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Capitolo 4 Dall’apprendimento all’insegnamento

4.2 L’evidence-based practice

Il tema dell’evidence-based practice ha dato avvio, in ambito educativo, e soprattutto nell’ambito dell’educazione speciale, ad un dibattito scientifico vivo e con orientamenti contrastanti.

Il modello evidence sorge, verso la fine degli anni novanta del secolo scorso, nel contesto anglossasone in ambito medico e si lega quasi immediatamente all’ambito educativo con il fine di comprendere e analizzare il legame tra ricerca e pratica professionale. In realtà già sul finire degli anni ottanta, negli Stati Uniti, si avviava una riflessione sulla necessità di adoperare

all’interno dell’ambito educativo modelli e conoscenze basate sulle evidenze scientifiche per promuovere il miglioramento delle pratiche di insegnamento (Vivanet, 2014; Cottini, Morganti, 2016). In questo contesto Hargreaves (1996; 1997; 1999) propone l’avvicinamento della ricerca educativa a quella medica poiché, attraverso le evidenze, diviene possibile trovare risposte efficaci ai problemi che educatori ed insegnanti incontrano nel loro quotidiano operare. L’idea di fondo è che in ambito educativo possa avvenire ciò che è avvenuto in ambito medico: la ricerca e la sperimentazione hanno contribuito al progresso scientifico individuato pratiche sempre più efficaci che hanno sostituito quelle meno efficaci. Al docente viene però riconosciuta la mancanza di conoscenze scientifiche che supportano l’agire quotidiano e l’incapacità di progettare interventi educativi su una base scientifica consolidata (Hargreaves, 1996; 1997; 1999). Si sviluppa così alla fine degli anni novanta il concetto di evidence-based practice che a partire dall’ambito medico si diffonde in ambiti come quello della psicologia e dell’educazione.

In ambito educativo tale modello prende il nome di evidence-based education; il primo a fornire una definizione ufficiale è stato Coe che, all’interno del Manifesto for evidence-based education (1999) spiega che “evidence-based is more than just trendy jargon. It refers to an approach which argues that policy and practice should be capable of being justified in terms of sound evidence about their likely effects. Education may not be an exact science, but it is too important to allow it to be determined by unfounded opinion, whether of politicians, teachers, researchers or anyone else” (p.1). Secondo Coe, dunque, l’evidence-based education potrebbe condurre ad una nuova cultura, quella dell’evidenza, che faccia si che insegnanti e politici facciano scelte accurate e meditate non solo nelle pratiche ma soprattutto nelle scelte di indirizzo delle politiche educative. Lavorare attraverso l’evidence-based education presuppone, però, delle considerazioni iniziali:

• Sources of evidence: non è indispensabile che la scuola attui una ricerca sperimentale per poter valutare l’efficacia o meno di un metodo poiché può effettuare ricerche di meta-analisi a riguardo; • Evidence is not value-free: molti si oppongono alle evidenze poichè ritengono che non siano basate su valori e principi, in

realtà così non è. I professionisti dovrebbero incontrarsi e condividere valori, idee e principi interni alle pratiche;

• There are no universal solutions or quick fixes: ciò non significa che le evidenze sono allora inutile ma bensì che all’interno delle ricerche basare sulle evidenze bisogna presentare in maniera precisa e puntuale le caratteristiche del contesto e le condizioni di applicazione;

• Evidence is often incomplete or equivocal: quando le evidenze non sono complete o equivoche non bisogna utilizzarle come un dogma ma bensì cercare di individuare i punti deboli della ricerca e progettare ulteriori ricerche o sperimentazioni in vista di una risoluzione possibile;

• Evidence can be quite complex: quando le evidenze sono accompagnate da analisi statistiche spesso possono risultare di difficile comprensione ed interpretazione per il docente che può, però, o aggiornarsi sul tema o far riferimento ad un esperto sul tema (1999, pp.1-3)

Secondo Coe (1999), dopo aver effettuato la ricerca di metodi basati sulle evidenze, l’unico modo per poter comprendere se le prove sono realmente efficaci o no è quello della sperimentazione in contesti reali. Oltre alla disseminazione delle ricerche da parte degli accademici c’è bisogno che il docente rivesta i panni del ricercatore, che sia un partecipatore attivo del cambiamento, della definizione del piano di ricerca e della raccolta ed interpretazione dei dati. Coe auspica, in tal senso, allo sviluppo di una cultura dell’evidenza attraverso la quale le forze politiche e i professionisti dell’educazione possano insieme e responsabilmente definire piani di azione condivisi. Il nodo cruciale dell’evidence-based education risiede, dunque, nelle capacità di giudizio dei docenti: essi devono essere in grado di integrare i risultati della ricerca alle situazioni di insegnamento concrete (Whitehurst, 2003).

