La nuova città e gli affreschi del Camposanto
IV.1- Una nuova ipotesi per la committenza: il conte Fazio Donoratico della Gherardesca
I fatti del 1329 avevano indubbiamente messo in luce il Donoratico a discapito dell’altro nobile capo della rivolta, Ceo Maccaione dei Gualandi, che il 10 novem- bre 1335 decise di guidare insieme al fratello Benedetto un’insurrezione di ampie proporzioni che vide anche la partecipazione diretta dell’arciprete Iacopo Gualandi7 – loro cugino – e di alcuni chierici della cattedrale.
La pronta reazione del conte Fazio – sostenuto dal governo e da parte del popolo – sconfisse però i ribelli, che furono costretti all’esilio8. Fu un episodio di grandis- simo rilievo: segnò l’inizio dell’assunzione di un vero e proprio ruolo istituzionale da parte di Fazio e del rafforzamento della posizione personale dell’arcivescovo Saltarelli, che poteva così riprendere possesso di tutti gli spazi abbandonati con l’esilio del 13279; l’intesa tra questi due personaggi, sancita in quel frangente, ebbe influenza diretta “sulla composizione umana e sul comportamento” del capitolo della cattedrale pisana in questi anni10: un periodo in cui la città poté godere di una situazione irenica e di benessere, grazie al saggio governo degli Anziani, affiancati dal conte Fazio, tanto da venir considerato una vera e propria ‘età dell’oro’11. Ap- punto in questi anni si cominciò ad affrescare il Camposanto, impresa intesa come simbolo della rinascita cittadina. E’ una lectio difficilior credere che ciò sia avvenu- to per caso, o che si sia trattato di una mera coincidenza.
Dicendo che il Donoratico governò al fianco degli Anziani si è toccato un punto cruciale della peculiare natura dell’assetto politico-istituzionale pisano e dei suoi equilibri interni, in quel torno d’anni: egli si accontentò infatti di amministrare in- sieme a loro la città tramite la partecipazione alla commissione dei Savi, senza porsi al di sopra della loro autorità.
7 A seguito della congiura di San Martino, l’arciprete Iacopo fu tenuto in carcere per alcuni anni. Solamente nel 1339 Saltarelli si disse intenzionato a liberarlo (AAP, Mensa, Contratti, n. 8, 733r. Si veda Ronzani 2004, p. 1689).
8 Sui fatti della congiura di San Martino si veda, oltre a Ronzani 1990, pp. 812-815, le due cronache: Banti 1963, pp. 87-89; Iannella 2005, pp. 101-104.
9 Ronzani 1990, p. 815. 10 Id. 1988, p. 35
11 G. Ciccaglioni, Poteri e spazi politici a Pisa nella prima metà del Trecento, Pisa 2013, p. 210. Le interessanti osservazioni e la documentazione raccolta sul governo citta- dino, da parte di Ciccaglioni sono stati un punto di partenza cruciale per la questione della committenza.
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La magistratura degli Anziani del Popolo, composta da dodici persone di esclusiva estrazione popolare, tre per ogni quartiere (Ponte, Mezzo, Fuoriporta e Chinzica12), e coordinata da un Priore, poteva svolgere in autonomia le principali mansioni am- ministrative giuridiche e fiscali e ricorrere al consiglio della commissione supple- mentare dei Savi, formata da popolari e da nobili13. Negli anni 1316-1320, in cui il padre di Fazio, Gherardo14, fu ai vertici della vita politica, le commissioni dei Savi, convocate con regolarità, determinarono sempre più i processi decisionali e durante il governo del suo prozio, Ranieri15, l’Anzianato riacquistò la centralità che aveva avuto fino al 131616. Alla morte di Ranieri la presa di potere da parte del suo pro- nipote o del nuovo tutore di questi, Tinuccio Della Rocca, sarebbe parsa naturale; Fazio, invece, non si mostrò interessato a raccoglierne l’eredità politica fino agli anni Trenta. Se le sue prime attestazioni nella documentazione locale risalgono al 132717, egli non ricevette alcun incarico ufficiale dal Comune fino al 133518.
