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intero i libri XXXVI-LX Due compendi di epoca bizantina ci consentono una parziale conoscenza

del resto dell’opera. Cfr. NORCIO (a cura di), Cassio Dione, I, pp. 28-29.

160 Cfr. G

ABBA, Storici greci, pp. 377-380.

161

Sull’importanza storica dell’orazione A Roma di Elio Aristide cfr. sopra, pp. 53-54 e n. 52.

162 Sono significativi i severi giudizi espressi da Dione: LXXI 36, 4; LXXII 15, 6 e 16, 1; LXXIV

14, 3; LXXV 6, 2 e 7, 4; LXXVI 7, 3-5. Cfr. GABBA, Sulla Storia Romana, pp. 294-295; ID., Storici greci, p. 377 e n. 80.

163

Per la cronologia della composizione della Storia romana, dopo GABBA, Sulla Storia Romana, pp. 295-301, cfr. NORCIO (a cura di), Cassio Dione, I, pp. 29-32. Dione stesso (LXXII 23, 5) scrive di aver lavorato ventidue anni alla sua opera: dieci per raccogliere il materiale necessario, dodici per effettuarne la stesura. I ventidue anni andarono, probabilmente, dal 196 al 218: concordano in proposito GABBA, ibid., p. 298 e NORCIO, ibid., p. 30. Alla data del 218, però, Dione, nella sua narrazione, era giunto soltanto alla morte di Settimio Severo, che per qualche tempo fu il punto di arrivo della sua fatica: cfr. GABBA, ibid., p. 299 e n. 4. Solo in seguito lo storico lavorò agli avvenimenti successivi ed ancora dopo il 229 egli procedette ad una revisione, per altro piuttosto superficiale, dell’intera opera: ibid., pp. 300-301.

164 Dione, che non aveva mai cessato di frequentare il Senato (cfr. G

ABBA, ibid., p. 293), nel 214 fu scelto da Caracalla come proprio accompagnatore nel viaggio che l’imperatore fece allora nelle province orientali; non siamo in grado di precisare le ragioni di questo richiamo dello storico ad un ruolo politico attivo: ibid., p. 300. In ogni caso la carriera di Dione, congelata per volere di Settimio Severo attorno agli anni 195-196, riprese soltanto durante il breve regno di Macrino (217- 218), che affidò allo storico la curatela di Pergamo e Smirne: cfr. NORCIO (a cura di), Cassio Dione, I, pp. 17 e 25.

165

Sono significativi alcuni passi di Dione: LXXVIII 26, 1; LXXIX 3, 4-5; LXXIX 26, 1; LXXX 3, 1; e soprattutto LXXX 4, 1-2, dove lo storico arriva a dire che i soldati sono pronti ad accogliere i Parti, non a combatterli. Cfr. GABBA, Storici greci, p. 380 e n. 94.

166 Dell’opportunità di tale esclusione lo stesso Dione è fermamente convinto, perché non ha

alcuna fiducia nei ceti popolari, privi, a sua giudizio, della saggezza necessaria a garantire la concordia interna; al contrario lo storico ritiene che solo la monarchia può assicurare a tutti una vera ed ordinata libertà: cfr. ID., Sulla Storia Romana, pp. 318-323, con gli opportuni riferimenti al testo di Dione.

181

politica con la quale essi ben poco hanno in comune. Se talvolta lo storico sembra sminuire il problema, derubricandolo a semplice questione di disciplina militare, Dione ha ben presente le cause profonde e soprattutto le possibili disastrose conseguenze di quel pericolo, che potrebbe compromettere l’esistenza non solo dell’impero romano, ma dello stesso mondo civile167

.

Come quelli di Cassio Dione anche i libri di Ammiano sono percorsi da un’insistita ed a volte cupa preoccupazione. Il vulnus arrecato alla sicurezza collettiva dalla battaglia di Adrianopoli e dal conseguente stanziamento in territorio romano di tribù germaniche libere da un serio controllo delle autorità imperiali non è mai stato dimenticato da Ammiano168, che pure è il meno pessimista fra i contemporanei che commentarono quella sconfitta ed anzi biasima quanti vi videro il segno di una crisi irreversibile se non addirittura della fine del mondo169.

