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Il ritratto di un sovrano terribilis

Ammiano e Valentiniano

1. Il ritratto di un sovrano terribilis

Ammiano esprime dunque un incondizionato apprezzamento per la politica estera di Valentiniano, per l’impegno militare e diplomatico riversato da questo sovrano nella difesa delle frontiere settentrionali dell’impero1

. Tale apprezzamento contrasta stranamente con altre pagine delle Res gestae in cui la figura di Valentiniano e lo stesso clima politico e civile vissuto nella sua epoca sono aspramente biasimati dallo storico. Esempi dell’ostilità o almeno della severità di giudizio di Ammiano sono facilmente rintracciabili in tutti i libri (XXVI-XXX) dedicati agli undici anni di regno di questo imperatore2, dunque anche nei libri XXVIII e XXIX.

Intendo qui soffermarmi sul capitolo XXIX 3, in cui vengono ricordati molti esempi della ferocia e della crudeltà di Valentiniano. Il capitolo serve da cerniera fra due parti ben distinte del libro XXIX3. Nei precedenti due capitoli Ammiano si è occupato dell’Oriente, narrando i processi per lesa maestà e magia, contro personaggi più o meno illustri, svoltisi ad Antiochia ed in altre città per volontà di Valente e di suoi ingiusti e corrotti funzionari. La seconda parte del libro, invece, è dedicata all’Occidente: le ulteriori campagne di Valentiniano sul Reno (capitolo 4) e sul Danubio (capitolo 6), dopo quelle già narrate nei libri precedenti4, la repressione della rivolta di Firmo in Africa da parte del generale Teodosio (capitolo 5).

Sul punto di spostare l’oggetto della sua narrazione dall’Oriente alle Gallie, lo storico deve tornare ad occuparsi di Valentiniano, di cui era ormai divenuto strettissimo collaboratore Massimino5, suo prefetto del pretorio. Costui, «forte di un potere assai esteso, si era aggiunto come funesto stimolo per un imperatore che alla maestà del suo grado univa la nociva tendenza ad esercitare il potere in maniera arbitraria»6. Ed è così che, «crescendo con l’arrivo di Massimino la crudeltà, nemica di ogni giusto comportamento, Valentiniano, già feroce per sua natura e senza nessuno che lo consigliasse per il meglio e lo frenasse, era trasportato da un’azione spietata ad un’altra come dalla violenza dei

1 Si veda il precedente capitolo, specialmente pp. 72-73 e 78-88.

2 Le Res gestae trattano per intero la storia del regno di Valentiniano I, dalla sua elezione a Nicea

nel febbraio 364 (XXVI 1) alla sua morte a Bregitio, in Pannonia, nel novembre 375 (XXX 6). In precedenza Valentiniano fa nelle Res gestae due apparizioni brevi e non particolarmente significative: come ufficiale durante le campagne sul Reno di Giuliano (XVI 11, 6) e come tribuno che, durante il breve regno di Gioviano, svolge con altri una delicata missione in Occidente, prima di essere nominato comandante del secondo reggimento degli Scutarii (XXV 10, 6-7 e 9): cfr. sotto, p. 122 e n. 40. Sulla figura di Valentiniano cfr. JONES - MARTINDALE - MORRIS, The prosopography, I, pp. 933-934 (Flavius Valentinianus 7).

3

Cfr. sopra, p. 96, n. 167.

4

Nella narrazione delle azioni di Valentiniano sulla frontiera settentrionale dell’impero Ammiano con il libro XXVIII giunge all’anno 370; nel libro XXIX riprende il racconto con i fatti dell’anno 371.

5 Sul personaggio cfr. J

ONES - MARTINDALE - MORRIS, The prosopography, I, pp. 577-578 (Maximinus 7). Massimino aveva assunto la prefettura delle Gallie dopo il 371: cfr. ANGLIVIEL DE LA BEAUMELLE, Notes complémentaires, n. 94, p. 183.

