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Alle origini del Group-Based Early Start Denver Model (G-ESDM): l’Early Start

Capitolo 5 La declinabilità didattica del Group-based Early Start Denver Model (G-

5.3 Alle origini del Group-Based Early Start Denver Model (G-ESDM): l’Early Start

L’Early Start Denver Model (ESDM) è un modello di intervento precoce, intensivo e globale per bambini con disturbo dello spettro autistico, già a partire dai 12 mesi di età. Esso è stato sviluppato sulla base delle attuali conoscenze derivanti dalla ricerca empirica sul processo di apprendimento dei bambini e sulle ricadute che l’autismo ha sullo sviluppo già a partire dai primi anni di vita. È rivolto, dunque, a bambini con disturbo dello spettro autistico e applicabile da terapisti formati sul metodo.

Il modello è considerato precoce, poiché come già anticipato, è rivolto a bambini molto piccoli (dai 12 ai 48 mesi di età); è intensivo poiché prevede da un minimo di 20 ore ad un massimo di 40 ore settimanali di intervento; globale poiché considera il bambino in senso olistico e l’intervento è sempre centrato contemporaneamente su tutte i domini di sviluppo del bambino (comunicazione ricettiva ed espressiva, attenzione condivisa, imitazione, abilità sociali, gioco, abilità cognitive, abilità grosso motorie e fini, autonomia). L’ESDM è anche riconosciuto come modello integrato; questo perché utilizza un insieme di pratiche di insegnamento e procedure provenienti da tre tradizioni di intervento: l’ABA, il Pivotal Response Training ed il Modello Denver (Rogers, Dawson, 2010).

Secondo i principi base dell’ABA sono tre le componenti necessarie per l’apprendimento. La prima è che il bambino presti attenzione agli input che richiedono, da parte sua, una risposta. La seconda è rappresentato dal comportamento del bambino, ovvero la risposta che fornisce all’input. L’ultima

è rappresentata dal feedback che il bambino riceve in seguito alla risposta (Lovaas, 2002). Non tutte le tecniche dell’ABA vengono utilizzate all’interno dell’ESDM, quelle ritenute efficaci sono:

- uso di prompting (aiuto): l’adulto deve trovare un modo per aiutare il bambino a produrre il comportamento in determinate condizioni attraverso l’uso di istruzioni, gesti, materiali, ecc…; - fading (attenuazione): i prompts sono necessari per favorire la

produzione di un comportamento nuovo in presenza di un certo stimolo ma devono essere sistematicamente ridotti così che il comportamento del bambino sia prodotto in risposta allo stimolo piuttosto che in risposta al prompt;

- shaping (modellamento): quando il bambino ha imparato a produrre una versione approssimativa di un comportamento l’adulto deve utilizzare delle strategie di aiuto e di rinforzo accurate per trasformare gradualmente il comportamento immaturo in uno più maturo;

- chaining (concatenazione): i comportamenti complessi, come parlare, vestirsi, fare dei giochi, leggere, scrivere e così via, sono basati su azioni singole che vengono legate insieme per formare sequenze di comportamento. La costruzione di tali sequenze, a partire dalle azioni singole per produrre sequenze fluide di comportamento, è ciò che si chiama chaining e richiede l’uso del prompting, del fading, del rinforzo e strategie di analisi del compito accurate;

- valutazione funzionale del comportamento: tutti i comportamenti risultano essere funzionali, ciò significa che essi sono utili per il raggiungimento di un particolare obiettivo e che fanno parte di un repertorio di comportamenti perché conducono ad una gratificazione. Per riuscire a sostituire i comportamenti indesiderati con comportamenti maggiormente desiderabili è necessario comprendere in primo luogo quale è l’obiettivo raggiunto dal bambino per mezzo di quel comportamento. Solo in questo modo si potrà insegnare al bambino un comportamento

alternativo che porta però alla gratificazione desiderata (Rogers, Dawson, 2010).

La ricerca sul Pivotal Responsive Training mostra che al fine di favorire lo sviluppo di comportamenti adattivi è utile lavorare su due principali elementi: la motivazione e la risposta a stimoli multipli (Koegel, Koegel, Harrower, & Carter, 1999a; Koegel, Koegel, Shoshan, & McNerney, 1999b). Le tecniche utilizzate per lavorare sui due elementi sono: rinforzare i tentativi del bambino; alternare richieste di acquisizione di abilità nuove con abilità già acquisite; alternanza dei turni nelle attività; dare al bambino la possibilità di scegliere le attività da svolgere.

Le altre pratiche educative utilizzate nell’ESDM traggono origine dal Modello Denver e sono centrate sugli aspetti relazionali ed affettivi. I principi alla base di queste pratiche sono: gestione dell’arousal del bambino attraverso la scelta delle attività, l’uso del tono della voce, i livelli di “attivazione” delle attività; uso e manifestazione di emozioni positive; risposte responsive e sensibili ai tentativi comunicativi del bambino; adattamento del linguaggio al livello evolutivo del bambino e alle sue capacità ed abilità comunicative; gestione ottimale delle transizioni da un’attività ad un’altra.

Tutte queste tecniche, utilizzate in modo combinato, permettono di coinvolgere il bambino in esperienze all’interno delle quali il bambino dirige l’attenzione verso stimoli sociali che a loro volta diventano gratificanti per il bambino. Il bambino, dunque, sperimentando relazioni ed esperienze emotive positive sarà motivano a ricercarne altre in futuro. Lo strumento attraverso il quale queste tecniche vengono praticate è il gioco che fa da cornice a tutte le attività e gli obiettivi che si presentano e che si intendono perseguire con l’ESDM. Le attività condotte sotto forma di gioco prendono il nome di Joint Activity Routine e possono essere sviluppate in: attività con oggetti, attività da svolgere al banchetto; sensory-social routine.