12 Fin dalla costruzione delle mura del 1155, Pisa era stata suddivisa in questi quattro quartieri che erano a loro volta divisi in cappelle. Ponte includeva l’area della piazza del Duomo e di San Vito e la città murata altomedievale; nel quartiere di Mezzo – che include- va la parte centrale e nordoccidentale della città - si trovava Santa Caterina; in Fuori Porta era situata San Francesco; in Chinzica, a sud dell’Arno, risiedevano, invece, le principali famiglie borghesi
13 Per un approfondimento sul governo cittadino pisano, su Anziani, Priori e Savi si veda: B. Casini, Il “priorista” e i “libri d’oro” del Comune di Pisa, Firenze 1986, pp. 7-13; G. Ciccaglioni, Dal comune alla signoria? Lo spazio politico di Pisa nella prima metà del
XIV secolo, in “Bullettino dell’istituto storico per il Medioevo”, 109/1 (2007), pp. 235-69; Id., Priores Antianorum, primi tra gli Anziani. Criteri di preminenza, cicli economici e ri- cambio di gruppi dirigenti popolari a Pisa nel XIV secolo, in Firenze e Pisa dopo il 1406. La creazione di uno spazio regionale, Firenze 2010, pp. 1-64; Id., Signori pisani e patri- monio culturale nel Trecento, in I Comuni, storia della tutela. I. Patriomionio artistico e identità cittadina: Pisa e Forlì (secc. XIV-XVIII), a cura di D. La Monica e F. Rizzoli, Pisa
2012, pp. 59-85; Id. 2013, pp. 91-124.
14 Gherardo detto Gaddo, padre di Bonifazio Novello, insieme allo zio Ranieri che gli succederà nel governo di Pisa, appoggiò la venuta imperiale di Enrico VII a Pisa nel 1313 e favorì inizialmente la successiva signoria di Ugaccione della Faggiola, dal 20 settembre 1313, per poi partecipare alla congiura del Faggiolano il 10 aprile 1316. Per Gherardo si veda: A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un co-
mune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004, pp. 275-310; Ciccaglioni 2013,
pp. 20-25.
15 Morendo improvvisamente Gherardo il primo maggio del 1320, suo zio Ranieri salì al potere assumendo anche la tutela del pronipote Bonifazio, che era ancora minorenne. Alla sua morte, avvenuta nel dicembre del 1325, fu Tinuccio Della Rocca a divenire tutore di Fazio.
16 Ciccaglioni 2013, pp. 113-115.
17 ASPi., Comune A 92, c. 3r, 5 marzo 1327; Ciccaglioni 2013, p. 29.
18 Gli storici che in passato hanno studiato l’esperienza di potere di Fazio sono soliti
I primi sentori che il ruolo di Fazio come leader cittadino cresceva, determinando sempre più spesso le decisioni politiche, sono degli inizi del 1335: allora, al mo- mento di registrare i nomi dei savi convocati dagli anziani, nelle delibere del Con- siglio, il suo nome non viene scritto incolonnato con gli altri, ma da solo, in alto a sinistra del foglio19.
Fazio, a queste date, aveva acquisito maggior notorietà anche fuori delle mura citta- dine: nell’aprile del 1335 Lucano Spinola, console dei pisani a Genova20, per chie- dere l’invio di ambasciatori da parte di Pisa, si rivolge direttamente a lui, anziché interpellare gli Anziani21.
Dell’8 luglio del 1336 è la prima testimonianza documentaria di una carica istitu- zionale assunta dal conte Fazio: gli Anziani autorizzano un pagamento per il suo mandato in qualità di “capitaneus generalis masnade ab equo et pede pisani comu- nis”, carica di cui sarebbe stato investito nel dicembre del 133522: poco dopo – an- che questo è difficile sia stato un caso - il suo trionfo sulla congiura di San Martino. Tacitate le ostilità interne e legittimato il proprio ruolo, Fazio poté cominciare a intraprendere misure tese a incrementare un’economia che versava in condizioni disastrose23 e a promuovere iniziative edilizie e culturali per riqualificare città e
indicare nel 1329, riprendendo quanto scritto nella cronaca di Ranieri Sardo, la data in cui egli vide formalizzata la propria preminenza in città mediante il conferimento di una carica pubblica. Ciccaglioni tramite un’accurata indagine documentaria dimostra, invece, un ruo- lo politico istituzionale del conte solo a partire dal 1335.
