, 5: Caesaribus tamquam liberis suis regenda patrimonii iura permisit. Cfr. sopra, p. 48 e
n. 14.
82 Il concetto ammianeo di un’eredità passata dal senato agli imperatori non trova un esatto
parallelo né in Floro, né in Seneca o Lattanzio (per i quali cfr. sopra, p. 48, n. 13), né in nessun’altra fonte: cfr. MATTHEWS, The Roman Empire, n. 36, p. 516 e n. 40, p. 553.
83 Cfr. K
OHNS, Die Zeitkritik, pp. 490-491.
84 Cfr. A. D
EMANDT, Metaphern für Geschichte. Sprachbilder und Gleichnisse im historisch- politischen Denken, München 1978, pp. 37-45 e specialmente 39-40.
85 Per le esatte parole di Ammiano, che concludono la premessa alla digressione, cfr. sopra, p. 59 e
n. 73.
86
Collocato sullo sfondo della posizione raggiunta da Roma nel mondo, l’indegno comportamento dei suoi abitanti finisce inevitabilmente per essere enfatizzato: cfr. DEN HENGST, Literary aspects, p. 161.
87 XIV 6, 2: Et quoniam mirari posse quosdam peregrinos existimo … summatim causas
perstringam nusquam a veritate sponte propria digressurus. Di solito da queste parole si è voluto dedurre che lo storico si considera qui un Romano: cfr. sopra, p. 48 e n. 11. Sarebbe forse più corretto dedurne che i destinatari privilegiati delle pagine che Ammiano si accinge a scrivere sono non Romani o almeno persone che non avevano una conoscenza diretta della realtà dei comportamenti individuali e di massa nell’antica capitale.
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ai suoi occhi ancora incarnava l’ideale dell’impero e della missione che questo doveva svolgere nel mondo, ed i suoi abitanti, immemori del loro passato ed indegni della posizione di privilegio di cui ancora godevano.
Non a caso entrambe le digressioni sono percorse da un insistito, anche se talvolta un po’ forzato, raffronto con il passato di Roma o meglio con il ben più dignitoso comportamento e la superiore moralità che un tempo sapevano garantire tanto l’aristocrazia senatoriale quanto la plebe. Se la popolazione romana, ad ogni livello sociale, dimostra ostilità nei confronti dei forestieri residenti88, nel passato tutti erano al contrario ben consapevoli che la forza di Roma consisteva proprio nella disponibilità ad aprirsi al contributo di genti esterne89. Ma il passato glorioso e virtuoso viene messo a confronto con la presente decadenza non solo a proposito di questo tema, particolarmente vicino alla sensibilità personale dell’autore. Nelle due digressioni, come del resto in tutta l’opera di Ammiano90
, abbondano i riferimenti ai grandi protagonisti del passato ed in particolare della storia romana, chiamati a testimoniare una virtù morale e civile, purtroppo non più attuale, ma della quale lo Stato avrebbe ancora bisogno: Numa Pompilio, Acilio Glabrione (vincitore di Antioco alle Termopili nel 191), Catone il Censore, Valerio Publicola (che aveva abbattuto la monarchia insieme a Bruto), Atilio Regolo, Cn. Cornelio Scipione nel capitolo XIV 691; Manilio, allontanato dal senato per aver baciato la moglie in presenza della figlia, i Dioscuri recanti l’annuncio della vittoria del lago Regillo, Alessandro Magno, Cesare, i fratelli Quintili vissuti all’epoca di Commodo, ancora Catone, Marcello conquistatore di Siracusa e Democrito nel capitolo XXVIII 492.