Le attività svolte sotto forma di Joint Activity Routine hanno tre principali caratteristiche legate ai termini “joint”, “activity” e “routine”:

- il termine “joint” enfatizza il tema della condivisione. Le attività proposte devono essere condivise tra bambino e terapista. Ciò significa che deve crearsi uno spazio all’interno del quale terapista e bambino fanno le cose insieme, comunicano in

maniera reciproca, si divertono insieme, scelgono insieme le attività da svolgere;

- il termine “activity” pone l’attenzione sul fare. I bambini devono operare praticamente, sperimentare nuove azioni, nuove emozioni, nuove parole, nuovi ambienti, nuovi giochi. Tale concetto richiama gli studi di Piaget che rintracciavano nel fare il prerequisito per lo sviluppo di abilità e competenze di ordine superiore;

- il termine “routine” richiama l’importanza della ripetizione. I bambini con disturbo dello spettro autistico si trovano, spesso, di fronte ad abilità, azioni, attività nuove. Diviene di fondamentale importanza permettergli di esercitare, ripetere, le nuove abilità, competenze e parole apprese, fin quando quell’esercitazione non si traduce in un apprendimento significativo; ovvero fin quando il bambino non mostra piena autonomia.

Nelle attività da svolgere al banchetto o attività con oggetti, bambino e terapista condividono uno spazio di attenzione congiunta creato dall’uso di oggetto: costruire una torre con i lego, giocare con il play-dough, leggere un libro.

Nelle sensory-social-routine lo spazio di attenzione condivisa è creato dalla relazione tra bambino e terapista: solletico, nascondino, cucù settete, canzoni, balli. All’interno di queste attività, infatti, l’uso di materiali, oggetti, giocattoli è sconsigliato poiché la relazione, la reciprocità ed il piacere di relazionarsi con l’altro rappresentano il cuore di tali attività (Rogers, 2016).

Le Joint Activity Routine devono essere sviluppate rispettando una struttura che vede la gerarchia di quattro momenti:

1. fase di preparazione o apertura; il terapista può osservare il bambino per comprendere cosa sta facendo e unirsi al bambino nell’attività che sta svolgendo o scegliere un’attività diversa da svolgere con il bambino e iniziare, da solo, a svolgerla;

2. il tema; riguarda l’attività che vede impegnati terapista e bambino, nel caso il bambino stia giocando con la palla il tema potrebbe essere passarsi la palla a vicenda; nel caso il bambino stia giocando con i lego il tema potrebbe essere costruire una torre;

3. fase di elaborazione; all’interno del tema il terapista deve inserire delle variazioni all’attività affinché il bambino non si annoi e l’attività risulti interessante, ciò permette, inoltre, l’introduzione di nuovi obiettivi di sviluppo; nel caso della costruzione della torre il terapista potrebbe farla cadere dicendo la parola “crash” e contemporaneamente gettarsi sul tappeto;

4. chiusura; quando l’attenzione del bambino sta calando, quando attraverso quel tema non si riesce ad “insegnare” più nulla o quando il bambino lo chiede, l’attività si conclude in modo chiaro (attraverso il linguaggio verbale ed il riporre i materiali al loro posto) (Rogers, Dawson, 2010).

Prima dell’inizio del trattamento ogni bambino viene sottoposto ad un a valutazione volta ad individuare il livello di sviluppo generale del bambino e delle abilità possedute per ciascun dominio di sviluppo. L’ESDM prevede quattro livelli di sviluppo che corrispondono a differenti età: I livello 12-18 mesi; II livello 18-24 mesi; III livello 24-36 mesi; IV livello 36-48 mesi. La valutazione avviene attraverso sessioni di gioco strutturate per indagare le abilità che si intendono valutare e la compilazione di una scheda di valutazione. Dalla valutazione iniziale, e sulla base della abilità e competenze possedute dal bambino, si struttura il piano di intervento individualizzato con obiettivi a breve e medio termine. Il piano di intervento viene condiviso con i genitori e scritto da un team multidisciplinare. La programmazione prevede la formulazione di obiettivi che devono essere raggiunti in un arco temporale di 12 settimane: essi devono essere sufficientemente stimolanti per il bambino ma allo stesso tempo effettivamente raggiungibili. Individuati gli obiettivi “generali” per i diversi domini di sviluppo, il terapista costruisce una griglia di osservazione giornaliera all’interno della quale annoterà ogni 15 minuti i dati relativi agli obiettivi più o meno raggiunti, i comportamenti problema che si manifestano, e annotazioni varie. Alla fine delle 12 settimane viene effettuata una nuova valutazione per definire nuovi obiettivi da raggiungere nelle 12 settimane successive (Vismara, Rogers, 2008).

Il lavoro del terapista viene sempre supervisionato. La supervisione può avvenire in maniera diretta o indiretta: un supervisore può, infatti, assistere alle sessioni del terapista o visionare videoregistrazioni delle sessioni al fine di

valutare la fidelity (il grado di aderenza ai principi e alle tecniche dell’ESDM, corretta strutturazione delle attività) del terapista.

L’Early Start Denver Model, in quanto intervento clinico-terapeutico, prevede, principalmente una somministrazione 1:1 (terapista-bambino). In alcuni casi gli interventi possono essere somministrati in setting di gruppo, dove per gruppo si intende la presenza e la partecipazione alle attività di 3-4 bambini con disturbo dello spettro autistico.