19 ASPi, Comune A 52, c. 2r. s.d.. Il documento è senza data, Ciccaglioni ipotizza risalga al gennaio del 1335; Ciccaglioni 2013, pp. 114-115. Tra gennaio e giugno i Savi vengono convocati quasi ogni giorno e Fazio vi figura quasi sempre. Il suo nome, come quello del padre era registrato per primo tra gli eletti in Chinzica, loro quartiere di pertinenza, perché dove risiedevano, ma in questo caso la modalità con cui è trascritto è del tutto inusuale. Sullo stesso foglio, in alto a destra, figurava il nome di Tinuccio Della Rocca, che dopo essere stato suo tutore continua ad essere suo fidato consigliere.
20 “domino Lucano Spinole consuli Pisanorum Ianue”, ASPi., Comune A 52, c. 30. 21 ASPi., Comune A 52, c. 32v-33r 11 aprile 1335; Franceschini 2002, pp. 94-95, nota
110; Ciccaglioni 2013, pp. 116, nota 70.
22 ASPi., Comune A 102, c. 16r 8 luglio 1336; Ciccaglioni 2013, p. 36. La provvisione degli Anziani si riferiva al secondo dei tre mandati con i quali veniva stipendiato il conte ogni quattro mesi e dal momento che doveva essere stato eletto circa otto mesi prima, ci troviamo, secondo Ciccaglioni, nel dicembre del 1335. Il titolo con cui comparirà quasi sempre nella pubblica documentazione fino alla sua morte sarà: “capitaneus generalis ma-
snade et custodie pisane civitatis et comitatus”.
23 Si veda R. Castiglione, Imposte dirette e debito pubblico di Pisa nella prima metà del Trecento, in “Bollettino Storico Pisano”, LXX 2001, pp. 105-139; Id., Gabelle e diritti pubblici nel Trecento a Pisa, in ibid, LXXI 2002, pp. 41-79; Id., Il Comune di Pisa dai Do- noratico ai Gambacorta (1329-1355), in ibid, LXXII, 2003, pp. 47-84.
contado24.
Suo merito diretto è nel 1338 l’istituzione dello Studio pisano, che contava ini- zialmente le facoltà di diritto e medicina e aveva sede in due case appartenenti ai domenicani25. Gli Anziani ebbero sullo Studio il diritto di prendere provvedimenti in autonomia ogni qualvolta lo avessero ritenuto opportuno26, indice del fatto che il ‘co-governo’ del conte e delle magistrature comunali procedeva in totale armonia. Fazio non si risparmiò nemmeno sul fronte della politica estera, cercando di man- tenere buoni rapporti con Firenze e Lucca – che pure nel 1335 aveva appoggiato i ribelli – e soprattutto con Genova, con cui stipulò nell’agosto del 1335 una tregua e il 1 aprile del 1340 una convenzione navale mirata alla lotta contro la pirateria27. Una linea politica filogenovese ribadita anche dalle scelte private del Donoratico, che il 29 gennaio 1337 sposò Contelda, figlia di Corradino Spinola28.
La sua prematura morte, il 22 dicembre 1340, “menòe Pisa grande duolo e quazi tutta Toschana e ciaschuno lo piansse come se fusse stato suo padre o suo figliolo”29 e lasciò la città nelle mani di Tinuccio della Rocca, tutore di suo figlio Ranieri No- vello, ancora minorenne.
