Capitolo 4 Dall’apprendimento all’insegnamento
4.3 Caratteristiche dei programmi di intervento e strategie didattiche
4.3.2 Sviluppo sociale
Un programma educativo che intende lavorare sull’area dello sviluppo sociale deve prevedere una serie di steps:
- valutazione delle competenze esistenti;
- definizione delle competenze che verranno insegnate (obiettivi); - pianificazione delle strategie didattiche;
- attuazione del piano didattico;
- valutazione dei progressi del bambino;
- eventuale rivisitazione ed adattamento dell’intervento (Cipani, Spooner, 1994).
La maggior parte dei programmi e degli approcci educativi sviluppati per bambini con autismo rientrano in uno dei due quadri teorici sviluppati ad oggi: evolutivo o comportamentale. L’approccio evolutivo si basa su un modello di sviluppo tipico al fine di guidare il processo educativo, la valutazione delle competenze esistenti, la definizione degli obiettivi e la pianificazione delle strategie. Tale approccio presuppone che le competenze sociali vengano valutate all’interno di ogni area di sviluppo - motorie, cognitiva, comunicativa e dello sviluppo sociale - e che gli obiettivi vengano definiti all’interno della zona di sviluppo prossimale del bambino (Vygotsky, 2000).
I vantaggi di un approccio di tipo evolutivo sono da rintracciare nella facilità e naturalità con cui viene condotto l’intervento nei contesti della prima infanzia, nei numerosi programmi di valutazione del curriculum basati sullo sviluppo, nel materiale didattico disponibile e nella formazione dei professionisti che sono coinvolti nell’educazione dei bambini. Gli svantaggi di tale approccio sono da rintracciare nel fatto che i bambini con autismo non mostrano uno sviluppo tipico nelle diverse aree (comunicazione, linguaggio, motricità, ecc…), né apprendono necessariamente attraverso pratiche di insegnamento tipiche (istruzione verbale, imitazione di insegnanti e bambini, apprendimento sociale). In un approccio di tipo comportamentale, viene valutato il repertorio comportamentale di un bambino in base alla presenza e alla frequenza di anomalie comportamentali o alla mancanza o bassa frequenza di abilità tipiche (Lovaas, 1987). Le strategie di insegnamento comportamentale sono progettate, quindi, per ridurre le anomalie comportamentali ed aumentare le prestazioni socialmente desiderate. Tali strategie prevedono l’identificazione dell’antecedente del comportamento, l’identificazione dell’obiettivo dell’insegnamento (comportamento) e delle conseguenze per il rinforzo del comportamento target o l’estinzione del comportamento indesiderato. I vantaggi dell’approccio comportamentale, nell’ambito delle abilità sociali, sono legati alla generalizzazione e al mantenimento del comportamento, e all’uso di strategie sistematiche per insegnare abilità complesse suddividendole in sub- abilità. Gli approcci comportamentali tradizionali prevedono, però, una raccolta di dati minuziosa, precisa e legata al momento: questo può impedirne l’uso in contesti come quello educativo sia per il tempo che richiede la presa di dati sia perché il personale educativo non è formato nell’uso delle schede di valutazione e raccolta dati. Inoltre l’approccio comportamentista prevede un intervento one- to-one che risulta essere troppo artificiale e costruito e che ne impedisce l’implementazione in situazioni di gruppo e contesti inclusivi.
Obiettivi per lo sviluppo di relazioni sociali con adulti. Per i bambini molto piccoli con autismo, gli obiettivi si concentrano sull’attenzione congiunta, sullo scambio dei turni, sull’imitazione, sulle risposte attraverso l’uso dello sguardo alle iniziazioni che l’adulto offre al bambino e all’avvio di interazioni sociali (Wetherby e Prizant, 1993). Queste interazioni avvengono all’interno di un contesto di gioco e, man mano che il bambino cresce e sviluppa competenze,
le interazioni sociali vengono adattate al contesto e agli obiettivi educativi scolastici. Le abilità sociali - come rispondere alle direttive degli adulti, partecipare in modo indipendente alle routine della classe, esprimere i propri bisogni agli adulti (ad esempio, andare in bagno, voler bere, mangiare, ecc..) e chiedere l’aiuto dell’adulto per svolgere delle attività - diventano non solo obiettivi educativi perseguibili in classe ma anche abilità funzionali necessarie per far si che i bambini raggiungano il successo formativo.