6 XXIX 3, 1: qui [scil. Massimino] potestate late diffusa scaevum imperatori accesserat

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flutti e delle tempeste»7. Si impone allora un’esemplificazione della crudeltà dell’imperatore che Ammiano definisce solo parziale, ma basata su testimonianze varie e sicure8. E tale esemplificazione è fornita dallo storico nei successivi paragrafi del capitolo: XXIX 3, 3-89.

Si tratta di una serie di decisioni crudeli che vanno a colpire personaggi, ora illustri ora umili, il cui destino incrocia per loro sfortuna quello dell’imperatore. Si va dal giovane paggio di corte massacrato a colpi di bastone perché aveva lasciato libero prima del tempo un cane da caccia, al direttore di una fabbrica d’armi messo a morte perché l’armatura lavorata con finezza che aveva offerto all’imperatore risulta avere un peso di poco inferiore a quello dichiarato; seguono il maestro di stalla fatto lapidare per aver osato cambiare pochi cavalli militari che era stato incaricato di ispezionare, e l’auriga messo al rogo perché oggetto di un favore popolare che Valentiniano giudicava sospetto; vengono infine il funzionario fatto decapitare solo perché, terminato il suo mandato come governatore di una provincia, aveva espresso il legittimo desiderio di amministrarne un’altra ed i due tribuni condannati, uno all’esilio l’altro al patibolo, solo perché sospettati, senza alcun riscontro oggettivo, di aver parlato in favore dell’usurpatore Procopio10

. Ammiano elenca questi episodi con distaccata freddezza, senza commenti, ma ben attento a non lasciar trapelare la minima giustificazione di condanne che turbano il lettore proprio perché sembrano riconducibili ad una capricciosità imprevedibile ed incontrollabile del sovrano più che ad una sua motivata severità che occasionalmente sconfini nella crudeltà.

Il pathos del racconto raggiunge il suo culmine nel paragrafo conclusivo del capitolo: XXIX 3, 9. Qui lo storico interviene in prima persona ad esprimere il proprio orrore per i misfatti appena elencati e per difendersi dal legittimo sospetto di aver indagato volutamente sui vizi di un imperatore per altri aspetti perfettamente adeguato al suo ruolo11. Egli non può però passare sotto silenzio il più disumano dei comportamenti di questo sovrano. Valentiniano possedeva, infatti, due orse feroci e divoratrici di uomini, Mica aurea ed Innocentia, le custodiva in gabbie collocate vicino alla sua camera da letto e pretendeva che gli inservienti che le accudivano non facessero mai venir meno il loro furore; dopo aver visto molti cadaveri dilaniati da Innocentia, ordinò che essa fosse lasciata libera nei boschi, augurandosi che procreasse una discendenza a lei simile.

7 XXIX 3, 2: Adolescente enim acerbitate rationum inimica rectarum trux suopte ingenio

Valentinianus post eiusdem Maximini adventum nec meliora monente ullo nec retentante per asperos actus velut aestu quodam fluctuum ferebatur et procellarum.

8 XXIX 3, 2: Quam rem indicia varia testantur et certa, e quibus pauca sufficiet poni. 9

Il testo dei paragrafi è lacunoso e quindi solo alcuni degli episodi riferiti – quelli che riassumo appunto nelle righe seguenti – hanno un senso perfettamente comprensibile.

10 Dopo una precedente carriera come funzionario civile e militare Procopio fu proclamato

imperatore a Costantinopoli nel 365 e riuscì ad estendere la sua autorità su Tracia, Bitinia ed Ellesponto; già l’anno seguente fu tradito dai suoi e consegnato a Valente, che lo fece decapitare: cfr. JONES -MARTINDALE -MORRIS, The prosopography, I, pp. 742-743 (Procopius 4). Alla sua breve parabola Ammiano dedica i capitoli XXVI 6-10. Cfr. anche sopra, p. 80 e nn. 69 e 72.