“E doveane ben pianggiere e duolere bene ogni persona che, al parere d’ognuno elli ebbe ogni bontà senssa a<l>chuna macula, cioè al reggimento di Pisa, però che tutto lo tenpo che elli fu signore a nessun citadino era fatto in Comuno nessuna ingiuria, e ogn’omo potea fare bene che volea senssa aver paura di niuno citadino o di neuno signore di Pisa. Elli si faciea ben volere a ogni persona e ciaschuno era ben veduto da lui, come se elli fusse stato suo figlulo non come a signore ma come se fusse padre di ciaschuno. E non solamente alli suoi pisani, ma sì alli forestieri e a tutti li toschani si brigava di compiaciere e di servire. E grande pacie e concordia ebbe con
24 Tra le iniziative, legate dai cronisti dell’epoca direttamente al nome del conte: la costruzione della Torre Vittoriosa, della nuova Piazza del grano, la risistemazione della piazza degli Anziani e l’ampliamento dello Spedale Nuovo con il completamento del “pel- legrinaio maschile”.
25 Rossi Sabatini 1938, p. 212. Lo Studio pisano fu innalzato a Studio Generale con la bolla papale In supreme dignitatis di Clemente VI, tre anni dopo la morte del conte Fazio, il 3 settembre 1343. Tale riconoscimento era stato negato da Benedetto XII nel 1338. Si veda anche Ronzani 2004, p. 931.
26 Rossi Sabatini 1938, p. 214.
27 Ceccarelli Lemut 2005, pp. 297-298; Tangheroni 1973, pp. 91-95; Rossi Sabatini 1938, p. 202-203.
28 Per analoghi motivi, in prime nozze aveva sposato Bertecca, figlia di Castruccio, pro- babilmente verso la fine del 1327 e per volere del padre Gaddo, come suggello della loro alleanza. Sul matrimonio con Contelda, si veda Toscanelli 1937, pp. 393-396.
29 Cronica di Pisa, p. 105.
tutti li suoi vicini di tutta Toschana, e dimolta moneta avansò lo Comune di Pisa inffine che durò la sua signoria”30.
Il conte Fazio sembra incarnare, così, agli occhi dei pisani suoi contemporanei il tipo ideale del buon governante. Per validare, però, l’ipotesi che egli sia stato stret- tamente connesso alle scelte intraprese nel cantiere pittorico del Camposanto si deve tornare su alcuni dati già menzionati e valutarne di nuovi.
Un primo elemento interessante risale al 21 luglio del 1339, quando i Savi delibera- no che gli Anziani avrebbero deciso il sistema di elezione, le competenze e i salari di un cospicuo numero di uffici riservati a cives pisani, tra cui quello di Operaio del Duomo, “simul cum suprascripto domino comite Bonifazio”31. Lo spazio d’inter- vento del conte si era evidentemente ampliato col passare del tempo, ma in questo atto si intravede specificamente la sanzione di un suo ruolo in rapporto ai ‘luoghi simbolici’ dell’identità cittadina. Un nesso di gran rilievo, ai fini della presente ri- cerca, che, fin qui, era sfuggito alle indagini32.
Un secondo elemento è il rapporto che lo lega – vi si è poco sopra accennato - a Lucano Spinola33. I due erano in contatto già prima che Fazio ricoprisse un vero ruolo di governo, ma il trait d’union più significativo si può forse rintracciare in uno dei più bei codici danteschi del Trecento miniato dal pisano Francesco Traini34 e dedicato, appunto, a Lucano: il Commentario sull’Inferno di Dante di Guido da
30 Ivi, pp. 105-106.
31 ASPi., Comune A 74, c. 57v; Ciccaglioni 2013, pp. 53-56, nota 32.
32 Tale fatto era già stato messo in rilievo dalla scrivente (Orsero 2017) insieme ad altri indizi significativi che vengono in questa sede ulteriormente approfonditi e accompagnati da nuovi elementi. Interessante notare che al momento dell’elezione dell’Operaio Bonag- giunta del fu ser Mascaro, il 4 settembre del 1346, insieme agli Anziani compare per la prima volta il nome del ‘signore’ di Pisa, ovvero, il conte Ranieri di Donoratico e di Tinuc- co della Rocca (ASPi, Dipl. Opera della Primaziale, 1346 settembre 4). Fazio era riuscito evidentemente ad ottenere per lui, ma anche per il figlio, un ruolo di preminenza anche in questo ambito.