Obiettivi per lo sviluppo di relazioni tra i pari. L’interazione con i pari è un’altra dimensione dello sviluppo sociale dei bambini che diventa sempre più importante a partire dai tre anni di vita. Per identificare le aree di intervento per bambini con disabilità gravi, incluso l'autismo, Strain (1983) ha osservato le dinamiche sociometriche all’interno di gruppi di bambini in età prescolare con e senza disabilità. I bambini maggiormente scelti erano color che avevano partecipato maggiormente ad attività di gioco ed avevano interagito di più con gli altri bambini. I bambini “emarginati” erano coloro i quali, invece, non partecipavano ad attività di gioco ed interagivano meno con gli altri bambini. Altre ricerche (Goldstein et al., 1992) mostrano che oltre alle interazioni in attività di gioco fondamentali risultano essere l’attenzione congiunta e le forme comunicative pragmatiche (ad esempio, richieste, commenti e risposte verbali e non verbali rivolte ai pari).
Strategie di valutazione per lo sviluppo di obiettivi sociali. Nel valutare le abilità sociali dei bambini con autismo, i professionisti della prima infanzia devono far riferimento a diverse fonti. Alcuni strumenti che permettono la valutazione delle competenze sociali sono la Vineland Adaptive Behavior Scales (Sparrow et al., 1984) e la Scales of Independent Behavior-Revised (Bruininks et al., 1996). Tali strumenti vengono utilizzati per stabilire obiettivi generali legati allo sviluppo sociale ma non forniscono indicazioni su specifici comportamenti e sul loro sviluppo. In ambito internazionale esistono strumenti di raccolta dati per l’età prescolare: alcune scale sono standardizzate in modo tale da determinare i livelli medi per i bambini di età diverse; altre, invece, confrontano le prestazioni attuali con standard definiti sulla base dello sviluppo tipico. Tali strumenti – che includono il Battelle Developmental Inventory (Newborg et al., 1984), il Learning Accomplishment Profile (LAP) (LeMay et al., 1983), la Michigan Scales (Rogers et al., 1979), el’Assessment, Evaluation,
and Programming System (AEPS) (Bricker, 1993) - valutano i comportamenti osservati nei bambini in via di sviluppo di varie età, e quindi possono essere utili per determinare quali competenze ha già sviluppato il bambino e quali competenze, invece, dovrebbe sviluppare in una prospettiva evolutiva.
Esistono, poi, scale che valutano le abilità sociali all’interno delle interazioni genitore-bambino (Munson, Odom, 1996). Poiché la comunicazione rappresenta lo strumento attraverso il quale le persone realizzano relazioni sociali, le abilità e i bisogni comunicativi dei bambini sono parte integrante dello sviluppo sociale; per tale motivo lo sviluppo di competenze sociali deve essere sempre accompagnato dallo sviluppo di competenze comunicative. Anche il gioco rappresenta un’importante attività sociale nella prima infanzia. Le abilità di gioco, come la comunicazione, devono essere valutate e considerate nel più ampio ambito sociale poiché esse rappresentano il collante che permette lo sviluppo delle interazioni tra pari nella prima infanzia (Nadel, Peze, 1993).
La valutazione delle competenze sociali deve essere effettuata in situazioni ecologicamente valide. L'osservazione del repertorio sociale di un bambino con autismo in un contesto con coetanei familiari e genitori fornisce informazioni utili sui comportamenti reali che un bambino attua.