11 XXIX 3, 9: Horrescit animus omnia recensere simulque reformidat, ne ex professo quaesisse

In uno studio più arguto che convincente Reinhold Weijenborg12 propose di vedere nel passo un’allusione maliziosa alle vicissitudini matrimoniali di Valentiniano. Questi ebbe in successione due mogli13: Marina Severa, madre del futuro imperatore Graziano, nato nel 359, e Giustina, da cui Valentiniano ebbe quattro figli, fra cui il futuro imperatore Valentiniano II, nato nel 371. Le due orse, dimoranti presso la camera da letto del sovrano, rappresenterebbero allegoricamente le due donne e Marina Severa, raffigurata in Innocentia, sarebbe stata allontanata perché ormai sterile dopo la nascita di Graziano e perché Valentiniano sperava che Giustina, l’altra orsa, gli procreasse una discendenza «a lei simile»14, cioè con le caratteristiche, le prerogative e la nobiltà della dinastia costantiniana, con la quale la seconda moglie dell’imperatore era, almeno lontanamente, imparentata15. Ma l’ardita interpretazione del brano, allusiva ad una disinvolta sessualità dell’imperatore, che, almeno inizialmente, avrebbe tenuto vicino a sé entrambe le spose, mal si confà con il tono serio dell’opera di Ammiano, il quale, per di più, nella parte del necrologio di Valentiniano dedicata alle virtù di questo imperatore insiste intenzionalmente sulla sua castità16, forse anche per replicare ad accuse o insinuazioni tese a contestare la legittimità della successione di Valentiniano II17. Sembra dunque opportuno negare all’episodio ogni allusiva valenza sessuale e tornare a vedervi l’eco di un’ostilità accanita contro Valentiniano, quasi certamente nata negli ambienti aristocratici che a lungo si erano sentiti terrorizzati e perseguitati dalla politica dell’imperatore pannonico18. L’aneddoto delle due orse, probabilmente, non è altro che la deformazione, a danno di Valentiniano, di fatti reali: l’esistenza di serragli (vivaria) negli edifici che ospitavano appartamenti imperiali, l’amore di Valentiniano per la caccia e forse per le venationes, spettacoli che il Cristianesimo

12 R.W

EIJENBORG, Zum Text und zur Deutung von Ammianus, Römische Geschichte 29, 3, 9, in “Klio”, LVII (1975), pp. 241-247.

13 Alla bigamia di Valentiniano allude solo una storiella malevola riferita dallo storico

ecclesiastico di V secolo Socrate (IV 31), ma di cui è stata dimostrata l’inattendibilità: cfr. J. ROUGÉ, La pseudo-bigamie de Valentinien Ier, in “CH”, III (1958), pp. 5-15. In realtà l’imperatore si era separato dalla prima moglie poco prima del 370. Sulle due figure femminili cfr. JONES - MARTINDALE -MORRIS, The prosopography, I, pp. 488-489 (Iustina) e 828 (Marina Severa 2).

14 Per consentire questa lettura Weijenborg (Zum Text, pp. 242-243) propose una sua congettura

personale ad integrazione delle righe conclusive del passo e del capitolo: non exoptans similes edituram, come accettano tutti gli editori di Ammiano, ma exoptans similes edituram Auream. Valentiniano si sarebbe dunque augurato una prole non di Innocentia, l’orsa liberata, ma di Mica aurea, l’orsa che aveva continuato ad ospitare a palazzo e che allegoricamente raffigurerebbe la seconda moglie. Weijenborg non si preoccupava di spiegare perché il nome dell’orsa tenuta in cattività, Mica aurea, sarebbe stato abbreviato in Aurea alla fine del brano.

15 Come è stato convincentemente dimostrato, sulla base dell’onomastica, da R

OUGÉ, La pseudo- bigamie, pp. 8-11: Valentiniano aveva sposato Giustina per consolidare la propria legittimità tramite un legame con la dinastia costantiniana.

16 XXX 9, 2: Omni pudicitiae cultu domi castus et foris, nullo contagio conscientiae violatus

obscenae, nihil incestum. A giudizio di Ammiano, anzi, la pudicizia fu uno strumento di cui Valentiniano si avvalse per tenere a freno la petulanza della corte; alle parole appena citate aggiunge infatti: hancque ob causam tamquam retinaculis petulantiam frenarat aulae regalis.