33 Si veda F. Franceschini, Per la datazione delle Expositiones et glose di Guido da Pisa
tra il 1335 e il 1340 (con documenti su Lucano Spinola), in “Rivista di studi danteschi”, 2,
fasc.1, 2002, pp. 64-103. Lucano di Giorgio Spinola (del fu Alberto, del fu Guido) appare in atti dal 1323 al 1347. Sposò Nicoletta Bulgaro, da cui ebbe diversi figli, tra cui Tobia Giovanni, a cui fu riservato un canonicato presso il duomo di Pisa a partire dal 1339, pro- prio negli anni in cui l’influenza del Saltarelli e del conte Fazio sul capitolo della cattedrale si faceva sempre più rilevante. Le notizie sulla carica ricoperta da Tobia Giovanni si hanno grazie a un documento reperito da Ronzani e conservato presso l’Archivio Capitolare di Pisa in cui si legge “olim domini Tobie de Spinolis olim pisani canonici”, (ACPi, A/13, c. 129r-v, 1358 giugno 16, ovvero 1357 in stile ‘comune’). Il documento è già stato citato in Franceschini 2002, p. 93, nota 106.
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Pisa conservato presso la Biblioteca del Castello di Chantilly, sede del Mu- sée Condé (ms. 597)35 (fig. 2).
Pisa era certo un ambiente dinamico in cui “transitano persone, entrano ed escono documenti, testi, testimoni, ori- ginali e copie, in volgare ed in latino, che confermano nella loro diversità un panorama grafico, scrittorio, linguisti- co e letterario variegato”36.
Vi spiccava lo studio domenicano di Santa Caterina, che deteneva già nel
re del codice che mostrano forti paralle- lismi con gli affreschi del Trionfo della
morte di Buffalmacco: Pisani 2020, pp. 93,
198-201. Si vedano inoltre: C. Balbarini,
L’Inferno di Chantilly. Cultura artistica e letteraria a Pisa nella prima metà del Tre- cento, Roma 2011; Ead., Francesco Trai- ni illustratore dell’Inferno di Guido da Pisa tra esegesi e citazioni dell’Antico, in
“Polittico”, 4, 2005, pp. 5-15; Ead., “Per
verba” e “per imagines”: un commento illustrato all’Inferno nel Musée Condé di Chantilly, in Intorno al testo. Tipologie del corredo esegetico e soluzioni editoriali. Atti del convegno di Urbino 1-3 ottobre 2001,
Roma 2003, pp. 497- 512; L. Battaglia Ricci, Testo e immagini in alcuni manoscritti illu-
strati della Commedia: le pagine d’apertura, in Studi offerti a L. Blasucci dai colleghi e dagli allievi pisani, a cura di L. Lugnani, M. Santagata, A. Stussi, Lucca 1996, pp. 23-49;
M. Meiss, An illuminated Inferno and Trecento Painting in Pisa, in “The Art Bulletin”, 47, 1965, pp. 21-34.
Con un recente contributo, Polzer si discosta dal resto della critica sostenendo un’affasci- nante ipotesi, ovvero che il miniatore principale del Codice di Chantilly non sia Traini, bensì Buonamico Buffalmacco: J. Polzer, Who was the primary illuminator of Guido da
Pisa’s Commentary on Dante’s Inferno in Chantilly?, “Studi di Storia dell’arte”, 28, 2017,
pp. 45-60.
35 Per il dibattito sulla datazione si veda Franceschini 2002; per quanto riguarda la
querelle sulla ricca decorazione miniata ad opera di Francesco Traini e della sua bottega
(tra i vari aiuti è identificabile anche il Maestro di Eufrasia dei Lanfranchi) si veda la nota precedente.
36 C. Iannella, Alcune riflessioni su Pisa nel Trecento. Intrecci tra politica, società, cul- tura, in Pisa crocevia di uomini, lingue e culture, l’età medievale, atti del convegno, Pisa 25-27 ottobre 2007, a cura di L. Battaglia Ricci e R. Cella, Roma 2009, p. 50.
Duecento un ruolo di assoluto rilievo a livello europeo tra gli studia mendicanti grazie all’opera di traduzione e divulgazione di testi devozionali e teologici che vi si realizzava: un filone culturale, di cui uno dei maggiori interpreti è Domenico Cavalca.
