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Capitolo 4 Dall’apprendimento all’insegnamento

4.3 Caratteristiche dei programmi di intervento e strategie didattiche

4.3.1 Sviluppo della comunicazione

Ricercatori ed educatori hanno discusso su come dovrebbero essere definiti gli obiettivi relativi allo sviluppo della comunicazione per i bambini con autismo. I tradizionali programmi di stampo comportamentista prevedono una definizione aprioristica degli obiettivi nell’area comunicativa (Lovaas, 1981). I programmi discrete-trial prevedono, generalmente, che il bambino sia seduto su una sedia di fronte al terapista e che imiti il comportamento non verbale del terapista in risposta agli input verbali. L’abilità comunicativa viene, dunque, insegnata come un comportamento verbale e gli obiettivi riguardano: la comunicazione recettiva, ovvero la comprensione di ciò che viene detto da altri, e la comunicazione espressiva ovvero la capacità di esprimersi attraverso il linguaggio verbale e non verbale. Inizialmente l’insegnamento nell’area della comunicazione recettiva ed espressiva focalizza l’attenzione sulle parti del corpo, i nomi delle persone, le immagini e risposte a domande. Successivamente gli obiettivi si estendono alle preposizioni, pronomi, verbi, ecc… Gli obiettivi sono sempre individualizzati, ovvero definiti a partire dal repertorio e dalla funzione del comportamento verbale del bambino.

I programmi comportamentali contemporanei enfatizzano la generalizzazione dell’insegnamento delle abilità comunicative; ciò significa che al bambino deve essere insegnato all’interno di diversi luoghi, eventi e da parte di diverse persone in modo tale che possa utilizzare funzionalmente il comportamento verbale in ogni ambito di vita (Lahey, 1988). Coloro che aderiscono ad una prospettiva evoluzionistica ritengono, invece, che gli obiettivi legati all’area della comunicazione debbano essere di tipo sociale: uso dello sguardo per interagire con gli altri, condivisione di stati emotivi, utilizzo della comunicazione gestuale. Gli obiettivi linguistici sono mappati sulle abilità di comunicazione sociale e sono guidati da un quadro evolutivo (Greenspan, Wieder, 1997; Klinger e Dawson, 1992; Wetherby et al., 1997). All’interno, invece, della strategia della comunicazione aumentativa e alternativa (CAA) gli obiettivi sono definiti in modo da aiutare le persone con gravi disturbi della comunicazione a diventare comunicativamente competenti nel presente (Beukelman, Mirenda, 1998).

Valutazione. Uno degli scopi principali della valutazione della comunicazione è di documentare il cambiamento, lo sviluppo, come misura di esito del trattamento. Tuttavia, la maggior parte degli strumenti di valutazione delle competenze comunicative si concentra principalmente sulla forma linguistica e si basa su risposte sollecitate. Poiché le difficoltà linguistiche associate all’autismo sono più evidenti negli aspetti socio-comunicativi o pragmatici del linguaggio, gli strumenti di valutazione formale possono fornire informazioni solo su un numero limitato di aspetti della comunicazione dei bambini con autismo (Schuler et al., 1997; Prizant et al., 1997; Wetherby e Prizant, 1999). Un altro scopo della valutazione è quello di fornire informazioni per la pianificazione educativa: tali informazioni possono essere tradotte in obiettivi, strategie per il miglioramento delle competenze comunicative. Diversi studi sostengono che oltre alle componenti linguistiche devono essere valutate come competenze comunicative anche l’uso dello sguardo e delle espressioni del volto, la velocità di comunicazione, l’uso di gesti e vocali/verbalizzazioni, uso di strategie di compensazione, comprensione dei significati convenzionali e la capacità di impegnarsi nella conversazione (Schuler et al., 1997; Wetherby et al., 2000). Wetherby (1997; 1999) sottolinea che le capacità comunicative dei bambini con autismo dovrebbero essere valutate all’interno di scambi comunicativi naturali, e che al fine di raccogliere un quadro accurato delle capacità comunicative e simboliche dei bambini con autismo la valutazione deve essere effettuata tenendo conto anche di ciò che genitori ed insegnati osservano nelle situazioni di vita quotidiana del bambino (come un bambino comunica a casa, in classe, o in altri contesti).

Approcci di intervento. Sebbene vi sia consenso sull’importanza di migliorare le capacità comunicative dei bambini con autismo, gli approcci di intervento che si sono sviluppati nel tempo sono molto diversi l’uno dall’altro e, in alcuni casi, sembrano essere opposti. Le prime ricerche condotte sull’insegnamento del linguaggio a bambini con autismo utilizzavano metodi discrete-trial che prevedevano prima l’insegnamento dell’etichettatura e poi di semplici frasi (Lovaas, 1977, 1981). Il discrete-trial approach ha portato ad un miglioramento delle competenze linguistiche e miglioramenti nel dominio del comportamento adattativo (McEachin et al., 1993). Uno dei limiti dell’approccio discrete-trial è la mancanza di spontaneità e di generalizzazione. Koegel (1995),

infatti, analizzando tali studi, ha notato che il linguaggio acquisito negli ambienti di insegnamento non è stato generalizzato, utilizzato, da questi bambini in contesti differenti.