17 Cfr. G.S

ABBAH, Présences féminines dans l’histoire d’Ammien Marcellin. Les rôles politiques, in J. DEN BOEFT - D. DEN HENGST - H.C. TEITLER (a cura di), Cognitio Gestorum. The historiographic art of Ammianus Marcellinus, Amsterdam - Oxford - New York - Tokyo 1992, pp. 100-101.

18 L’aneddoto delle due orse era considerato una delle «childish stories of horror» di cui Ammiano

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non aveva ancora bandito dai costumi contemporanei e che perdurarono in Occidente fino al V secolo19. Ammiano ha voluto far posto nella sua opera a queste voci fantasiose non per mettere in discussione la moralità dell’imperatore, di cui, al contrario, apprezza l’autocontrollo tanto nella vita sessuale quanto in quella familiare, ma solo per sottolineare una volta di più e con un esempio particolarmente raccapricciante la crudeltà del sovrano. Ed è anche possibile avvicinare il testo di Ammiano ad un passo del De mortibus persecutorum (21, 5- 6) in cui Lattanzio imputa la stessa forma di ferocia all’imperatore Galerio, che pure si divertiva ad osservare lo spettacolo di poveri infelici dati in pasto a due orsi ferocissimi20.

Qualunque sia l’attendibilità dell’aneddoto delle due orse, è chiaro che con esso, come con gli altri esempi di crudeltà ricordati nei precedenti paragrafi del capitolo, Ammiano ha inteso dipingere un’immagine a tinte fosche dell’imperatore di cui sta per tornare ad occuparsi e sarebbe facile citare altri passi in cui lo storico sembra mosso da analogo proposito.

In uno studio volto proprio ad indagare la malignità di Ammiano nei confronti di Valentiniano, François Paschoud sostenne che il capitolo XXIX 3, non fosse altro «que le troisième panneau d’un triptyque campant un Valentinien odieux avec un parti-pris négatif qui saute aux yeux dès qu’on lit attentivement ces passages»21. Per Paschoud negli ultimi libri delle Res gestae lo storico avrebbe perfidamente e maliziosamente tratteggiato un ritratto distorto dell’imperatore pannonico, perché aveva bisogno di un contrasto negativo per meglio far risaltare la gloria del regno precedente, quello del suo eroe, Giuliano22. Anzi lo studioso svizzero riteneva che Ammiano avesse creato con le Res gestae uno schema storiografico che, alla fine del IV secolo, non aveva ancora precedenti: una narrazione di storia essenzialmente contemporanea, dominata da una figura centrale positiva, Giuliano, affiancata, prima e dopo, dalle figure negative di Costanzo II, Valentiniano I e, occasionalmente, Valente23. È una tesi estremista, almeno nei termini in cui la esprime Paschoud, che deve essere soppesata e spesso

19 Così S

ABBAH, Présences féminines, pp. 101-102, che ha infine giudicato un’invenzione l’aneddoto delle due orse ed a maggior ragione ha respinto l’interpretazione di Weijenborg. Ma in precedenza egli aveva evitato di pronunciarsi: ID., La méthode, p. 501, n. 140. Del resto non sono mancati studiosi che hanno dato pieno credito alla storia delle due orse, per esempio MATTHEWS, The Roman Empire, p. 260 e n. 20, pp. 517-518.

20 Cfr. A

LFÖLDI, A conflict of ideas, n. 11, p. 131; SABBAH, Présences féminines, p. 102: lo studioso francese vede un’ulteriore influenza di Lattanzio nella sua narrazione della morte orribile di Galerio (De mort. pers., 33), che Ammiano riecheggerebbe nella dettagliata descrizione (XXX 6, 3-6) della morte dolorosa di Valentiniano; l’autore delle Res gestae, con queste due allusioni letterarie, denuncerebbe nell’imperatore cristiano una crudeltà paragonabile a quella dei sovrani pagani, sovente biasimati dagli scrittori cristiani.

21

F.PASCHOUD, Valentinien travesti, ou: De la malignité d’Ammien, in J. DEN BOEFT -D. DEN

HENGST - H.C. TEITLER (a cura di), Cognitio Gestorum. The historiographic art of Ammianus Marcellinus, Amsterdam - Oxford - New York - Tokyo 1992, pp.67-84; le parole citate sono a p. 80.