Tali riflessioni hanno condotto ad una vera e propria riforma educativa sviluppatasi negli Stati Uniti d’America sul finire degli anni novanta. Significativi sono i documenti redatti per gli alunni in situazione di disabilità: il No Child Left Behind Act (USDE, 2001), l’Education Science Reform Act (USDE, 2002) e l’Individuals with Disabilities Education Act (IDEA) mirano ad

incentivare servizi e programmi educativi basati sull’evidenza al fine di poter assicurare non solo il diritto allo studio ed interventi precoci per tutti bambini e ragazzi con disabilità ma anche il miglioramento del sistema d’istruzione ed i risultati scolastici di tutti gli alunni. Gli organismi politici attraverso l’emanazione di tali documenti hanno dato un chiaro segnale circa le politiche educative: supportano le evidenze scientifiche nel mondo educativo e, soprattutto, le utilizzano come presa di decisione politica. Non a caso uno degli obiettivi è proprio cercare di abbassare i costi della sanità pubblica attraverso l’uso di interventi che si sono dimostrati efficaci per gli alunni con disabilità in ambito educativo.

La riflessione sull’uso dell’evidence-based education ha dato vita in Italia a pareri contrastanti. Goussot (2015) si schiera contro un approccio evidence-based practice poiché ritiene che tale prospettiva possa condurre i professionisti della pedagogia e della didattica ad avvicinarsi a quel modello bio- medico, clinico-riabilitativo, che riduce l’uomo a meri meccanismi neurobiologici senza considerarne la complessità di fondo. Calvani (2007; 2011; 2012; 2013; 2014) evidenzia che esistono differenti interpretazioni del termine evidenza ma spesso esse sono ricondotte ad un approccio molto rigido, simile a quello medico, secondo il quale a partire dai dati è possibile replicare esattamente il metodo ed ottenere i medesimi risultati. Ciò significa non tener conto della complessità dell’ambiente educativo ed utilizzare metodi che tendono all’efficienza delle pratiche ma che non valorizzano il senso, i tempi e i modi dell’educazione. Per tale motivo Calvani (2011) propone il concetto di “evidenze sfidanti” privilegiando un’interpretazione dell’evidence-based education che ingloba in sé ricerca quantitativa e ricerca qualitativa. La ricerca sull’efficacia, all’interno dell’ambito della pedagogia e didattica speciale, è sicuramente importante ma non deve essere interpretata come una riproposizione di strategie, modelli, interventi e trattamenti o come semplice raggiungimento dei traguardi formativi da parte degli alunni. È necessario, infatti, fare riferimento alla specificità di ogni singolo alunno con disabilità, alle abilità, alle dimensioni interpersonali ed intrapersonali, alle dimensioni emotive e sociali, poiché determinanti per la riuscita di un progetto educativo che mira al miglioramento della qualità della vita degli alunni e all’acquisizione di competenze per la costruzione di un progetto di vita personale.

A tale idea aderiscono anche Cottini e Morganti (2016) i quali affermano che una volta individuato un programma, un intervento, un trattamento, efficace bisogna analizzarne in maniera critica tutte le variabili al fine di comprendere in che modo possa essere adattato con successo ad un particolare contesto.

Nell’ambito degli studi sul disturbo dello spettro autistico un gruppo di ricerca, afferente alla National professional development center on autism spectrum disorder, nel 2014 ha effettuato una revisione dei trattamenti e degli interventi evidence-based practice sviluppati per persone con disturbo dello spettro autistico (Wong, et al., 2014). La necessità di tale studio sorge dalla richiesta degli stessi educatori: essi vogliono offrire agli alunni con autismo esperienze educative positive ed efficaci ma spesso non sanno cosa proporre o da dove iniziare. I risultati dello studio, pubblicati anche sul sito della National professional development center on autism spectrum disorder, mostrano l’individuazione di circa ventisette evidence-based practice sviluppate per persone con autismo19. Tale data-base dovrebbe essere aggiornato, poiché, come

affermano gli stessi Odom e Wong (2015) la ricerca sulle pratiche di intervento mirate per bambini con disturbo dello spettro autistico non si ferma, anzi, cresce rapidamente.