• Non ci sono risultati.

Capitolo 2 Il cammino della ricerca sull’autismo

2.4 Gli studi neurobiologici e la prospettiva di cura

Tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, la ricerca scientifica sul disturbo dello spettro autistico è scresciuta notevolmente ed il focus attentivo si è spostato sulle basi organiche del disturbo.

Tale prospettiva si è sviluppata anche grazie a conferenze e convegni internazionali sul tema. All’interno della Paediatric Conference, svoltasi presso il Royal College of Physicians nell’ottobre del 1970, spicca il contributo scientifico di Michael Rutter che, nel presentare una revisione degli studi condotti fino a quel momento sulle possibili cause dell’autismo, afferma che le ricerche suggeriscono l’esistenza di qualche forma di danno organico o disturbo (1971). Da quel momento le ricerche sulle cause biologiche del disturbo si intensificano e vengono smentite definitivamente le ipotesi psicodinamiche: non solo i comportamenti dei genitori non causano autismo (DeMyer, 1979; Pennington, 2002) ma si scopre che i bambini con autismo, al pari dei bambini a sviluppo tipico, mostrano e sperimentano nei confronti dei genitori un comportamento di attaccamento (Sigman, Ungerer, 1984). Vengono dunque a cadere i miti, le leggende e credenze che vedono nel bambino con autismo un bambino che è stato deprivato dell’affetto familiare, che non riesce ad accettare un mondo esterno troppo pericoloso, che ha una vita psicologica non integrata e conflitti primordiali non risolti.

Seppur non siano state individuate strutture organiche specifiche ed universali (Kemper, Bauman, 1998; Bauman, Kemper, 2003), l’autismo in questo periodo viene concepito come disturbo neuroevolutivo le cui cause sono biologiche. Si sviluppano, così, ambiti di studio che, attraverso l’indagine di condizioni di comorbilità, dimensioni del cervello, genetica ed ereditarietà del disturbo, supportano e sostengono tale concezione del disturbo.

La conquista più importante degli studi sul disturbo viene raggiunta però tra gli anni ’80 e gli anni ’90 quando la comunità scientifica internazionale si riunisce per definire in maniera inequivocabile e condivisa la criteriologia diagnostica del disturbo. L’autismo si configura come un disturbo dello sviluppo di molteplici funzioni psicologiche coinvolte anch’esse nello sviluppo di abilità sociali, linguistiche, percettive e motorie (APA, 1980). Il suo esordio è individuato nella prima infanzia, prima dei 30 mesi di vita, ma, poiché l’unico

parametro che permette di individuare il disturbo è il comportamento del bambino, è quasi impossibile definire quando esattamente il disturbo inizi a svilupparsi poiché i clinici debbono compiere un’analisi retrospettiva affidandosi ai ricordi e alle osservazioni di chi si è preso cura del bambino quando neonato (APA, 1980). Proprio attraverso l’osservazione del comportamento l’American Psychiatric Association ha definito le caratteristiche essenziali del disturbo che sono: mancanza di reattività alle altre persone, deficit nelle abilità comunicative sia verbali che non verbali, risposte bizzarre ai cambiamenti ambientali. La ricerca sembra, a questo punto, dedicarsi all’analisi del comportamento del bambino al fine di individuare precocemente il disturbo, comprendere quali sono le abilità, capacità, competenze, compromesse e cercare di individuare le basi organiche di tale compromissione. Tre sono le macro aree comportamentali che caratterizzano il disturbo dello spettro autistico:

1. Comportamento sociale: il bambino risponde meno agli stimoli sociali che sembrano non attrarre il suo interesse e la sua attenzione; l’abilità di attenzione condivisa risulta compromessa in modo grave ed il bambino non è in grado di condividere il suo interesse con gli altri né di comprendere gli interessi altrui; il bambino non riconosce le espressioni emotive altrui e non è in grado di imitare il comportamento altrui;

2. Comportamento comunicativo: alcuni bambini non sviluppano mai il linguaggio verbale e non usano altre forme di comunicazione; altri sviluppano un linguaggio dal vocabolario ridotto e caratterizzato da inversione pronominale, ecolalia, anomalie nell’intonazione, scarse competenze semantiche e pragmatiche ed interpretazione iper- letterale;

3. Comportamenti ripetitivi e stereotipati: le stereotipie riguardano sia i comportamenti motori, sia i comportamenti verbali, sia gli interessi e le attività che questi bambini svolgono e prediligono.

La definizione e descrizione “comportamentale” dell’autismo ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta per gli studi effettuati fino a quel momento; si sviluppano, infatti, nuove linee di ricerca che attraverso l’uso del metodo sperimentale, la collaborazione tra diverse figure professionali quali pediatri, neuropsichiatri, genitori, ecc…, focalizzano l’attenzione proprio

sull’analisi del comportamento del bambino e sulle prime fasi di sviluppo neonatale al fine di mettere a punto idonei interventi di cura10.

A partire da tale impostazione la ricerca sul disturbo dello spettro autistico si è sviluppata sempre di più tanto che l’autismo risulta essere il fenomeno più studiato al mondo (Vivanti, 2010); a svilupparsi è, però, anche il progresso scientifico che permette una migliore comprensione del disturbo anche se, come afferma Oliver Sacks (1995) “la nostra comprensione dell’autismo progredisce, si ma con una disperata lentezza”. La ricerca da un lato permette di far luce su numerosi aspetti e funzionamenti dall’altro lascia irrisolti altri aspetti e funzionamenti; molti dati forniscono risposte alle ipotesi di ricerca mentre altrettanti dati forniscono nuovi interrogativi ai quali bisogna cercare risposta. Si è ancora lontani da una comprensione precisa e chiara di come si sviluppa e come funziona il cervello, di come i processi cognitivi e di apprendimento si sviluppino: la ricerca in questo campo ha permesso, però, grazie ai contributi neuroscientifici, delle vere e proprie rivoluzioni interpretative e comprensive del funzionamento cerebrale e dei processi cognitivi e di apprendimento. Alla luce di queste ricerche, nei prossimi paragrafi, saranno analizzate alcune aree che risultano essere cruciali per lo sviluppo del bambino e per i processi cognitivi e di apprendimento e che risultano essere nei bambini con disturbo dello spettro autistico in qualche modo compromesse. Lo scopo di tale rassegna è, in linea con quanto proposto da Rivoltella (2012), provare a riflettere sui dati e sui risultati della ricerca neuroscientifica che indagano il modo in cui la mente organizza, integra ed elabora i dati della realtà esterna, il processo di conoscenza e di apprendimento al fine di estrapolarne informazioni utili ambito della didattica per il miglioramento delle pratiche educative.