22

Ibid., p. 83. Non poteva servire a questo scopo la figura di Gioviano, che regnò brevemente fra la morte di Giuliano (giugno 363) e l’avvento di Valentiniano I (febbraio 364)

23 Ibid., p. 68: Paschoud fa notare che i tre imperatori erano stati giudicati pietre di paragone di

corretta24, perché poggia su una lettura parziale ed opportunisticamente orientata dei passi in cui lo storico si occupa di Valentiniano25.

Rispetto al capitolo XXIX 3 qui considerato Paschoud comincia col negare ogni verosimiglianza alla storia delle due orse antropofaghe; non soltanto egli vi vede l’influsso di un passo di Lattanzio26

, ma ritiene che la conclusione dell’episodio, con la liberazione nei boschi di Innocentia, sia ripresa da Svetonio (Caes., 81, 2), il quale narra la liberazione da parte di Cesare di alcuni cavalli militari nel momento dell’attraversamento del Rubicone, e soprattutto da Stazio (Theb., VII 564-567) che fa rilasciare dal dio Libero due tigri con una terminologia molto vicina a quella usata da Ammiano27. La storiella delle due orse, pertanto, è solo un artificio narrativo che non ha niente a che fare «avec la vérité historique»28. Quanto agli altri esempi di crudeltà forniti da Ammiano nei paragrafi 3-829, Paschoud fa notare che, anche ammettendo che tutti i particolari siano rigorosamente esatti, almeno alcuni dei protagonisti di quei fatti si erano resi colpevoli di delitti abitualmente puniti con la pena di morte in base alle leggi del tempo30: anche se storicamente veri quei fatti testimoniano dunque la volontà di Ammiano di dare un’immagine negativa della personalità dell’imperatore.

Gli altri due pannelli del trittico individuato da Paschoud sono i due capitoli iniziali del libro XXVI31, in cui il lettore delle Res gestae sarebbe indotto a vedere l’alzarsi del sipario su di un nuovo e ben diverso scenario rispetto al regno-modello di Giuliano ampiamente trattato nei libri precedenti, ed il capitolo XXVII 7, 4-932, in cui Valentiniano rivela a poco a poco la sua ferocia in un primo momento dissimulata.

Per quanto concerne questo secondo passo l’accostamento al capitolo XXIX 3 è certamente appropriato ed a ragione Paschoud fa notare le analogie fra i due brani: entrambi sono delle digressioni che vengono ad interrompere la sequenza cronologica dei fatti e con le quali Ammiano sembra uscire dal genere

24

Come si è incaricato di fare, con un ragionamento equilibrato e rigoroso, H.TEITLER, Ammianus on Valentinian. Some observations, in J. DEN BOEFT -J.W.DREIJVERS -D. DEN HENGST -H.C. TEITLER (a cura di), Ammianus after Julian. The reign of Valentinian and Valens in books 26-31 of the Res Gestae (“Mnemosyne”. Bibliotheca Classica Batava, 289), Leiden - Boston 2007, pp. 53- 70.

25 Teitler (ibid., p. 55 e n. 10) ha osservato maliziosamente, ma con ragione, che, nella sua lettura

di Ammiano, Paschoud si è reso colpevole di quelle stesse reticenze, ambiguità e calcolate insinuazioni che lo studioso imputa all’autore delle Res gestae.

26

Cfr. sopra, p. 119.

27 Le parole di Stazio (Theb., VII 564-7) Errabant geminae Dircaea ad flumina tigres / … / Liber

in Aonios meritas dimiserat agros trovano effettivamente un’eco in quelle di Ammiano (XXIX 3, 9): Innocentiam … ut bene meritam in silvas abire dimisit. Una comune reminiscenza di Stazio, dietro i passi simili di Lattanzio ed Ammiano, era stata vista già da SABBAH, La méthode, p. 501, n. 140.

28 P

ASCHOUD, Valentinien travesti, p. 79.

29

Cfr. sopra, p. 117.