Dello studio di San Francesco si sa meno, ma consta che, oltre ad essere un centro di produzione miniatoria di alto livello, a metà Trecento disponesse di una bibliote- ca di circa 370 volumi37.
A ciò si aggiunga il fatto che Pisa era in quei decenni anche un relais cruciale per la diffusione della Commedia dantesca ed ebbe nel carmelitano Guido da Pisa uno dei più importanti commentatori di prima metà Trecento.
Il codice di Chantilly raccoglie appunto il testo dell’Inferno (cc. 1-29v) correda- to dalle due opere esegetiche di Guido: la Declaratio (cc. 239r-243r), composta probabilmente prima del 1328, e aggiornata con l’aggiunta di un breve proemio di dedica a Lucano; e le Expositiones et glose (cc. 31r-234v) allestite, invece, per l’occasione38. Sono stati proprio alcuni riferimenti allo Spinola che hanno permesso a Fabrizio Franceschini di precisare la datazione tra il 1335 e il 134039 di questa iniziativa editoriale che può essere considerata un dono diplomatico nel quadro del riavvicinamento tra Genova e Pisa.
Il codice è considerato un vero e proprio manoscritto autografo40, allestito sotto la supervisione dell’autore nella ormai molto affermata bottega pisana del Traini, viste le precise corrispondenze tra il commento e le splendide miniature che furono realizzate sulla pergamena prima ancora che vi fosse trascritto il testo41 dall’offici- na fiorentina di calligrafi che avrebbero prodotto l’esemplare della Commedia che
37 Ivi, p. 49.
38 P. Locatin, Una prima redazione del commento all’Inferno di Guido da Pisa: tra le chiose alla Commedia contenute nel ms. Laur. 40.2, tesi di dottorato condotta presso l’Uni- versità degli Studi di Trento 2009, pp. 9 (con note 12-13); 49-52; Ead., Una prima redazio- ne del commento all’Inferno di Guido da Pisa e la sua fortuna (il ms. Laur. 40 2), in “Rivista di studi danteschi”, I, 2001, pp. 30-74; Franceschini 2002, pp. 70-71; Id., Maometto e Niccolò V all’“Inferno”? Affreschi del Camposanto e commenti danteschi, in Studi per U. Carpi: un saluto da allievi e colleghi pisani, Pisa 2000, p. 470.
39 Franceschini 2002, pp. 64-103.
40 È stata la Battaglia Ricci (1996, p. 32) a suggerire per prima l’ipotesi che il codice potesse essere un esemplare nato “non solo idealmente nello studio del frate Guido da Pisa e illustrato sotto la sua supervisione”; le successive ricerche della Balbarini hanno poi con- fermato tale ipotesi, si veda la precedente nota 32.
41 L. Battaglia Ricci, Un sistema esegetico complesso: il Dante di Chantilly di Guido da
Pisa, in “Rivista di Studi danteschi”, VIII, 2008, pp. 83-100; Balbarini 2003. 2. Cha, c. 1r, Inf.,
I, pagina incipitaria. Chantilly, Musée Condé.
pisane e col poema del Granchi – dalla vittoria di Montecatini su Filippo principe di Taranto, dall’annegamento di suo fratello Pietro e dall’uccisione in battaglia del giovane figlio Carlo (Cha, c. 105v)”45.
Si aggiunga, poi, che nella descrizione della battaglia di Tagliacozzo questo Spinola non figura né nella Cronica del Villani né nelle Cronache pisane o genovesi46. L’a- scendente di Lucano – che subisce la stessa infausta sorte di Gherardo Donoratico – viene, quindi, espressamente inserito per rafforzare quel legame che stava instau- randosi tra Genova e Pisa.
Tutto ciò fa insomma pensare che il conte Fazio fosse direttamente connesso all’i- niziativa di creare questo codice per il genovese, suggerendo probabilmente che vi lavorasse un protagonista come Traini, entrato quasi di certo a far parte di questa sorta di ‘corte signorile’, come Guido da Pisa47.
Non è forse per caso che proprio in questi stessi anni – anzi, proprio in contempo- ranea – Buffalmacco dipinga in Camposanto un Inferno, con rilevanti novità icono-