Interazione genitore-bambino: tecniche di intervento. Una tecnica di intervento messa a punto da Dawson e Galpert (1990) prevede che il genitore all’interno di attività di gioco debba imitare le azioni del bambino che gioca con giocattoli per almeno venti minuti al giorno per due settimane. Il follow-up dopo due settimane ha mostrato un aumento significativo dello sguardo del bambino rivolto al genitore, un aumento del numero di giocattoli utilizzati, l’aumento di schemi di gioco, e l’uso di nuovi giocattoli. Rogers (1986, 1989) ha utilizzato una tecnica simile per valutare i cambiamenti comportamentali di tredici bambini in età prescolare dopo sei mesi di intervento intensivo. Il programma di intervento enfatizzava l’uso di interazioni positive tra adulti e bambini, giochi e comunicazione. Lo studio ha mostrato miglioramenti nei livelli di gioco socio- comunicativo con il genitore e la diminuzione di risposte negative alle iniziative del genitore durante il gioco.
Tecniche mediate dai pari. Nelle tecniche mediate dai pari, sviluppate negli ultimi venti anni da Phillip Strain, Samuel Odom e Howard Goldstein, ai pari si insegna ad essere “organizzatori di giochi”; questi imparano a promuovere
le competenze sociali in bambini con autismo, attraverso un gioco di ruolo con l’adulto e poi vengono incoraggiati ad utilizzare usare quelle strategie con i bambini con autismo. alcuni studi mostrano come le tecniche mediate dai pari portano all’aumento di interazioni sociali da parte dei bambini con autismo, e alla generalizzazione e al mantenimento dei comportamenti, soprattutto in classi inclusive della scuola dell’infanzia (Hoyson et al., 1984; Strain et al., 1979; Strain et al., 1977; Goldstein et al., 1992).
Storie sociali. Sviluppate da Gray e Garand (1993), le storie sociali coinvolgono narrazioni scritte su alcune situazioni sociali che sono difficili da comprendere per il bambino con autismo. Poiché questa tecnica implica l’uso della scrittura, è generalmente mirata ai bambini più grandi con capacità di lettura. L’efficacia di questa tecnica con i bambini piccoli non è stata ancora stabilita (Norris, Dattilo, 1999) eppure negli ultimi anni si è assistito alla proliferazione di storie sociali anche per bambini di età prescolare. Tali storie sono sempre accompagnate da vignette, disegni, immagini, figure e, solitamente, il docente legge la storia ai bambini. Grazie all’apporto delle nuove tecnologie sono stati sviluppati numerosi siti e software che permettono di costruire storie sociali in formato digitale. Tali storie presentano la comodità di poter essere salvate e recuperate in qualsiasi momento.
Modelli di intervento precoce completi per l'insegnamento delle interazioni sociali: approccio neocomportamentale. Il programma Walden (McGee et al., 1999) e l'approccio Learning Experiences, Alternative Program (Kohler et al., 1997; Strain et al., 1996) utilizzano un insegnamento comportamentale più naturalistico per sviluppare le interazioni tra pari e le abilità di comunicazione. Entrambi gli approcci, così come il Pivotal Responsive Training sviluppato da Koegel (1999), applicano attentamente paradigmi educativi comportamentali all’interno delle interazioni sociali naturali o naturalistiche per concentrarsi sullo sviluppo sociale come spinta primaria dell’intervento.
Modelli di intervento precoce completi per l'insegnamento delle interazioni sociali: approccio interattivo. Nel modello proposto da Greenspan e Wieder (1997) l’intervento si basa su “circoli di comunicazione”, interazioni sociali reciproche con gli adulti che nel tempo aumentano sia in senso temporale sia per la complessità delle interazioni sociali. Tali tecniche sono incentrate sul
bambino: prendono avvio dal comportamento spontaneo dei bambini e su di esse l’adulto costruisce risposte adatte alle capacità evolutive e comunicative del bambino.