Negli ultimi anni si sono sviluppati approcci di tipo naturalistico, come il natural language paradigms (Koegel et al., 1987), l’incidental teaching (Hart, 1985; McGee et al., 1985; McGee et al., 1999), il time delay and milieu intervention (Charlop et al., 1985; Charlop, Trasowech, 1991; Hwang, Hughes, 2000; Kaiser, 1993; Kaiser et al., 1992), ed il pivotal response training (Koegel, 1995; Koegel et al., 1998) che registrano una maggiore efficacia delle pratiche di insegnamento e la generalizzazione delle abilità comunicative sviluppate da parte del bambino. Le principali caratteristiche di tali approcci sono: realizzazione dell’intervento in ambiente naturale; avvio dell’intervento a partire dall’iniziativa e dall’interesse del bambino.

Esitono, poi, approcci di intervento che tengono conto dei livelli di sviluppo del bambino (Greenspan, Wieder, 1997; Klinger, Dawson, 1992; Wetherby et al., 1997; Prizant, Wetherby, 1998). Le caratteristiche comuni a tali approcci sono legate all’ambiente, organizzato per fornire opportunità di comunicazione, al bambino, che avvia l’interazione e quindi gli episodi di insegnamento, al partner comunicativo che segue l’iniziativa del bambino rispondendo alle sue intenzioni comunicative e imitando o ampliando il comportamento del bambino.

I tre diversi tipi di approccio presentati (dicrete-trial, naturalistic, developmental) mostrano buoni risultati nell’insegnamento di specifici contenuti linguistici, come l’acquisizione di una singola parola, la descrizione di oggetti ed immagini, la risposta alle domande (Koegel et al., 1998; Krantz et al., 1981).

Comunicazione aumentativa alternativa. Per i bambini con autismo che non acquisiscono il linguaggio funzionale o hanno difficoltà nell’elaborazione e nella comprensione del linguaggio parlato, la comunicazione aumentativa e alternativa (CAA) e la tecnologia di assistenza (AT) possono rappresentare componenti utili di un programma educativo. La CAA introduce un sistema di simboli non speculari, come la lingua dei segni, simboli visivi (immagini e parole), o dispositivi di sintesi vocale per supportare o migliorare le capacità comunicative dei bambini con autismo.

Le informazioni visive, proposte dalla CAA, sono statiche e prevedibili e consentono al bambino con autismo di basarsi sul riconoscimento visivo per poter comunicare; inoltre gli strumenti a bassa tecnologia, come le immagini, possono essere relativamente semplici da costruire ed implementare e poco costosi (Hodgdon, 1995).

Dall’analisi della letteratura scientifica il National Research Counsil (2001) afferma che: non esistono prove che dimostrano che l’uso della CAA porti ad un ritardo di acquisizione del linguaggio; non esitono prove che dimostrino che l’uso della lingua dei segni migliori l’uso della parola ma neanche prove che suggeriscono che la lingua dei segni interferisca con lo sviluppo della lingua verbale; i bambini con autismo che presentano buone competenze di imitazione verbale dimostrano di acquisire il linguaggio verbale sia con l’uso della CAA che senza il suo uso; per i bambini con autismo che presentano basse competenze di imitazione verbale è consigliato l’uso ella CAA poiché è probabile che non progrediscano nell’acquisizione del linguaggio verbale.

Comunicazione facilitata. È un metodo che fornisce supporto alle persone con gravi problemi di comunicazione attraverso la trasmissione di messaggi digitati accompagnati da supporti che si traducono in: incoraggiamento; contatto fisico (si sostiene l’avambraccio o il polso del bambino, si aiuta il bambino ad indicare); comunicazione (si ignorano i comportamenti stereotipati, si utilizzano domande strutturate) (Biklen, 1993). La CF differisce in modo critico dagli interventi tipici della CAA. Nella CAA la il bambino con autismo, quando gli è richiesto di comunicare decide autonomamente di accedere alle schede grafiche o agli strumenti digitali e decide deliberatamente come e cosa comunicare. Poiché la CF implica il supporto continuo, anche fisico, non si riesce a comprendere mai del tutto se la comunicazione è gestita dal bambino, sa colui che fornisce il supporto o se invece è una forma di collaborazione tra le parti (Calculator et al., 1995; Shane, 1994). Proprio su tale base, l’American Speech-Language-Hearing Association (1994) ha dichiarato che non esistono prove scientifiche valide che dimostrano l’efficacia della CF.

Tecnologie assistive. Sempre più nelle pratiche quotidiane si assite all’utilizzo di tecnologie assistive per bambini con autismo. Un esempio è l’uso

del computer che, attraverso programmi di insegnamento, di scrittura, e realtà virtuale, forniscono interessanti opportunità di apprendimento. In uno studio condotto da Chen e Bernard-Opitz (1993) con quattro bambini con autismo, gli studiosi hanno riscontrato maggiore motivazione ad apprendere quando l’insegnamento era mediato dal computer ad un insegnamento mediato da una persona. Studi condotti da Parsons e LaSorte (1993) e da Heimann (1995) hanno documentato miglioramenti significativi nella lettura, nella consapevolezza fonologica, nel comportamento verbale. Inoltre esistono software, come Picture- It, Pix-Writer e Writing with Symbols 2000, che forniscono rappresentazioni iconiche di frasi e che creano storie sociali. Ad oggi, non ci sono studi pubblicati sull’efficacia di questi strumenti e strategie, sebbene stiano guadagnando popolarità tra i professionisti e i genitori (NRC, 2001).