Lo storico descrive, dopo Giuliano, il succedersi di imperatori solo parzialmente adeguati al loro compito ed alle esigenze dello Stato. Valente aveva cominciato bene nella difesa delle frontiere dell’impero e nell’energica strategia impiegata contro i barbari, ma successivamente adottò una politica errata e pericolosa che lo portò prima ad accogliere un numero eccessivo di ausiliari barbarici nell’esercito imperiale, poi a consentire, nel 376, lo stanziamento in Tracia dei Goti, armati e non ancora politicamente sottomessi170. A Valentiniano Ammiano riconosce qualità ed iniziative degne di un ottimo sovrano: in particolare la costante ed adeguata difesa dei confini171 e la tolleranza in materia religiosa172. Gli rimprovera però la sua capricciosa crudeltà e più in generale la gestione autocratica, insensibile ad ogni saggio consiglio, del potere173: è questa autoreferenzialità della suprema autorità dell’impero, caratteristica che accomuna tutti gli imperatori del periodo tranne Giuliano, che ingenera paura, piaggeria, corruzione, emarginazione (quando non eliminazione fisica) degli spiriti più dotati ed intraprendenti, gratificazione e carriera per gli adulatori, gli incapaci, gli ambiziosi. In una parola l’autocrazia autoreferenziale, di chi sembra ignorare che non tutto ciò che è lecito è anche degno di essere compiuto174, indebolisce l’impero, gli toglie compattezza, lo priva dell’apporto di ufficiali, funzionari e sudditi capaci, lo circonda di servitori egoisti e poco preparati.

Ammiano era consapevole dei mali e degli errori che nella sua epoca avevano indebolito la compagine imperiale; grazie alla competenza militare, inoltre, egli fu forse tra i primi della sua generazione ad intuire il nuovo, mortale pericolo che, con l’approssimarsi degli Unni, si affacciava alle frontiere dello Stato romano175. Nasce da tutto questo il cupo pessimismo di tante pagine delle

Res gestae: la sopravvivenza dell’impero è a rischio e con essa quella della stessa

civiltà che Greci e Romani hanno costruito nel corso di una plurisecolare storia

167

Cfr. ibid., pp. 310-311; ID., Storici greci, pp. 380-381.

168 Cfr. sopra, p. 162. 169 Cfr. sopra, pp. 163-167. 170 Cfr. sopra, p. 169. 171 Cfr. sopra, pp. 168-169. 172 Cfr. sopra, p. 170. 173 Cfr. sopra, pp. 170-172. 174 Cfr. sopra, p. 172 e n. 112. 175 Cfr. sopra, pp. 174-177.

comune176. Come Tacito o Cassio Dione egli ci testimonia i pericoli esterni ed i mali interni dell’impero nella sua epoca. Come i suoi due grandi predecessori177

, però, Ammiano conserva una sincera devozione per Roma e per la missione di civiltà che gli dei le hanno affidato178. E nel narrare, negli ultimi sei libri dell’opera, gli avvenimenti successivi alla morte di Giuliano, quelli che portarono alla dura lezione di Adrianopoli, egli non ha mancato di testimoniare scelte politiche, strategie o comportamenti in tutto degni dell’antica tradizione dell’impero.

176

In continuità con il progetto plutarcheo delle Vite parallele le Res gestae di Ammiano testimoniano l’idea che l’impero è il prodotto di una comune eredità culturale greco-romana, senza nessun riconoscimento di una presunta inferiorità dei Greci, nemmeno nel campo militare e politico: cfr. G.ZECCHINI, Greek and Roman parallel history in Ammianus, in J. DEN BOEFT -J.W. DRIJVERS - D. DEN HENGST - H.C. TEITLER (a cura di), Ammianus after Julian. The reign of Valentinian and Valens in books 26-31 of the Res Gestae (“Mnemosyne”. Bibliotheca Classica Batava, 289), Leiden - Boston 2007, pp. 201-218.

177 Si vedano sopra, pp. 177-178, le parole di Emilio Gabba. 178 Cfr. sopra, pp. 50-52 e 58-60.

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