Un ulteriore modello interattivo è il modello Denver. All’interno di tale modello le competenze sociali vengono insegnate dall’adulto attraverso l’uso di “scambi sensoriali sociali”. Questi scambi sono attività sociali naturali centrate sul bambino in cui il bambino fa delle scelte, dà inizio a piacevoli interazioni con l’adulto e le continua attraverso diversi cicli, usando qualunque comportamento riesca a mettere in atto. Le risposte sociali vengono insegnate attraverso interazioni dirette o all’interno di attività di gioco mediate da giocattoli. Le interazioni tra pari, all’interno di tale modello, vengono insegnate in contesti prescolari inclusivi, in cui sia i bambini a sviluppo tipico che bambini con autismo sono incoraggiati ad avviare relazioni attraverso l’uso di oggetti e giocattoli da condividere (ad esempio, dare, prendere e passare oggetti) (Rogers et al., 2000).
Modelli di intervento precoce completi per l'insegnamento delle interazioni sociali: l’approccio TEACCH. Enfatizza il funzionamento individuale in un contesto di gruppo ed il focus sull’interazione sociale è posto attraverso lo sviluppo della comunicazione e la partecipazione ad attività di gruppo, seguendo istruzioni e routine con gli altri e a turno (Watson et al., 1989).
4.3.3 Sviluppo cognitivo
Esiste poca letteratura scientifica sulle strategie didattiche volte a promuovere la performance accademica dei bambini con autismo. Le prestazioni accademiche analizzate all’interno degli studi presi in esame, si riferiscono a compiti relativi alle tradizionali abilità di lettura e matematica. Tali studi dimostrano che alcuni bambini con disturbo dello spettro autistico possono acquisire abilità e capacità di lettura attraverso la partecipazione ad attività didattiche. Nelle prime ricerche, Koegel e Rincover (1974) e Rincover e Koegel (1977) hanno dimostrato che i bambini con autismo potevano dedicarsi a compiti accademici e rispondere alle istruzioni accademiche anche in contesti educativi di piccoli gruppi e non solo in una situazione di insegnamento one-to-one.
Un interessante studio condotto da Kamps (1991) ha invece descritto gli approcci didattici maggiormente utilizzati nei contesti educativi in presenza di alunni con disturbo dello spettro autistico. Dallo studio è emerso che i metodi in intervento per alunni con disturbo dello spettro autistico erano sempre di tipo naturalistico ed implementati in situazioni di gruppo all’interno delle aule; i gruppi erano sempre composti da un minimo di tre studenti ad un massimo di cinque studenti; ogni studente era in possesso di materiali specifici per svolgere i compiti richiesti; nelle attività era previsto l’uso combinato di interazioni verbali (come le discussioni di gruppo) e interazioni mediate dalle nuove tecnologie; gli studenti dovevano rispettare turni di cinque minuti ciascuno per poter presentare le proprie idee, opinioni o ricerche; ai gruppi venivano poste domande che necessitavano di una risposta di gruppo; ai componenti del gruppo venivano forniti materiali da condividere con gli altri componenti; ogni gruppo doveva lavorare attraverso le interazioni tra i suoi componenti. Tali strategie si sono mostrate particolarmente utili per l’apprendiemtno di competenze linguistiche nei bambini con autismo che frequentavano la scuola primaria (Kamps et al., 1994a). In ricerche successive, Kamps (1994b) ha esaminato l'uso del peer-tutoring per la comprensione di storie in classe per bambini della scuola dell’infanzia con disturbo dello spettro autistico. Da tale studio è emerso che i bambini con autismo che ricevevano insegnamento sotto forma di peer-tutoring mostravano maggiore comprensione rispetto a coloro che ricevevano l’insegnamento nella forma tradizionale (docente-discente).
Un altro tipo di approccio è rappresentato dai gruppi di apprendimento cooperativo: attraverso un tutorato fornito da un gruppo di pari i bambini con disturbo dello spettro autistico mostravano maggiore comprensione e maggior impegno nei compiti di lettura (Kamps et al., 1995).