Il messaggio di Ammiano è chiaro: in un momento per lo meno delicato della storia dell’impero, minacciato da pericoli gravi, anche se a suo giudizio superabili93, l’aristocrazia senatoriale di Roma, malgrado gli ideali magniloquenti di cui si ammanta, è mossa da interessi meschini ed egoisti, come forse mai era avvenuto in passato; ben scarso è il contributo che essa sembra in grado di dare alla difesa dell’impero94
. Questa convinzione di Ammiano non è frutto di un pregiudizio, al contrario essa si è fatta largo e si è imposta nella sua mente in
88 Cfr. sopra, pp. 55-56.
89 Per questa ferma convinzione di Ammiano, cfr. soprattutto XIV 6, 21-22 e XXVIII 4, 32. La
stessa convinzione in AUR. VICT., Caes., XI 13: Ac mihi quidem … plane compertum urbem Romam externorum virtute atque insitivis artibus praecipue crevisse.
90
Più di qualunque altro storico antico la cui opera si sia conservata fino a noi Ammiano fa uso di citazioni o esempi tratti principalmente dalla storia greca o romana. Questo aspetto della storiografia ammianea è stato studiato in particolare da BLOCKLEY, Ammianus, pp. 157-167 e 191- 195: gli exempla romani, della storia repubblicana più che di quella imperiale, prevalgono numericamente su quelli greci in un rapporto di sette a tre. Con questo insistito artificio Ammiano ottiene, ovviamente, di situare ogni evento da lui narrato nella lunga e gloriosa storia del passato: cfr. ROHRBACHER, The historians, pp. 36-37.
91
In particolare: XIV 6, 6 (Numa), 8 (Acilio Glabrione e Catone), 11 (Valerio Publicola, Regolo e Scipione).
92 In particolare: XXVIII 4, 9 (Manilio), 11 (i Dioscuri), 18 (Alessandro e Cesare), 21 (i fratelli
Quintili e Catone), 23 (Marcello), 34 (Democrito).
93 Persino davanti all’invasione gotica successiva al disastro di Adrianopoli lo storico rifiuta di
ammettere che quello sia stato il maggior pericolo mai corso dallo Stato romano e rievoca una serie di circostanze passate in cui l’impero è sembrato in procinto di soccombere, ma si è poi sempre salvato: XXXI 5, 11-17.
94 Cfr. P
conseguenza di quanto egli ha potuto osservare dopo il suo trasferimento nell’antica capitale. È una verità amara, che lo storico ha fatto sua più con delusione e preoccupazione che con compiacimento e forse proprio per questo egli ha ecceduto nei toni satirici e sarcastici. Questi toni non devono però impedirci di vedere la meditata convinzione che Ammiano ha voluto esprimere con le sue due digressioni romane: l’inadeguatezza dell’aristocrazia senatoriale romana della fine del IV secolo rispetto alla propria immagine tradizionale ed ai propri specifici doveri.
4. Fra satira e storiografia
È ben noto che lo stile narrativo di Ammiano non è mai fluido e levigato, ma privilegia il ricorso ad immagini sorprendenti, che si imprimono nella memoria del lettore, a cominciare dal celeberrimo scontro tra il prefetto della città Leonzio95 ed il provocatore di disordini dai capelli rossi Pietro Valvomero (XV 7, 1-5), studiato in pagine famose da Auerbach96. Linguaggio figurato e stile di Ammiano indulgono spesso alle tinte forti, ai toni violenti; nelle sue pagine hanno ampio spazio ferocia, eccesso ed arroganza97. Anche nelle due digressioni romane si avverte l’assenza di un ceto medio, capace di un comportamento più o meno normale: lo storico propone all’attenzione dei lettori solo gli estremi corrotti della società che ha scelto di colpire con la sua satira98. Ed è stato osservato che, se i vizi e la superficialità denunciati da Ammiano potevano certamente esistere all’interno dell’aristocrazia senatoria, altre testimonianze, per esempio i
Saturnalia di Macrobio, ci descrivono una situazione diversa, con autorevoli
senatori impegnati in serie discussioni su letteratura, religione o erudizione antiquaria99. Tutto ciò non basta però a giustificare l’opinione di chi nelle due
95 Sul personaggio cfr. J
ONES -MARTINDALE -MORRIS, The prosopography, I, p. 503 (Flavius Leontius 22). Fu prefetto di Roma fra le due prefetture di Orfito (cfr. sopra, p. 48, n. 10) e risulta essere stato in carica alla data del 10 novembre 356: cfr. CHASTAGNOL, Les fastes, pp. 147-149.