30

PASCHOUD, Valentinien travesti, p. 80. Lo studioso (ibid., n. 58) si riferisce a due delitti particolarmente frequenti e severamente puniti all’epoca: le frodi sulle leghe di metalli preziosi e sulle forniture di cavalli militari, di cui, nel racconto ammianeo (XXIX 3, 4-5), sembrano essersi resi colpevoli due delle vittime della pretesa crudeltà di Valentiniano.

31

Così PASCHOUD, ibid., p. 80. Nella concreta analisi del testo ammianeo, però, Paschoud non si limita ai primi due capitoli del libro XXVI (ibid., pp. 69-73), ma ritiene utile considerare anche i due capitoli successivi (ibid., pp. 73-77).

121

della «grande histoire» per entrare in quello della biografia o dell’epitome33

. Ci si può anzi chiedere perché Ammiano abbia sentito il bisogno in XXIX 3 di duplicare un ritratto negativo di Valentiniano che aveva già tracciato in XXVII 7. La risposta è forse che quel primo ritratto aveva per così dire già esaurito la sua funzione: impedire al lettore di identificare totalmente il sovrano con i successi militari conseguiti da lui personalmente o dai suoi generali e narrati nei capitoli successivi34; il secondo ritratto viene così a dare nuovo slancio all’immagine crudele e tirannica di Valentiniano, soprattutto dopo che nei capitoli immediatamente precedenti, dedicati ai processi di Antiochia (XXIX 1-2), l’attenzione del lettore era stata spostata sulla ferocia dell’imperatore d’Oriente Valente35.

In XXVII 7, 4 Valentiniano viene subito qualificato come homo propalam

ferus, sebbene niente sia ancora stato raccontato di lui che giustifichi una simile

severa definizione36. Dopo alcune considerazioni di matrice filosofica, ma piuttosto generiche, sull’ira come grave malattia dell’animo umano, la saevitia dell’imperatore comincia a prendere corpo nella serie di esempi che occupano i paragrafi 5-7. Viene dapprima (paragrafo 5) ricordata la condanna a morte di due alti magistrati dello Stato37 e di tre funzionari del vicariato d’Italia: a turbare la coscienza di Ammiano nel primo caso è la venialità dei delitti imputati, negli altri il modo atroce del castigo, che comunque non viene specificato; lo storico aggiunge che a Milano i Cristiani venerano ancora il ricordo di quelle persone, nel luogo, chiamato Ad Innocentis, in cui esse furono sepolte. Nei due paragrafi successivi (6-7) vengono rievocate due circostanze in cui, dopo numerose condanne a morte, di cui per altro non si contesta la legittimità, venne rivolto a Valentiniano l’invito a non eccedere in severità, ma ad esercitare al contrario anche la virtù della clemenza: non viene chiarito se tali appelli sortirono effetto. A seguire (paragrafo 8) Ammiano cita con biasimo due comportamenti che definisce abituali dell’imperatore: un imputato che con buoni motivi provava ad appellarsi a Valentiniano per ricusare un giudice notoriamente suo nemico personale si vedeva rimandato proprio di fronte a colui che temeva; inoltre l’imperatore condannava sistematicamente a morte ogni debitore insolvente, anche se oppresso dalla miseria. Lo storico conclude il capitolo (paragrafo 9) con una riflessione moralistica sui monarchi che negano agli amici la facoltà di correggere con saggi consigli le loro azioni o decisioni ingiuste e che, al contrario, consapevoli del loro

33

PASCHOUD, Valentinien travesti, p. 77.

34 Successi di Teodosio in Britannia (XXVII 8 e XXVIII 3), vittorie personali di Valentiniano a

Solicinio sugli Alamanni (XXVII 10) e su bande di Sassoni (XXVIII 5), fortificazione del limes renano (XXVIII 2).

35

Per tutta questa argomentazione cfr. SABBAH, La méthode, p. 446.

36 Non a torto, quindi, Paschoud (Valentinien travesti, p. 77) sostiene che siamo in presenza «d’une

prolepse». Paschoud (ibid.) osserva inoltre che Valentiniano e suo fratello Valente sono gli unici imperatori per i quali Ammiano ricorre all’aggettivo ferus o al sostantivo feritas, di solito usati in

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