Alcuni studi mostrano che anche l’istruzione assistita da computer possono favorire lo svolgimento di compiti cognitivi da parte die bambini con disturbo dello spettro autistico. Chen e Bernard-Optiz (1993) hanno comparato attività svolte da bambini con autismo e consegnate da un adulto con attività ed attività consegnate attraverso un computer. I risultati della comparazione mostrano che i bambini con autismo hanno raggiunto prestazioni più elevate e mostrato maggior interesse verso i compiti consegnati da computer. In uno studio condotto in Svezia, Heimann e colleghi (1995) hanno utilizzato un
programma Computer-Assisted Instruction e un approccio didattico tradizionale per presentare le lezioni agli studenti. I bambini con autismo hanno ottenuto miglioramenti significativi nel programma CAI rispetto all’approccio didattico tradizionale, mentre i bambini a sviluppo tipico non hanno mostrato differenze significative.
4.3.4 Sviluppo senso-motorio
Il NRC (2001), attraverso la revisione della letteratura scientifica di riferimento riconosce che la ricerca sulle tecniche di intervento senso-motorio per bambini con autismo non mostra un rigore tale da poter individuare interventi efficaci e di qualità tanto che molti trattamenti ampiamente conosciuti non hanno ricevuto uno studio sistematico e attento.
Terapia di integrazione sensoriale. Enfatizza l’elaborazione neurologica delle informazioni sensoriali come base per l'apprendimento delle abilità di livello superiore (Ayres, 1972). L'obiettivo è quello di migliorare le funzioni somatosensoriali e vestibolari sub-corticali fornendo esperienze sensoriali controllate per produrre risposte motorie adattive. L’ipotesi alla base ditale terapia è che, con queste esperienze, il sistema nervoso modula, organizza e integra meglio le informazioni dall’ambiente, che a sua volta fornisce una base per ulteriori risposte adattive e un apprendimento di ordine superiore. Altre componenti del classico modello di integrazione sensoriale includono un approccio centrato sul bambino che fornisce, cioè, sulla base del livello si sviluppo del bambino compiti che richiedono risposte motorie sempre più complesse, adattive e sofisticate. Altri approcci basati sulla terapia di integrazione sensoriale includono la “dieta sensoriale”, in cui l'ambiente è pieno di attività sensoriali per soddisfare i bisogni del bambino; il “programma di allerta” combina, invece, l'integrazione sensoriale con un approccio cognitivo- comportamentale (NRC, 2001).
Terapia di integrazione uditiva. La terapia di integrazione uditiva per l’autismo ha ricevuto molta attenzione da parte dei media negli ultimi anni. I fautori di tale terapia suggeriscono che la musica può “massaggiare” l’orecchio medio (cellule ciliate nella coclea), ridurre le ipersensibilità e migliorare la capacità di elaborazione uditiva complessiva. Due sono i principali approcci
filosofici alla terapia di integrazione uditiva esistente: Tomatis e Berard. In entrambi gli approcci, la musica viene immessa tramite gli auricolari con frequenze selezionate e filtrate. L’obiettivo principale del trattamento è la modulazione del suono ma, attraverso la musica, vengono esercitati comportamenti quali l’attenzione, l’eccitazione, il linguaggio e le abilità sociali (Kershner et al., 1990).
Una variazione dei programmi di integrazione uditiva applicati all’autismo utilizza l’intervento acustico: usando la voce umana invece della musica, in teoria, la stimolazione rilassa i muscoli dell’orecchio medio per migliorare la percezione del parlato (Porges, 1998). Sebbene l’intervento acustico sia attualmente in fase di esperimenti scientifici nei bambini con autismo, non sono disponibili dati empirici a supporto di questo approccio.