96 E.A
UERBACH, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, Tübingen - Basel 1946, pp. 53-77. Le belle pagine di Auerbach, a loro volta, sono state oggetto di analisi ed interpretazioni contrastanti da parte degli studiosi di Ammiano: ora per arrivare a sostenere che il pittorico linguaggio figurato dell’autore delle Res gestae si conforma perfettamente alla realtà storica ed alle relazioni sociali del IV secolo, caratterizzate da una forte impronta teatrale (cfr. J. MATTHEWS, Peter Valvomeres, re-arrested, in M.WHITBY -P.HARDIE -M.WHITBY [a cura di], Homo Viator. Classical essays for John Bramble, Bristol - Oak Park 1987, pp. 277-284, ma specialmente 278-281 e 283-284; ID., The Roman Empire, pp. 460-461), ora, al contrario, per sostenere che lo stile fortemente barocco e visionario di Ammiano deve necessariamente farci dubitare sull’attendibilità della sua ricostruzione e descrizione della realtà storica: cfr. BARNES, Ammianus (1998), pp. 11-16.
97
The rhetoric of excess è il titolo di uno dei sette studi dedicati ad Ammiano da R. SEAGER, Ammianus Marcellinus: seven studies in his language and thought, Columbia (Missouri) 1986, pp. 43-68.
98 Cfr. K
OHNS, Die Zeitkritik, p. 487, n. 17.
99 Cfr. J.M
ATTHEWS, Western aristocracies and imperial court. A.D. 364-425, Oxford 1975, pp. 1- 4: Matthews (ibid., p. 3) mette in guardia dal trarre conclusioni storiche da quella che gli sembra essenzialmente una satira sociale sviluppata da Ammiano nelle due digressioni. Ma c’è anche chi ha giudicato i Saturnalia (ambientati attorno al 384, ma scritti molto più tardi) un sospetto e tendenzioso ritratto idealizzato dell’aristocrazia senatoriale romana, composto da Macrobio anche
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digressioni ha visto soltanto l’adesione ad un modello retorico ormai codificato e lo sfoggio di peculiari capacità espressive dell’autore, fondate sull’esagerazione satirica100. Certo la Roma del IV secolo era una città più viva ed intellettualmente stimolante di quanto Ammiano ci faccia credere101, ma è ragionevole pensare che dietro quelle immagini esageratamente satiriche vi sia una sincera convinzione dello storico e non una gratuita volontà di calunnia.
Indubbiamente le due digressioni hanno fatto proprie molte ed importanti caratteristiche della satira in versi latina, a cominciare dalla sua abitudine di occuparsi della vita romana102. Come nella satira, nelle pagine di Ammiano è presente l’idealizzazione del passato, che completa la denuncia della corruzione del presente, abbondano le esagerazioni grottesche, si persegue una vivace rappresentazione della realtà, ottenuta attraverso descrizioni minuziosamente dettagliate, le quali, specialmente nella seconda digressione, danno luogo ad una serie di brevi scenette di grande impatto visivo103. E naturalmente è presente la distorsione della realtà, operata con intento più critico che giocoso104, per esempio nelle due liste di gentilizi aristocratici (XXVIII 4, 7) e plebei (XXVIII 4, 28) che compaiono nella seconda delle due digressioni105. Tuttavia il registro satirico scelto da Ammiano non contraddice affatto la volontà dello storico di attenersi alla verità, volontà che egli ribadisce ancora all’inizio della prima delle due digressioni106. Al contrario la satira, con la sua tendenza a distorcere la realtà, poteva rivelarsi un mezzo appropriato proprio per esprimere la verità107 o almeno certe verità. Ammiano, indubbiamente desideroso di inserirsi nella tradizione della grande storiografia latina108, ma anche capace di innovare, ha avuto il