In sintesi, la terapia di integrazione uditiva ha ricevuto un’indagine più equilibrata rispetto a qualsiasi altro approccio sensoriale all’intervento, ma in generale gli studi non hanno supportato né la sua base teorica né la specificità della sua efficacia.
Terapia visiva. Una varietà di terapie visive (esercizi oculomotori, uso filtri colorati e lenti a prisma) sono state utilizzate con bambini con disturbo dello spettro autistico col tentativo di migliorare l’elaborazione visiva o la percezione visuo-spaziale. Non ci sono studi empirici sull’efficacia dell’uso delle terapie visive, come per la terapia di integrazione uditiva, gli studi non hanno fornito un chiaro supporto per la sua base teorica o empirica.
Sviluppo senso-motorio e progettazione educativa. Lo sviluppo senso- motorio gioca un ruolo importante nel processo di apprendimento: i bambini di solito usano le abilità motorie per esplorare l’ambiente, impegnarsi in interazioni sociali, impegnarsi in attività fisiche e sviluppare abilità utili nel contesto educativo, come la scrittura. Risposte sensoriali anomale destano molte preoccupazioni in ambiente educativo poiché la maggior parte degli ambienti educativi coinvolge molte richieste sensoriali (rumori e voci, colori, movimento, ecc…) e stimoli che possono sembrare imprevedibili (allarme antincendio, auto che suonano i clacson, ecc…). Diversi studi mostrano, inoltre, che sia i bambini più piccoli che i bambini più grandi con disturbo dello spettro autistico possono mostrare difficoltà con gli aspetti legati alla pianificazione motoria. Tali difficoltà si manifestano in una serie di compiti e di attività che riguardano la
vita quotidiana dei bambini nella prima infanzia (lanciare una palla, andare in bicicletta, usare le forbici o compiere semplici gesti come il saluto).
In generale, gli interventi messi in atto in ambienti naturali che insegnano o tentano di modificare i comportamenti nel contesto in cui si verificano in genere si sono dimostrati più efficaci (NRC, 2001).
4.3.5 Comportamento adattivo
Lo scopo della valutazione delle capacità adattive è di ottenere una misura del tipico funzionamento del bambino in ambienti familiari come la casa e la scuola. Tali valutazioni permettono di comprendere quanto il bambino con disturbo dello spettro autistico riesca a soddisfare le esigenze della vita quotidiana e a rispondere in modo appropriato alle richieste ambientali.
La valutazione del funzionamento adattivo è particolarmente importante per i bambini con autismo per diversi motivi. In primo luogo la valutazione delle abilità adattive fornisce una misura della capacità del bambino di generalizzare l’insegnamento all’interno di differenti contesti. Esistono, infatti, discrepanze significative, ad esempio, tra le prestazioni del bambino con autismo in un ambiente altamente strutturato (programmi di intervento comportamentale) e in contesti meno strutturati (programmi di intervento evolutivo). In secondo luogo, la valutazione dei comportamenti adattivi può essere utilizzata per individuare opportuni obiettivi di apprendimento (Carter et al., 1998; Loveland, Kelley, 1991). Gli obiettivi del comportamento adattativo dovrebbero promuovere una forma di indipendenza appropriata all’età del bambino per far si che all’interno della vita comunitaria di classe possa vivere senza difficoltà. Un esempio classico è legato all’uso dei servizi igienici o all’uso delle stoviglie per mangiare. Diversamente da quanto avviene per la ricerca sullo sviluppo della comunicazione e della socializzazione, ci sono pochi studi dedicati alla valutazione dell’uso di interventi comportamentali per insegnare capacità adattive ai bambini con autismo. Emerge, però, un corpus di ricerche sul ruolo e sull’utilità dei rinforzi (Egel, 1981); essi, infatti, promuovo la focalizzazione dell’attenzione sul compito andando ad influenzare anche il processo di apprendimento di comportamenti adattivi. In particolar modo l’uso di
ricompense esterne ha anche dimostrato di produrre effetti positivi in termini di